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Una favola, un sogno. Una biblioteca. I vocabolari come repertori di parole. Le parole che designano la guerra.

Erano le 19.15 di una scura e fredda giornata invernale, la biblioteca chiudeva alle 19.30. Già i segnali sonori che annunciavano la chiusura si erano susseguiti nel loro ordinario fluire. Non me ne ero però quasi accorto, li avevo sentiti come in lontananza assorto com’ero nella lettura di un testo che avevo cercato per tanto tempo e trovato solo lì, nella biblioteca dei libri di tutto in mondo.

Sì, proprio così, una biblioteca che con le sue connessioni on line rendeva accessibili i libri di tutto il mondo, che potevano anche materializzarsi ed essere letti girando e gustando le pagine di carta come si usava fare un tempo in un collegamento senza soluzioni temporali, le connessioni, infatti, erano sempre attive indipendentemente dagli orari delle singole biblioteche.

I libri scritti nelle lingue di tutto il mondo venivano messi a disposizione del lettore nella lingua a lui più vicina in una totale fedeltà della traduzione grazie ad algoritmi ormai abbondantemente testati e validati.

Preso da questa atmosfera quasi magica e portato per mano dalla lettura, non pensai proprio all’orario di chiusura. Così, allo spegnersi della normale illuminazione, in modo automatico pigiai il tasto delle luci di emergenza che erano poste per sicurezza su ogni tavolo e continuai nella lettura.

Non so come nessuno dei responsabili della biblioteca si fosse accorto della mia presenza e non mi avesse invitato ad uscire.

Mi ritrovai in questi pensieri che era ormai notte inoltrata. Avevo con me un pacchetto di biscotti, che sempre staziona nella cartella dove conservo i documenti di lavoro assieme ad un po’ d’acqua. Nessuno mi aspettava quella sera, così decisi che avrei passato la notte in quel posto incantato dove i libri parlano di tutte le conoscenze cumulatesi nel tempo e di quelle che stavano per nascere. Qualcuno sosteneva che vi si trovavano anche i libri ancora da scrivere, bastava saperli cercare.

Che i libri parlino ben lo sapevo, quel che non sapevo era che potessero parlare anche senza essere letti, come avrei imparato di lì a poco nel corso di quella strana nottata.

Vocabolari riuniti nella grande sala convegni

Nel cuore della notte immerso nella lettura e nella stesura di una serie di appunti che si rincorrevano freneticamente, sentii un rumore dapprima lontano, come un brusio, poi via via più intenso al pari di un’onda sonora che sembrava volermi avvolgere.

Non potei fare a meno di prestare attenzione a quel fatto che certo non mi sarei aspettato di notte in quel luogo e, a dir il vero, mi ritrovai guardingo e un po’ impaurito.

Sembrava il vociferare di un gruppo sempre più numeroso di persone che si apprestavano a partecipare ad una discussione su un argomento da tutte ritenuto di grande importanza.

Non riuscendo a immaginare cosa stesse succedendo e ben sapendo come la realtà sia immensamente più ricca della fantasia, mi avvicinai lentamente e con passo felpato alla sala da cui proveniva quel vociferare.

La scena che mi apparve mi fece pensare di essere piombato in un sogno: un folto gruppo di vocabolari nelle lingue di tutto il mondo si trovava in quella sala. Sì, avete capito bene, un gruppo di vocabolari che ciascuno nella propria lingua scandiva una serie di parole già di per sé incomprensibili e oltretutto accavallate e sovrapposte le une alle altre. Un gruppo di vocabolari riunito nella grande sala convegni della biblioteca per discutere di non so cosa in un incontro convocato da non so chi.

Sorpreso e sbigottito decisi di provare a capire cosa stesse succedendo e mi acquattai ai bordi di una porta laterale della sala dalla quale potevo osservare quello che stava succedendo senza disturbare e soprattutto senza essere visto.

Tutti i vocabolari furono attraversati da un fremito

Di lì a poco capii chi avesse convocato quella riunione. La riunione, infatti, era stata convocata dal vocabolario più antico del mondo, mi pare di ricordare che qualcuno osservasse come fosse nato all’incirca 2.300 anni prima di Cristo.

Fu lui a prendere la parola per primo invitando tutti a porre attenzione al fatto che la discussione dovesse rapidamente iniziare perché il tema era molto delicato e avrebbe richiesto tempo e partecipazione, ricordando, peraltro, la necessità di chiudere l’incontro prima della riapertura della biblioteca il giorno dopo.

Fu allora che mi accorsi come la voce e l’aspetto invero tradissero la sua età e con questa la sua esperienza e autorità.

In breve, ricordò a tutti la ragione dell’incontro, si doveva decidere cosa fare di una parola che tutti portavano in sé seppur in forme diverse: guerra, questa era la parola in discussione.

Tanti di loro avevano infatti osservato che dal momento in cui questa parola era entrata a far parte della loro raccolta tante persone non erano più riuscite a sfuggire al fascino del potere che portava con sé. Si era così venuta a creare una situazione che con le tecnologie della modernità stava spianando la strada alla distruzione della vita umana sulla terra.

La proposta consisteva nell’espellere la parola guerra da tutti i vocabolari del mondo in modo da impedire alle persone, e con esse alle comunità e alle nazioni, di dichiarare guerra a qualcuno. A quel punto un conflitto sarebbe stato del tutto impossibile perché nessuno avrebbe più conosciuto quella parola e l’impegno di tutti i vocabolari sarebbe dovuto essere quello di non accogliere nuove parole che potessero in qualche modo sostituirla.

Si aprì una accesa discussione in particolare tra due fazioni. Quella di chi sosteneva queste scelte per ragioni di forza maggiore dovute all’incapacità dell’umanità di trovare nell’ascolto e nel dialogo la soluzione pacifica agli inevitabili problemi e alle inevitabili contrapposizioni che le relazioni umane portavano con sé. E quella di chi sosteneva che l’umanità avrebbe dovuto avere anche a disposizione la scelta di autodistruggersi nel rispetto della libertà e delle scelte delle persone.

Uno dei vocabolari più giovani

Difficile descrivere l’animosità con la quale queste due tesi venivano sostenute con interventi che a volte si accavallavano creando grandi difficoltà di coordinamento dell’incontro da parte del vocabolario anziano.

Questa discussione proseguì senza risultati concreti per quasi tutta la notte, fino a quando uno dei vocabolari più giovani riuscì ad avere l’attenzione di tutti per illustrare una proposta che sembrava potesse essere condivisa: la parola guerra non sarebbe stata eliminata per sempre, sarebbe stata come ibernata sino a quando l’umanità non avesse appreso a non usarla più, poi sarebbe riapparsa solo come testimonianza storica e monito per il futuro.

Anche su questa proposta si aprì un’animata e accesa discussione che proseguì fino a quando il vocabolario anziano con veemenza reclamò l’attenzione e propose di votare su questa possibile scelta.

Purtroppo, anche questa proposta non fu approvata, perché nella votazione le parti risultarono in perfetto equilibrio.

Il tempo inesorabilmente stava passando e l’incontro sembrava dovesse concludersi con un nulla di fatto.

Fu a quel punto che accadde qualcosa del tutto inaspettato da parte della platea.

Tutti i vocabolari furono attraversati da un fremito, alcune pagine si muovevano quasi che qualcuno le stesse sfogliando per cercare delle parole. D’un tratto dal fondo della sala apparve la parola guerra con tutto un seguito di altri lemmi simili, conflitto, lotta, scontro, ostilità, ma anche egoismo e avidità e altri che non riuscii a memorizzare stranito com’ero da quella singolare situazione.

Con fare irruente la parola guerra salì sul palco e chiese di poter parlare, richiesta che fu accolta nella sorpresa generale. La sala restò sospesa in lunghi attimi di sbigottito silenzio nell’attesa del discorso. Fu allora che la parola guerra con una capacità oratoria che nessuno le avrebbe riconosciuto annunciò a nome di tutto il gruppo di parole simili che, sulla base di una approfondita discussione tra loro, constatata la difficoltà di prendere una decisione e appellandosi alla loro libertà di scelta, sarebbero uscite immediatamente da tutti i vocabolari del mondo. Detto questo, senza attendere possibili reazioni, insieme con i suoi bellicosi accompagnatori, sparì, nello stupore generale. Nessuno le vide più.

La platea attonita piombò in un ingombrante silenzio che con il passare dei minuti tradì una ineffabile soddisfazione per la soluzione che sorprendentemente era emersa. Soddisfazione espressa in modo evidente dal vocabolario che presiedeva la riunione quando, per l’avvicinarsi dell’orario di apertura della biblioteca, concluse l’incontro invitando tutti i vocabolari a non accogliere eventuali nuove parole che non fossero in sintonia con la scelta di escludere la guerra. Ed ogni parola simile.

La proposta fu approvata, questa volta all’unanimità. Terminato l’incontro i vocabolari in ordine lasciarono la sala riunioni commentando compiaciuti la scelta scaturita dall'incontro, seppure non direttamente determinata da loro.

Per parte mia attesi che tutti si fossero allontanati. Poi lentamente tornai al mio posto. Prima di riprendere il lavoro mi accomodai su un divanetto per riposarmi, pensando alle facce del personale che mi avrebbe trovato la mattina nella biblioteca chiusa e, soprattutto, alle notizie che avrei ascoltato alla radio, che sarebbero rimaste orfane di quelle parole e ancor più di ciò che esse stanno a designare.

La luna di Kiev

Chissà se la luna

di Kiev

è bella

come la luna di Roma,

chissà se è la stessa

o soltanto sua sorella...

«Ma son sempre quella!

– la luna protesta –

non sono mica

un berretto da notte

sulla tua testa! 

Viaggiando quassù

faccio lume a tutti quanti,

dall'India al Perù,

dal Tevere al Mar Morto,

e i miei raggi viaggiano

senza passaporto».

Gianni Rodari

Pubblicato il 11 novembre 2025

Claudio Baccarani

Claudio Baccarani / Professore Emerito di Economia e Gestione delle Imprese, Università di Verona

claudio.baccarani@univr.it https://www.dima.univr.it/?ent=persona&id=315