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Da anni parlo di disincanto tecnologico, oggi altri stanno cominciando a comprendere che il fenomeno non è più solo emergente ma diffuso, che il disincanto non è solo un malessere personale di molti, ma un segnale evidente di crisi, di cambiamenti in corso, di trasformazioni e di futuri non ancora disvelati, ma in via di emergenza.


Un tentativo di definizione

Il disincanto tecnologico è una percezione negativa, critica e disillusa verso la tecnologia e le sue promesse non mantenute. La tecnologia ha perso il suo fascino magico o idealizzato e viene percepita come un ambito di nuove sfide e potenziali delusioni. 

Il disincanto emerge quando le aspettative che la tecnologia porti progresso non vengono pienamente soddisfatte o sono offuscate da effetti e conseguenze percepiti come negativi. Nasce da sentimenti di frustrazione, dalla sensazione che la tecnologia, in particolare quella digitale e delle piattaforme online, non abbia mantenuto le attese di benessere personale, di miglioramento della vita individuale e collettiva, ma abbia anzi creato problemi come la perdita crescente di attenzione, la dipendenza diffusa dai dispositivi tecnologici, l’isolamento e il senso di solitudine (insieme ma soli) crescente, nonostante l’essere sempre connessi (e disconnessi insieme) e interagenti con innumerevoli persone, la percezione di essere oggetto di una manipolazione continua, finalizzata a trasformare tutti in consumatori, semplici merci, produttori di dati e di informazioni, complici. 

Il disincanto tecnologico, che è psicologico e sociale, riflette la stanchezza e la sfiducia, la delusione di quanto la tecnologia digitale abbia impattato negativamente su aspetti come la socialità, la libertà e il benessere mentale. Evidenzia un affaticamento psico-biologico e un senso di tradimento nei confronti di una narrazione di progresso tecnologico che appare manipolatoria o edulcorata.  Invita a una migliore alfabetizzazione digitale e tecnologica, a un approccio più critico, consapevole e responsabile verso la tecnologia e le sue influenze, conseguenze ed effetti sulla vita individuale e sulla società. Si alimenta con la consapevolezza crescente che la tecnologia non sia neutrale ma si sia fatta mondo, strumento potente capace di plasmare la realtà in modi che sfuggono ormai al controllo umano, a volte anche alla comprensione. 

Il disincanto tecnologico è associato oggi da alcuni all’intelligenza artificiale, una tecnologia che obbliga a riflettere sulla sua neutralità e sulla sua capacità (Martin Heidegger - "La questione della tecnologia") di trasformare la realtà in semplice risorsa da sfruttare. Una cosa che le IA attuali, con i loro modelli, sanno fare molto bene, trasformando la realtà in semplici dati (anche sintetici) che possano essere elaborati, analizzati e ottimizzati. In un contesto nel quale, anche per l’uso che ne viene fatto da moltitudini di persone, l’intelligenza artificiale rimodella il modo in cui gli esseri umani sperimentano il mondo, finisce per diventare co-creatrice di realtà. Sempre più autonoma finisce per far sentire agli esseri umani di non essere più gli unici architetti del mondo. Da qui la perdita di incantamento e l’emergere del disincanto, che poi nasce dall’interrogarsi come umani ormai imprigionati nell’era delle macchine. 

Il disincanto non implica necessariamente il rifiuto totale della tecnologia, ma suggerisce la pratica di una maggiore (tecno)consapevolezza, di un uso critico, non binario, lento, riflessivo, e minimalista della stessa, puntando a esperienze più autentiche e a un’alfabetizzazione digitale consapevole. 

Il disincanto tecnologico nella letteratura scientifica 

Il disincanto tecnologico è un concetto (Entzauberung) storicamente associato a max Weber che rifletteva sul disincanto come un segnale del passaggio da una visione magica, mitica (mitologica), mistica del mondo a una razionale, intellettuale, secolarizzata, come quella che si è manifestata nella Modernità. Quando nella letteratura si parla di disincanto tecnologico ci si riferisce a come sia la stessa tecnologia a contribuire a questo sentimento e quindi alla perdita di incantamento. Le cause vanno ricercate dal ruolo assunto dalla tecnologia nel trasformare tutto, natura, realtà, società, mondo in semplice calcolo, utilità, controllo, computabilità e funzionalità; nel sostituire ricche simbologie tradizionali, religiose e affettive, traducendole in semplici relazioni, efficienti, strumentali e misurabili; generando un sentimento di alienazione crescente, perdita di senso e di significati, svuotamento dell’esperienza personale. Il tutto con ricadute importanti di tipo esistenziale, etico, ontologico, di senso, estetico, 

Il disincanto tecnologico è oggetto di riflessione nella letteratura scientifica come fenomeno socioculturale e filosofico, nel suo essere collegato alla riflessione sul progresso, ai suoi limiti e alle sue conseguenze. In questo ambito il disincanto viene visto come la conseguenza di una maggiore consapevolezza razionale e scientifica (Max Weber) che ha sostituito l’utilizzo magico e strumentale della tecnologia con uno più critico. Senza magia, incapace ormai di creare meraviglia, incanto, autenticità, entusiasmo e innamoramento, la tecnologia viene percepita allora nella sua capacità di mercificare qualsiasi cosa, di produrre brutalità e violenza di linguaggio, do costruire mondi paralleli potenzialmente distopici, di generare consumismo, ma anche di semplificare la complessità del reale. 

Al disincanto può seguire il reincanto, come quello scatenato dall’arrivo delle nuove tecnologie di IA generative, ma è una fase che i disincantati percepiscono già nella sua limitata temporalità, tanti sono i segnali di potenziali disillusioni e nuovo disincanto. Uno degli effetti prodotti è la perdita di significato della tecnologia, forme di alienazione crescenti, scetticismo diffuso, accresciuto dalla difficoltà della ricerca (scettico deriva dal greco skeptikós e significa osservare, ricercare) e dalla limitata possibilità di trovare alternative. 

La tesi del disincanto tecnologico ha i suoi critici che evidenziano una visione troppo lineare e negativa della tecnologia come perdita di senso del mondo moderno, senza considerare che non tiene conto di come la tecnologia possa produrre senso e nuovi significati capaci di generare il re-incantamento. Secondo i critici la tesi del disincanto tecnologico è riduttiva e deterministica, non tiene conto del ruolo di pharmacon (cura e danno) della tecnologia, dipendente dal contesto e dall’uso che se ne fa. Queste critiche invitano a una lettura più articolata e complessa del rapporto tra tecnologia e cultura, evidenziando sia i rischi sia le potenzialità emancipatorie, innovative, di cambiamento. 

Le cause del disincanto tecnologico 

Le cause principali di disincanto tecnologico sono molteplici: 

  • L’uso continuo di dispositivi digitali e il sovraccarico di dati e di informazioni che ne deriva, genera noia, stanchezza, porta a una perdita di senso, allo svuotamento dei significati delle parole così come delle interazioni e relazioni online.
  • La percezione negativa su relazioni digitali vissute come disincarnate e insufficienti a soddisfare il bisogno relazionale umano autentico di dialogo e di costruzione del sé individuale.
  • La sensazione di essere sempre in una situazione di sovrastimolazione, incapaci di concentrarsi e costantemente distratti, disturbati, in balia di tecnologie che generano un surplus cognitivo e informativo, ma operano per rendere difficile un uso consapevole di dati e informazioni, la lentezza del pensiero, dei gesti e dei comportamenti, con il risultato di generare una stanchezza mentale, psicologica e anche fisica.
  • La percezione crescente di essere sempre più dipendenti da dispositivi e piattaforme tecnologiche, con una conseguente difficoltà a disconnettersi, che contribuisce a uno stato di frustrazione, stress, ansia e malessere, genera un sovraccarico cognitivo a causa degli eccessivi stimoli ricevuti. Ne derivano irritabilità, malessere psicofisico,
  • La paura e l'ignoranza legate alla comprensione e alla gestione delle nuove tecnologie, che possono portare anche a tecnofobia, e diffidenza verso le innovazioni, o al rifiuto delle tecnologie.
  • Ansia da performance e pressione sociale: l’uso continuo delle tecnologie può causare ansia legata all’aspettativa di dover sempre rispondere o essere all’altezza nei contesti digitali e lavorativi.
  • Conflitto di ruoli e cambiamenti rapidi: soprattutto sul lavoro, la tecnologia impone continui adattamenti che generano frustrazione e senso di inadeguatezza, anche a causa del gap generazionale.
  • Isolamento sociale e relazionale: l’uso eccessivo delle tecnologie rischia di sostituire le interazioni faccia a faccia, creando una solitudine percepita/reale che crea disagio e disaffezione al mezzo tecnologico stesso.
  • Dipendenza tecnologica: uso compulsivo eccessivo di dispositivi e servizi digitali, alimentata da meccanismi di ricompensa cerebrale legati alle notifiche e ai social network.
  • La percezione di una svolta violenta di Internet che sta generando forme di tecnofeudalesimo, caratterizzato da pochi che posseggono le piattaforme e molti vassalli e valvassori, moltitudini di valvassini che semplicemente li seguono. La riflessione che ne deriva allontana dalle mitologie del dispositivo mobile e delle sue APP, spegne i sogni dell’era delle macchine trasformandoli in incubi, suggerisce l’abbandono delle piattaforme e di costruire un nuovo equilibrio personale tra analogico e digitale.
  • La manipolazione e la violenza subita attraverso chiamate indesiderate, messaggi malevoli e richieste continue dai dispositivi, che rubano attenzione, tempo e in alcuni casi anche denaro.
  • Paura di perdere eventi importanti (FOMO): il timore di essere esclusi da informazioni sociali o professionali spinge a un uso costante e ansiogeno della tecnologia. 

Disincanto tecnologico e ruolo dei media 

I media svolgono un ruolo significativo nel diffondere sfiducia tecnologica attraverso diversi meccanismi: 

  • Amplificazione della polarizzazione e della diffusione di notizie false o tendenziose, grazie agli algoritmi di personalizzazione che filtrano e presentano contenuti che confermano le opinioni degli utenti, limitando la diversità di informazioni e aumentando la sfiducia verso le fonti informative tradizionali.
  • Creazione di spazi per la diffusione di disinformazione e teorie complottiste, che minano la fiducia nelle istituzioni, nella scienza e nei rappresentanti politici, specialmente nelle fasi di crisi come è successo durante la pandemia di Covid-19.
  • Processo di trasformazione dei media tradizionali e social media che, se da un lato offrono una partecipazione pubblica più ampia, dall’altro alimentano la polarizzazione e il disordine informativo, che generano insicurezza e sfiducia.
  • La facilità con cui i media digitali e social possono veicolare contenuti manipolativi o di bassa qualità influisce negativamente sulla percezione della tecnologia, accentuando il senso di manipolazione e perdita di controllo dell’individuo.
  • I media stessi evidenziano spesso i rischi e i danni legati all’uso della tecnologia, contribuendo a un racconto in cui prevalgono paure e aspetti negativi, il che può rinsaldare la sfiducia tra il pubblico. 

Algoritmi e disincanto tecnologico 

Ad alimentare il disincanto è anche l’algoritmo, sempre più potente e invasivo, sempre più al comando e al nostro fianco in tutti gli ambiti della vita umana. 

Gli algoritmi alimentano il disincanto e la sfiducia tecnologica attraverso i pregiudizi (le discriminazioni) di cui sono, per la programmazione ricevuta, portatori. Il disincanto nasce anche dalla difficoltà ad accusare di intenzioni malevoli e a richiamare all loro repsonsabilà gli sviluppatori degli algoritmi. Poi sorge il dubbio che nessuna formula matematica possa garantire la tranquillità dei singoli individui e delle comunità di persone sul comportamento degli algoritmi. 

Alcuni dei pregiudizi di cui sono portatori gli algoritmi: 

  • Gli algoritmi di social media sono basati su dati di addestramento che spesso riflettono pregiudizi umani e disuguaglianze sociali, portando a risultati distorti e discriminatori. Questo può generare sfiducia, in particolare tra gruppi emarginati o discriminati, che percepiscono un trattamento ingiusto o una rappresentazione falsa. Sempre comunque la costruzione di false realtà genera illusioni e disillusioni, avvicinamenti rapidi e fughe veloci, soprattutto tanto malessere e forme di disagio
  • I pregiudizi algoritmici favoriscono i contenuti che aumentano l’interazione dell’utente, per questo diventati virali, spesso promuovendo notizie sensazionalistiche, polarizzate o false. Questo alimenta la disinformazione e la polarizzazione sociale, minando la fiducia nelle tecnologie sociali e nelle piattaforme digitali.
  • Algoritmi che rinforzano le cosiddette filter bubble e camere dell’Eco tecnologiche, limitano l’esposizione a idee eterogenee e diverse, creando una percezione distorta della realtà e aumentando la sfiducia verso fonti esterne o istituzioni in generale.
  • La mancanza di trasparenza e la complessità degli algoritmi alimentano il senso di impotenza e sospetto degli utenti, che non comprendono come e perché certi contenuti vengono mostrati, aumentando la sfiducia verso la tecnologia.
  • Il pregiudizio algoritmico può cristallizzare stereotipi e discriminazioni sociali (per esempio, di genere, etnia, età) nelle decisioni automatizzate, come selezione del personale o raccomandazioni, evidenziando l’inequità di questi sistemi e agendo da fattore di sfiducia.
  • Il pregiudizio algoritmico può essere visto come legato alla natura umana. Gli esseri umani sono noti per lasciarsi guidare dai loro pregiudizi e stereotipi. Lo fanno nelle loro vite ma anche proiettandoli sugli altri come individui, gruppi sociali e sistemi di valore. Nei loro modelli cognitivi si lasciano guidare da mancanza di immaginazione e la pigrizia nel dare il giusto peso alla complessità delle cose. Il risultato è spesso un insieme di conseguenze negativa. Le persoe che oggi sono diventate cieche nei confronti della tecnologia sono incapaci a cogliere la complessità delle situazioni e a dimentica buone pratiche ed eventi. L’effetto si vede nei problemi e nelle conseguenze generati. La nostra ignoranza sulle tecnologie odierne e la crescente autonomia degli algoritmi, che tutto sono tranne che infallibili, genera una reazione preoccupata che si traduce in disincanto e sfiducia.
  • Il disincanto verso gli algoritmi nasce anche dal loro impiego al servizio di forse militari, di intelligenza e di polizia del mondo. Questi servizi utili per combattere malaffare e criminalità vengono in realtà percepiti come utilizzati anche per altre finalità che comportano la diffusione del controllo e della sorveglianza, la limitazione delle libertà individuali.
  • Oltre ai pregiudizi gli algoritmi si dimostrano incapaci a cogliere i cambiamenti economici e culturali, come quelli che hanno caratterizzato la stagione dei diritti, del genere, del ruolo della donna e molti altri. Ne derivano semplificazioni, difficoltà, spesso semplicemente per il tipo di dati storici (pregiudiziali) archiviati, analizzati e usati. La nostra ignoranza crescente e il fenomeno della delega, unitamente all’accresciuta autonomia degli algoritmi, finisce per porre numerosi interrogativi su come e quanto rapidamente chi ha sviluppato gli algoritmi possa intervenire per adattare l’algoritmo ai cambiamenti in corso o già avvenuti.
     

Bibliografia e referenze 

Il disincanto tecnologico non è argomento diffuso, ma può contare su numerose referenze, opere, riflessioni e discussioni. 

  1. Max Weber – Il concetto di disincanto di Weber emerge in opere come La scienza come vocazione e più in generale nella sua teoria della modernità, dove il mondo diventa “disincantato” nel senso che le cose si rivelano calcolabili, prevedibili, controllabili, piuttosto che mistiche o sacre.
  2. Disenchantment Revisited di Sam Han (2015) – Un articolo che esplora il discorso tecnologico nella modernità, sostenendo che il disincanto non è solo un fenomeno epistemologico o intellettuale, ma un cambiamento ontologico: il modo in cui comprendiamo cosa è reale, cosa è natura, cosa è umano.
  3. Disenchantment and its Discontents di Ralph Schroeder (1995) – Prospettive weberiane sulla scienza e la tecnologia, che mettono in luce come il disincanto sia centrale nella struttura della società moderna. (Wiley Online Library+1)
  4. Narratives of Disenchantment and Secularization (ed. Yelle, etc.) – Questa raccolta riesamina l’idea di disincanto di Weber e come queste idee si intersecano con la secolarizzazione, la modernità, la cultura, il mito e la religione. (Bloomsbury)
  5. The Re-enchantment of a Technologically Disenchanted World: An Affirmative Critique of Anti-surveillance Art (2025) – Un lavoro più attuale, che sostiene che nei contesti del capitalismo della sorveglianza e del disincanto tecnologico, l'arte può funzionare come una forza di reincanto, contribuendo a ripristinare la speranza, l'azione etica e la connessione affettiva. (SpringerLink)
  6. Bernard Stiegler – Il filosofo francese riprende le tesi di Max Weber per esplorare il disincanto tecnologico come fenomeno della modernità nella fase attuale di capitalismo neoliberista. L’attenzione è focalizzata sul malessere sociale e la perdita di senso. Il libro "L'era della disgregazione: tecnologia e follia nel capitalismo computazionale" affronta la crisi del disincanto nel contesto del capitalismo iperindustriale e digitalmente in rete
  7. Leo Marx – con il suo libro The Machine in the garden: technology and the pastoral ideal in America (1964) è un lavoro di critica letteraria sull’industrializzazione dell’America e l’interruzione degli scenari pastorali americani a d opera delle tecnologia tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. L’opera si collega alle opere di altri scrittori americani come Henry David Thoureau, Herman Melville, Ralph Waldo Emerson, Nathaniel Hawthorne, Mark Twain, Frank Norris, Henry Adams, Henry James, and F. Scott Fitzgerald.
  8. A Discourse on Disenchantment: Reflections on Politics and Culture di Gilbert G. Germain- Questo libro è il primo studio completo del dibattito in corso sullo status del nostro mondo disincantato, un mondo spogliato di forze misteriose e soprannaturali dal potere demitizzante della ragione e della scienza moderna. Riunisce per la prima volta gli scritti di vari teorici su questo tema, come Georg Lukács, Theodor Adorno e Jürgen Habermas, fornendo una panoramica coerente di un dialogo in evoluzione, nonché la valutazione personale di Germain della problematica del disincanto.
  9. The Myth of Disenchantment: Magic, Modernity, and the Birth of the Human Sciences" by Jason Josephson Storm (2017) - This book challenges traditional views of disenchantment, analyzing intellectual histories of modernity, magic, and technology.
  10. The Enchantments of Technology by Lee Worth Bailey (2004) - Esplora il rapporto paradossale tra tecnologia e incanto, mostrando come la società tecnologica contenga sia disincanto che un incanto continuo.
  11. Disenchanted Night di Wolfgang Schivelbusch (2024) - Uno sguardo storico al modo in cui la tecnologia dell'illuminazione artificiale ha plasmato la coscienza moderna, toccando il tema del disincanto tecnologico.
  12. Reviews and analyses on "The Myth of Disenchantment di Jason Josephson Storm scritto per sfatare le visioni tradizionali sul disincanto proponendo una comprensione sfumata della modernità e della magia.
  13. Il tempo del disincanto di Massimo Ilardi, che affronta il disincanto nella modernità, includendo la tecnologia come fattore centrale nella crisi della modernità e della società contemporanea.
  14. Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta di Carlo Mazzucchelli, un testo che parla di disincanto tecnologico, riflessione critica sulla tecnologia e sulla necessità di riappropriarsi del controllo sulle nostre vite digitali.
  15. Oltrepassare - Intrecci di parole tra etica e tecnologia di Carlo Mazzucchelli – Il libro parla di disincanto tecnologico e delle sue implicazioni etiche e sociali.

 

 

 

StultiferaBiblio

Pubblicato il 02 ottobre 2025

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – Co-fondatore di STULTIFERANAVIS

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