Senti che tiepido questo raggio di sole, e che fresca l’aria, questa mattina. Che poi è bello anche solo poter aprire la finestra, mica come l’anno passato. Solo un po’ di luce dalla bocca di lupo, e nemmeno una lama di sole, che davanti c’era il muro del refettorio.
Sì, se non altro era un muro bianco, anzi, grigio. Come i capelli qui sulle tempie, mi vien da dire. Domani esco. E domani stesso, anzi no, dopodomani … domani, mi pare,è lunedì. Dopodomani passo dal parrucchiere in piazza e mi rifaccio i capelli biondi, come trent’anni fa, che tutti me li invidiavano. Lunghi fino al sedere, e sciolti li portavo, mica legati stretti come adesso.
Li vedevo, gli sguardi degli uomini, quando entravo in fabbrica, la mattina, al primo turno. E poi la sera c’era sempre qualcuno che mi chiedeva di uscire, e prendevamo le biciclette e scendevamo alla balera sul fiume.
Me lo ricordo appena, il biondino di quella sera. Mi teneva stretta stretta, e strusciava il naso nei mie capelli, e io gli dicevo -no, lascia stare, non posso, vedi quello seduto laggiù coi capelli neri e il pizzetto è Giuse, siamo fidanzati -.
E lui non ascoltava e mi teneva ancora più stretta.
Poi la musica è finita, e Giuseppe si è alzato e aveva una luce strana negli occhi e mi ha detto –andiamo-. E quando siamo arrivati alle biciclette c’era il biondino che fumava una sigaretta e Giuseppe l’ha preso da dietro e ho visto il lampo del coltello.
E poi Giuseppe a terra e quell’altro addosso, e Giuseppe che sanguinava e il coltello sui sassi e io che chiamavo aiuto nello spiazzo deserto. E poi il freddo del coltello e il caldo del sangue sulle mani.
Per un sacco di tempo non è arrivato nessuno. Quando è arrivata la camionetta, non ricordavo già nulla.