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Questo ultimo articolo della serie si presenta in forma di dialogo, come esercizio di pensiero incarnato nel confronto tra due voci. F. è Fulgenzio, figura sapienziale e ricercatore del senso, voce narrativa che ha attraversato l’intero saggio. Non è un maestro dogmatico, ma un uomo che pensa camminando, dubitando, formulando ipotesi che restano aperte. G. è una giovane interlocutrice — studentessa, figlia, lettrice e coscienza inquieta — che pone domande essenziali, disarmate e attuali. La sua voce è quella di chi cerca un orientamento in un mondo che sembra non lasciare spazio alla possibilità di creare. Il dialogo si svolge in un luogo non definito — forse un’aula vuota, o una casa di campagna nel pomeriggio, un paesaggio mentale. Ma ciò che si dice in queste righe potrebbe dirsi ovunque ci sia ancora qualcuno disposto ad ascoltare davvero.

G. Fulgenzio, posso farti una domanda?

F. Se non puoi farla a me, a chi? Dimmi.

G. Ma a cosa serve oggi la creatività? Davvero. Non dico l’arte, ma proprio il pensare in modo creativo. La scuola non la premia. Il lavoro non la richiede. La politica la teme. I social la consumano. Dove si mette?

F. Non si mette. Si coltiva. Si protegge. Si trasmette. E poi si lascia libera.

G. Ma a che scopo? Non si vive meglio adattandosi?

F. Ci si adatta come si sopravvive in apnea. Ma vivere è un’altra cosa. Vivere è rispondere. Alla complessità, al dolore, alla meraviglia. E la risposta, se è vera, è sempre un atto creativo.

G. Ma chi sono io per creare qualcosa che abbia senso? Non ho nulla di speciale.

F. Ecco: è proprio lì l’equivoco. La creatività non è un premio, né un talento. È una modalità del pensiero. È il modo in cui affronti ciò che non sai. È la domanda che scegli di porre, non la risposta che hai imparato a ripetere.

G. Quindi è per tutti?

F. Se non fosse per tutti, non sarebbe umana. Ogni bambino è creativo finché non gli si insegna a non esserlo. Ogni adulto può tornare a esserlo, se smette di temere il ridicolo. Il punto non è la genialità, ma la possibilità.

G. E si può insegnare?

F. No. Ma si può educare a non impedirla. Che è già molto. Si può creare un contesto dove l’errore non è colpa, dove il dubbio è benvenuto, dove le domande sono più preziose delle risposte.

G. Sembra utopia.

F. È pedagogia. E anche una questione politica. Perché chi non è abituato a immaginare alternative, finisce sempre per obbedire. E chi non sa creare, consuma.

G. Ma se nessuno lo vuole…?

F. Comincia tu. Accendi la prima lampada. Gli altri, se ne hanno bisogno, arriveranno.

G. E se non arriva nessuno?

F. Avrai creato comunque una luce. E il buio non è più lo stesso.

Pubblicato il 23 maggio 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto