“Stai attenta, Elsa”-le avevano detto-“scendi dal treno e raggiungi la testa del binario. Troverai la zia ad aspettarti: tu non muoverti se non la vedi.
Era stata attenta. Ferma davanti ai respingenti gialli si era guardata intorno. Il va e vieni incessante della folla in stazione le aveva messo un po’ d’ansia; di leggere le indicazioni sui tabelloni non se ne parlava, che faceva fatica con l’alfabeto latino, imparato in fretta prima di partire.
Eccola la zia. Di mezza età, piccola e grassa, stretta in un abito senza forma, con scarpe che parevano ciabatte e il fazzoletto nero legato sotto il mento. Brutta, pensò: che poi non era nemmeno sua zia, ad essere precisi. Era la prima moglie di suo padre. Lui l’aveva sposata ancora ragazza e se l’era portata dietro dalla Bulgaria a Milano a cercare fortuna.
La fortuna non l’aveva trovata: aveva trovato invece un traffico di auto rubate, e aveva lasciato in Italia la moglie e due figlie per tornarsene al paese a gestire il giro. Laggiù aveva messo incinta la madre di Elsa, anche lei una ragazzina, poi si era fatto ammazzare per un debito non pagato. Proprio una bella storia. E ora lei, Elsa, veniva a Milano per lavorare e mandare i soldi alla famiglia. Tutte le donne emigrate a Milano spedivano a casa ogni mese il doppio dello stipendio dei loro mariti. E pazienza se a lei toccava accettare l’offerta della sua matrigna, se così si poteva chiamare.
La sera, nell’appartamento minuscolo dove viveva, davanti ad un piatto di minestra la matrigna l’aveva informata. Le due sorellastre lavoravano in fabbrica. I padroni erano ricchi, producevano scarpe di lusso, Made in Italy, cioè calzature fatte in Italia con il lavoro delle operaie straniere, pagate in nero. La mamma del capo era anziana e non ci stava più con la testa. Avevano bisogno di una badante e la zia aveva pensato a lei, Elsa. Le avrebbero dato vitto e alloggio, in una bella camera con bagno accanto alla vecchia: doveva accudirla giorno e notte, con un buono stipendio, sabato pomeriggio e domenica libere. Così avrebbe potuto anche uscire, andare a divertirsi con le sorellastre, solo ogni tanto, che i soldi bisognava mandarli in Bulgaria, e pagare le spese e risparmiare.
L’indomani andarono a conoscere i padroni. Preso il metrò, scesero in pieno centro, un altro mondo: strade silenziose, isola pedonale, facciate scolpite, piccoli giardini dietro cancellate eleganti. Bussarono, il portone di legno scuro si aprì senza rumore: l’ascensore saliva direttamente all’attico, al sesto piano. Venne ad accoglierle il padrone in persona, anziano, elegantissimo: Elsa notò che portava l’orologio d’oro bene in vista sul polsino della camicia.
Presi rapidamente accordi, le presentarono una vecchietta minuta seduta in carrozzina, con una camicia da notte di seta. Elsa provò a sorriderle, ma ricevette in cambio uno sguardo vacuo. In ogni caso, occorreva darsi da fare: seguendo i suggerimenti della zia, Elsa si organizzò per lavarla, cambiarla e infine per provare una breve uscita ai giardinetti di fronte alla porta della casa.
Quando rientrarono era ora di pranzo: Elsa portò la sua assistita in camera, e andò in cucina a riscaldare il pranzo che la cuoca aveva lasciato pronto nel forno a microonde. Mentre stava cercando di capire come farlo funzionare una voce profonda la fece sobbalzare.“Metti la zuppiera sul piatto di vetro, chiudi lo sportello e gira la manopola fino a 500. Quando suona, il pranzo è pronto!”. Gli parlava da sopra le spalle: Elsa sentì arrivare una zaffata di fumo e alcool. Si voltò e vide un giovanotto alto e robusto: a giudicare dalla barba lunga, dalla tuta e dalla maglietta stazzonate, doveva essersi appena alzato. Bell’uomo, però.
“Sei la nuova badante della nonna, vero? Devi essere dell’Est. Tutte le badanti sono dell’Est, sembra sia trendy avere una badante balcanica. “ Le lanciò un’occhiata valutativa. “Però sei carina, ben fatta, bel culo …
Poi si fece brusco: “e non stare qui impalata, la nonna è diabetica, deve mangiare all’orario previsto. Sbrigati, e non dimenticare le medicine. Elsa masticò brevi scuse, e andò a occuparsi dell’anziana.
La domenica a pranzo dalle sorellastre ebbe qualche informazione in più: l’uomo era il figlio del padrone, passava ogni tanto dall’ufficio del padre in fabbrica. Tutte le operaie erano innamorate perse delle sue spalle robuste sotto le giacche firmate. Quanto a quello che custodiva più in basso, poi, correva voce che desse dei punti al calciatore inglese che reclamizzava biancheria intima sui cartelloni di tutta la città!
Passò un mese: Elsa aveva organizzato le sue giornate, il lavoro non le pesava. La vecchia aveva qualche notte agitata, ma nel complesso era tranquilla, sedata dai farmaci. Ogni pomeriggio si trovava ai giardini con le altre badanti e le loro assistite, e al ritorno spingeva la carrozzina fino al bar dell’angolo. La vecchietta gradiva il tè con i pasticcini.
Dietro il bancone c’era Zhe Yu, un ragazzo cinese che durante il giorno faceva il barista, e la sera tornava a dormire in provincia nella fabbrica abusiva dove i suoi parenti lavoravano notte e giorno. Fabbricavano anche loro scarpe, scarpe taroccate, comode, ma non belle come i modelli dei padroni di Elsa.
“Come ti chiami?” –“Sono Elsa”- “Sei dell’Est, vero? Io sono Zhe Yu, ma puoi chiamarmi Gigi. Sono cinese, si vede, vero?” Elsa rideva, con la bocca piena di crema zabaione.
Zhe Yu ci sapeva fare: pian piano, cominciò a farle la corte, e ogni tanto lei si convinse ad uscire la domenica sola con lui. Qualche sabato sera andarono anche a ballare. Lui ogni volta ci provava. Ma arrivati al dunque, ogni volta lei gli diceva di no.
In primavera la ditta del padrone organizzò il lancio di un nuovo modello di sandalo elegante. La fabbrica era tutta in subbuglio, le scarpe avevano zeppe e tacchi altissimi, ed erano tempestate di cristalli Swarovski, che dovevano essere applicati a mano, uno per uno, sulla tomaia di capretto. Lavoro lungo e difficile: si sapeva che il modello sarebbe stato costoso.
Venne programmato un aperitivo esclusivo per prima domenica di maggio. Il sabato sera, a cena con Elsa, le sorellastre aggiornarono il diario dei pettegolezzi: il giovane padrone aveva da poco lasciato l’ereditiera con cui era fidanzato. Alla serata promozionale avrebbe partecipato tutta la bella gente della città, e l’evento sarebbe stato trasmesso in diretta su mega-schermi all’interno della fabbrica, per la gioia delle maestranze!
La mattina dell’evento, Elsa si alzò presto come al solito per fare colazione prima di cominciare il complicato rito di toeletta della signora. Con stupore notò che il giovane padrone era già sveglio, occupato a caricare una cialda di caffè nella macchinetta espresso. Come la prima volta, lui le prese le misure con un’occhiata.” Ciao. Bella giornata.”- “Buongiorno signore”. “Non chiamarmi signore, chiamami Falco, che sai come mi chiamo. Oggi è un grande giorno, lanciamo le scarpe più belle del mondo”-“Elsa abbozzò un sorriso di circostanza. Di nuovo Falco si rannuvolò. “Stasera alla festa sarà pieno di tardone vip, tutte rifatte. So già che non mi lasceranno in pace. Shit! Ogni volta qualcuna mi propone il suo letto. Chissà che sballo, poi!.”
Lo sguardo di Falco correva dai seni di Elsa alle sue lunghe gambe. Infine s’illuminò. “Ho un’idea. Tu stasera vieni con me al party, e ti presento come la mia nuova toy-girl. Già vedo la delusione di quelle maschere gonfie. Fuck them…
Elsa mormorò una scusa. “Non ho il vestito adatto”. “ Honey, di questo non ti devi preoccupare: c’è un armadio pieno di vestiti della mia ex, abiti di seta, biancheria sexy. Non si è degnata di mandarli a riprendere, la stronza. Quanto alle scarpe, sarai la testimonial del nuovo modello. Avrai un look da top model, lo dico io che di ragazze al top me ne intendo.”
Elsa non credeva alle sue orecchie. Quando il padrone fu uscito, corse a telefonare alle sorelle. Quelle morivano d’invidia, che non erano neppure invitate e gli toccava guardarla sul grande schermo mentre andava alla festa tutta elegante al braccio del ricco signore. Che rabbia!
Fu una bella serata: Elsa cercò di mostrarsi disinvolta. Falco se la tenne vicina tutto il tempo, ma non le presentò nessuno degli ospiti.
Quando la sala si svuotò, lui era brillo.” Che dici, facciamo un giro sulla mia Ferrari? Un salto in discoteca, in provincia, tanto per muovere un po’ le gambe, poi ti porto a vedere il mio pied-a-terre, è piccolo ma elegante, vedrai che ti piacerà. E le lanciò un’occhiata allusiva.
Partirono con una sgommata. In discoteca lui fece in tempo a bere ancora tre o quattro cocktail, vodka, champagne; lei sorseggiò un analcolico alla frutta.
Era quasi l’alba quando risalirono in macchina e raggiunsero l’appartamentino. Falco chiuse la porta “ Spogliati, honey, voglio controllare come ti sta la biancheria di seta della mia ex”. E mentre parlava già lanciava sulle sedie giacca, cravatta e pantaloni alla rinfusa.
Elsa stava al gioco: si spogliò piano, con gesti sensuali, come faceva con Zhe Yu, e sfilò con studiata lentezza le scarpette di cristallo. Lui le si strofinò addosso, cominciò a baciarla:la zaffata alcolica stordiva.
Molti preliminari dopo, nonostante la buona volontà di Elsa, lui si rese conto che anche con le mutande firmate si poteva fare brutta figura. Rosso e sudato, bofonchiando tra i denti, si staccò dalla ragazza. “ Aspetta, ho bisogno di tirarmi un po’ su, forse ho bevuto un drink di troppo. Mi passi la bustina che abbiamo preso in discoteca? Faccio un salto in bagno”. E chiuse la porta.
Dopo meno di due minuti la porta si spalancò con un tonfo tremendo. Falco crollò pesantemente sul pavimento, le gambe ancora nel bagno, la testa sulla moquette rossa del soggiorno.
Lei si spaventò un poco. Caspita, era proprio una bomba la dose che le aveva preparato Zhe Yu. Che fosse morto le seccava.
Morto non sembrava: respirava ancora, lungo disteso e mezzo nudo, col fiato grosso di chi russa dopo una sbronza.
Lei si rivestì in fretta, rifece il letto, riordinò la stanza, controllò di non lasciare traccia della sua presenza. Sistemò le scarpette di cristallo in una vetrinetta illuminata da led azzurri, dov’erano esposti altri modelli esclusivi. Prima però scattò alcune foto col cellulare. I disegnatori della fabbrica di Zhe erano bravissimi, le avrebbero copiate con facilità.
Mise ai piedi le sue vecchie ballerine e uscì senza rumore: sotto il portone la aspettava l’utilitaria di Zhe Yu. Chissà, forse era la sera giusta per dirgli di sì.