1.
Ostenta la mostruosa mascolinità sul bancone dell'osteria José Arcadio, marinaio, “una mascolinità inverosimile, interamente tatuata con un intrico rosso e azzurro di scritte in varie lingue”, esce nel patio solo per orinare sotto il castagno il vecchio colonnello Buendía, e poi torna a cesellare pesciolini d'oro; scaglia lo sgabello Esteban contro Esplosione in una cattedrale, tela sinistra e profetica, specchio del suo destino; Zavalita guarda l'avenida Tacna, senza amore, guarda e pensa: automobili sgangherate, edifici stinti e diseguali, scheletri di avvisi luminosi sospesi nella foschia: quand'è che il Perú si è fottuto? Cemí, Fronesis e Foción, seduti sul muretto del Malecón nel profumo della notte e del mare parlano e parlano citando con voluttà Platone Sant'Agostino San Tommaso; cammina sul marciapiede sotto la pioggia Horacio Oliveira, a Parigi o a Buenos Aires, il capo chino, le mani affondate nelle tasche; Cuba Venegas ancheggia nel buio, la sua voce galleggia nel fragore degli strumenti a fiato; Artemio Cruz morente delira ricordando "il rumore fresco e dolce della carta moneta e dei buoni del Tesoro nuovi quando li prende la mano di un uomo come me".
2.
Cosa ci spingeva a leggere García Márquez e Carpentier e Vargas e Lezama e Cortázar e Cabrera Infante e Fuentes? Il desiderio di terre lontane, il piacere di pagine ben scritte, il sogno di un mondo libero da dominio. "E' scoccata l'ora dell'America Latina", scriveva Roger Caillois su Le Monde attorno alla metà degli anni sessanta: con il trionfo di Castro e del Che, con il boom di Márquez e Fuentes l'oggetto ispanoamericano ci appariva d'improvviso, caldo e luminoso e verdeggiante, nuovo.
Ma l'aspetto favoloso e solare di Macondo ci abbagliava: non erano pagine nuove.
3.
Basta allargare lo sguardo perché l'incantesimo si spezzi. Il romanzo latinoamericano era già stato scritto in Europa: da Conrad, da Valle-Inclán, anche da sir Arthur Conan Doyle: Nostromo rema lentamente nelle tenebre, portando con sé i sensi di colpa e i lingotti d'oro; Tirano Banderas ha gli occhi protetti da lenti scure, rumina coca, agli angoli della bocca una bava verde, mentre gioca alla rana con gli amici, e intanto i sicari -spari in lontananza- annientano gli oppositori; sotto la volta fumosa della Queen's Hall, Regent Street, Londra, sbatte le ali lo pterodattilo del professor Challenger.
4.
Guardare dietro, guardare intorno ai romanzi di García Márquez, di Fuentes, di Carpentier, di Asturias: leggerli come capitoli di un romanzo più vasto, un romanzo che trabocca dai libri e attraversa teatro, cinema, musica, ogni genere espressivo. Un romanzo barocco, ridondante, del quale Márquez e Fuentes e Vargas fanno parte come personaggi, come del resto accade nei loro stessi romanzi; e con loro c'è Bolívar, c'è Lope de Aguirre, ci sono indios, avventurieri, c'è la natura eccessiva e l'oceano sconfinato. E' un testo infinito, una rete di rinvii, una spirale senza centro, e leggere è anche mettersi in viaggio, allontanarci dall'Europa, "finché tu, viaggiatore, sarai arrivato alla regione dove l'aria è più trasparente", l'America tropicale.
Rimandi, frammenti, echi, dentro e fuori dal romanzo. Senza bussola, senza mappa. Viaggio nel caos: non tutto può essere esplicitato; lo sguardo rischia di smarrirsi lungo i tronchi e tra i rami di questo labirinto. Ma, in qualche modo, solo dopo esserci persi tra queste pagine -l'America Latina raccontata dagli altri- potremo tornare a leggere García Márquez e Fuentes e Carpentier.
5.
C'è la poesia del nuovo mondo che nasce: "tutto era in sospeso, tutto era calmo, in silenzio; tutto immobile, senza voci, e vuota l'estensione del cielo", "non c'era ancora uomo, né animale, né uccelli, pesci, granchi, alberi, pietre, grotte, precipizi, né erba n‚ boschi: solo esisteva il cielo": è l'origine di tutto, un istante prima della creazione, nel Popol Vuh, il Libro della Comunità del Quiché, la Terra-dei-molti-alberi.
6.
E c'è lo stupore di Colombo, il suo primo sguardo posato sul Nuovo Mondo. Nel corso del terzo viaggio giunge al delta dell'Orinoco: meraviglioso spettacolo, impressionante apparizione: la solitudine assoluta della fitta foresta che sembra galleggiare: le mangrovie -chiome verdi emergenti dalla marea, isole senza confini, intrico di rami che sono anche radici- appaiono come un mondo mobile, in fieri, la cui creazione non è ancora terminata.
Come darsi ragione di questi miracoli della natura? E come descriverla agli abitatori del Vecchio Mondo?
Conquistadores, missionari, esploratori erano partiti "per andar a discobrir a la parte dell'osidente per la via de la mar Ozeana"; in cinquant'anni di fatiche sovrumane, di polvere, di sudore, e di ferro avevano risalito i fiumi con imbarcazioni di fortuna; protetti da armature o armati della sola croce, a piedi o a cavallo, avanzando nella selva, negli umidi pantani, nel gelo delle montagne, avevano lasciato alle spalle i monumenti di altre civiltà, la varietà degli animali, delle piante, degli uccelli e degli insetti: cercavano l'oro, la ricchezza, ma cercavano anche, brancolando, punti d'intesa con le terre e le popolazioni che così inaspettatamente si erano rivelate loro. Conquistadores, missionari, esploratori, di fronte al Nuovo Mondo avevano vissuto "i sussulti di una conversione", e il "discoprimento delle Indie" doveva davvero essere parso loro "la maggior cosa dopo la Creatione del Mondo, eccetto la Incarnatione, e morte del figliolo di Iddio, che lo creò".
Cronache spesso ridondanti e ripetitive - cronache di stranieri che guardano un mondo sconosciuto con ansia, con gioia, con angoscia, con cupidigia. Cronache che raccolgono tutto, anche i dettagli a prima vista trascurabili, perché di fronte al mistero del nuovo non si sa da dove partire, non si sa a cosa appigliarsi. Dati ammassati alla rinfusa nelle categorie dell'esotico e del meraviglioso, flusso di parole che citano altre parole, pagine che si rimandano l'una l'altra, pagine ingenue e lacunose, pagine apocrife, pagine scritte in lingue diverse, pagine frutto di osservazione empirica e pagine frutto di altre letture e di miti remoti, polemiche tra conquistadores, tra ordini religiosi, pagine che tornano su se stesse e alle proprie radici come i rami e i tronchi della mangrovia: chi ha scritto le false lettere di Vespucci? Si sovrappongono e si intrecciano le cronache in latino di Pietro Martire, cappellano della regina Isabella; le polemiche lezioni di Francisco de Vitoria all'Università di Salamanca (la Conquista è legittima?); le prese di posizione di Sepúlveda (si può dire che gli indiani siano schiavi degli spagnoli in conformità alla dottrina della Politica di Aristotele?); la narrazione dell'avventuroso ritorno di Cabeza de Vaca e l'Historia General di Bernardino de Sahagún, sterminata enciclopedia del mondo messicano, scritta in náhuatl; le lettere di Cortés, e la Historia di Gómara, e la Verdadera historia di Díaz del Castillo.
7.
Due figure riassumono tutti gli sguardi che si poseranno su questo Nuovo Mondo: Las Casas e Oviedo, l'Apostolo degli indigeni e lo Storico Ufficiale.
Las Casas, uomo del Medio Evo, fanatico e intransigente, vede le cose come vorrebbe che fossero o come dovrebbero essere, giudica il mondo prima che a osservarlo. Volendola imbrigliare e battezzare, la novità del Nuovo Mondo gli sfugge. Oviedo, uomo moderno, erasmiano, per formazione italiano del primo cinquecento, nelle violenze degli spagnoli non vede reati verso l'umanità, ma cattivo servizio reso agli interessi del sovrano, politica errata e miope.
Las Casas aveva potuto consultare le carte del figlio di Colombo, e tra queste i Diari di Cristoforo (e noi li conosciamo solo attraverso la sua trascrizione). Oviedo aveva frequentato Colombo prima e dopo il primo viaggio: nel 1492, quindicenne, era mozo de cámara del viziatissino Infante Don Juan, di cui divennero poi paggi, e amici di Oviedo, Diego e Fernando Colombo.
Las Casas, vita oscura prima di viaggiare nelle Indie, fu prima encomendero e poi -convertito alla causa degli indios dalle "infami e indicibili crudeltà" dei conquistadores-, sacerdote, il primo sacerdote ad essere ordinato nel Nuovo Mondo. Pasqua del 1514 a Cuba: Las Casas si accinge a leggere il suo sermone quando gli capitano sotto gli occhi i versetti dell'Ecclesiastico: "Offrire in sacrificio un bene male acquisito, è farsi beffe, /.../ L'Altissimo non gradisce le offerte degli empi/.../ poco pane è il nutrimento del povero/ privarlo di questo è commettere un delitto/". E decide di improvviso, racconta, di rinunciare alla ricca encomienda; sale sul pulpito e si scaglia con parole di fuoco contro gli attoniti coloni. (Anche Montaigne, letta la Historia di Gómara, di colpo comprenderà l'orrore della Conquista: "tante città rase al suolo, tanti popoli sterminati, tanti milioni di uomini passati a fil di spada, e la più ricca e bella parte del mondo sconvolta per il commercio della perle e del pepe").
E Oviedo invece, si sceglie come maestro Plinio, e rimpiange di non poter vedere ritratti da Leonardo o dal Mantegna certi aspetti stupefacenti della natura delle Antille e del Nicaragua. (Oviedo aveva conosciuto davvero "Leonardo de Vinçe e Andrea Manteña, famosos pintores", quando poco più che ragazzo, impugnando un paio di forbicine fatte fabbricare apposta per lui da Margherita d'Austria, figlia di Massimiliano e vedova del principe don Juan, si esibiva nelle corti europee come virtuoso nel gioco, allora di moda, di ritagliare minuscole figurine: emblemi della Passione, stemmi reali ricavati in pezzetti di carta più piccoli di una moneta -ed era già allora l'attitudine per i minuscoli dettagli, la stessa lucidità minuziosa che ritroveremo nelle sue descrizioni naturalistiche).
8.
Mentre evangelizza l'America, la Spagna si arricchisce con l'oro americano. La storia della Madrepatria si interseca e si confonde con quella della Colonia.
Teresa de Avila può edificare il suo primo convento riformato perché le giungono inattesi e provvidenziali cento pesos da Lorenzo, uno dei suoi sei fratelli andati a cercare fortuna in America. Lorenzo tornerà dal Perú quindici anni dopo, ricco encomendero, conosceranno allora per la prima volta la Spagna i suoi tre figli, due maschi e una bambina di otto anni, Teresita, che crescer… nel convento della zia, "e ha un suo modo angelico di essere e di parlare, e sa divertirci molto nelle ricreazioni raccontandoci degli indios e del mare".
E la letteratura spagnola si nutre di linfa del Nuovo Mondo.
L'Inca Garcilaso, di nobile stirpe spagnola, era imparentato con il poeta omonimo, ma anche figlio della principessa Chimpu Ocllo, sangue imperiale, cugina di Atahualpa. Era uomo di straordinaria sensibilità, ma anche uomo d'armi; di formazione umanistica, ma anche uno dei primi cultori del 'meraviglioso' tropicale. Poco più che ventenne è in Spagna. Ma resta estraneo al mondo spagnolo: le radici restano laggiù, nel Perú lontano. A beneficio dei lettori europei, scrive dell'America: nei Comentarios Reales i costumi preispanici e della colonia, e nella Florida la vicenda storica fantasticamente riletta, nota Pedro Henríquez Ureña, "come se fosse letteratura di immaginazione". (Già qui anticipati in tutto, nello stile e negli intenti, i García Márquez i Fuentes e i Carpentier. E a José Cemí, che è Lezama, piace affabulare intorno a tutto quello che Garcilaso doveva aver raccontato a Góngora, "quando entrambi si trovarono a Cordova", racconti fantastici con sempre al centro l'America, la terra che sprigiona immagini).
Sor Juana Inés: gentile perfezione, pervicace volontà di sapere, conoscenza come piacere. Sor Juana, figlia del suo tempo, legata a modi di espressione rigidi e artificiali, ma anche liberissima. Osserva la natura, scrive e ha negli occhi l'immagine di un mondo nuovo (in questo lontanissima da Góngora -come nota Lezama). Lei chiusa nella sua cella -meglio il convento che il matrimonio- cella che è anche salotto e anche biblioteca, nella remota capitale della Nueva España, tra i suoi libri e i suoi strumenti scientifici, scrive i suoi versi, che saranno stampati in Spagna, grande successo editoriale. Poi la Respuesta a Sor Filotea, autodifesa della libertà intellettuale e storia di un'avventura impossibile. Poi il silenzio, il drammatico confronto con lo spettro dell'Inquisizione, sullo sfondo di una città segnata da sommosse e dalla peste.
Alarcón: diffidente, astioso, pieno di rancore. Viene dal Messico -la Nueva España- uno dei drammaturghi del Siglo de Oro, forse il più apprezzato fuori dalla Spagna. Corpo deforme, palese contraddizione con l'immagine idealizzata dell'uomo nuovo che viene dalle Indie favolose, oggetto delle burle crudeli di Lope e di Quevedo. Ai valori vitali e romantici di Lope contrappone i valori astratti di una morale universale; alla vitalità spagnola, all'amore, all'eroismo, al sovrumano, all'incredibile oppone virtù più sottili: la dignità, la cortesia, il pudore, il sorriso; e un esotismo melanconico.
Ercilla, ricordando l'Orlando furioso, l'Inferno di Dante, l'Eneide, mette in versi l'epopea: di fronte agli eroi spagnoli si ergono, atteggiati in pose nobilissime, gli indomiti eroi indigeni, barbari difensori della loro terra. (E chiosa nel Laurel de Apolo Lope de Vega: "Don Alonso de Ercilla/ così ricche Indie nel suo ingegno possiede/ che dal Cile viene/ ad arricchire la Musa di Castiglia").
9.
Innumerevoli gli echi della Conquista.
E' di nuovo il viaggio verso la terra-che-non-ha-luogo, viaggio verso l'ignoto, e di questo viaggio eco magari imprecisa e brumosa, attraversa Brant, Erasmo, Tommaso Moro, Bacone, Campanella. Le Antille prendono nome dalla mitica Antilia, mai raggiunta da Colombo; secondo López de Gómara Colombo aveva letto Platone; le Indie sono per Oviedo le Isole Esperidi e per Bartolomé de Las Casas l'Atlantide: di qui partirà Bacone per viaggiare verso ancora ovest, verso la Nuova Atlantide; e con la Tempesta di Shakespeare gli uomini "naufragano sulla magica riva di quest'isola segregata dal mondo, approdano alla strana terra per pentirsi ed espiare". (Ariel, leggiadro e vago spirito che aspira alla libertà, e Calibán, natura istintiva e animalesca: figure simboliche, stereotipi che saranno usati dagli intellettuali latinoamericani per dire tutto e il contrario di tutto).
Lo scontro di due cosmografie è messo in scena da Lope de Vega nel Nuevo Mundo descubierto por Cristóbal Colón: da un lato Ferdinando il Cattolico, fedele alla tradizione, sostiene l'esistenza di un globo tripartito, e si rifiuta di credere che esista un mondo ancora da scoprire, dall'altro un Colombo eroe romantico, simbolo dell'insaziabile bisogno di esplorare. (Insaziabile bisogno che era già stato dell'Ulisse di Dante: "folle volo" nell'"alto mare aperto", oltre la "foce stretta/ dov'Ercule segnò li suoi riguardi/", arduo impossibile viaggio oltre i confini imposti dalla cultura medievale).
10.
Verso un nuovo orizzonte. Ma quanti sono i modi di viaggiare? I veri viaggiatori partono per partire, e non sanno perché. Viaggi come fuga e viaggi come radicamento, Conquista, ricerca dell'oro, ritorno alle origini, esplorazione scientifica.
Il fallimento dei viaggi di Raleigh, corsaro gentiluomo alla ricerca dell'Eldorado, segna la fine dell'epoca della Conquista, del saccheggio cieco. Ma i viaggi si susseguono: La Condamine e Bougainville ci lasciano resoconti dove all'avventura si sovrappone lo sguardo scientifico. Poi, Humboldt: il suo Viaggio è la definitiva acquisizione da parte della cultura europea di una immagine serena ed equilibrata dell'America tropicale. Il viaggio dura cinque anni, ma il viaggio delle riflessioni, dei ricordi, della scrittura prosegue poi per trent'anni. E cresce nel frattempo il progetto di Kosmos, descrizione dell'universo mondo fisico, frutto della piena maturità, tentativo di conciliare l'immediatezza della visione con la 'forma' scientifica della teoria. Un libro sulla natura, argomenta Humboldt, deve produrre nel lettore l'impressione di quella stessa natura. I piani espressivi, che dovranno essere 'mimesi' del mondo 'naturale', acquistano una importanza decisiva: e siamo di nuovo al romanzo, alle origini del romanzo latinoamericano, calco letterario di un mondo contraddittorio, labirintico, barocco.
Nel rimandare lo sguardo all'oggetto esotico scienza e letteratura si rinforzano e si scambiano i ruoli: Humboldt aveva amato le pagine esotiche di Bernardin de Saint Pierre e Chateaubriand. Per loro, come per Voltaire e Marmontel, poco contava la fedeltà storica e geografica, poco contava la collocazione della vicenda in Oriente o in un'America che era solo decorazione. E ora lo sguardo di Humboldt, attento, accurato, ma anche partecipe, apre la strada ad un'altra generazione di scrittori romantici. Sempre la natura dei nuovo continente come incantesimo, grandi descrizioni di paesaggi e di fenomeni naturali. Ma l'America non è più terra dell'utopia, è terra della speranza, una speranza concreta e tangibile, la terra desiderata da tutti gli spiriti rivolti verso il futuro. Ottilie annota nel suo diario: "come mi piacerebbe sentire una volta un racconto dalla bocca di Humboldt!" In quegli stessi anni Kleist, che non viaggiò mai in America, cerca in America -non una America immaginaria, ma l'America esplorata, descritta scientificamente da Humboldt- uno scenario autentico per situare una creazione artistica che sarebbe risultata forzata in Europa. E la lettura del Viaggio di Humboldt fresco di stampa accende in Charles Robert Darwin, studente al Christ's College di Cambridge, "un ardente desiderio di contribuire alla nobile struttura della scienza naturale", e Darwin allora si imbarcherà senza stipendio sul Beagle, trealberi della marina inglese in partenza per una missione di rilevazione cartografica intorno al mondo.
Anche Chamisso studia botanica, anch'egli, prima di Darwin, partecipa a una spedizione nei mari del Sud: scriverà un diario di viaggio, ma prima i versi robinsoniani di Salas y Gomez. Vent'anni dopo Darwin viaggia intorno al mondo Gonciarov. Fregata Pallade è l'esatta negazione di un libro di viaggio. Gonciarov, che è già Oblomov, si guarda intorno e non riesce a vedere niente di interessante, niente di commovente, niente di meraviglioso:
"che c'è di mirabile nel vedere, oggi, la palma e il banano, invece che in un quadro, in natura, sul loro suolo nativo, o nel mangiare direttamente dall'albero il mango e l'ananasso? E che di straordinario a perdersi negli immensi boschi di palme da cocco, a inciampare nelle liane rampicanti, fra alberi alti come torri? Di cose mirabili non ce ne sono: i viaggi hanno perso il loro carattere meraviglioso. Tutto scorre ad un livello prosaico. Nei deserti impiantano stazioni e hotels, attraverso voragini senza fondo tendono ponti."
Si commuove invece Lafcadio Hearn:
"L'enorme poema silenzioso di colore e di luce (voi che conoscete soltanto il Nord, non conoscete la luce), del cielo e del mare, dei boschi e delle vette, supera l'immaginazione fino a paralizzarla, irridendo il linguaggio dell'ammirazione, sfidando ogni capacità di espressione. Ciò che appare ai vostri occhi non potrebbe essere dipinto né cantato, poiché non vi è nessuna sottigliezza d'arte o di parola che lo possa rispecchiare. La natura realizza i nostri più elevati ideali di bellezza, come noi regaliamo giocattoli ai bambini."
Si può anche viaggiare, come Coleridge, leggendo un libro sui viaggi, e intanto fumando oppio e addormentandosi e risvegliandosi con un sogno da trascrivere. E si può viaggiare, semplicemente, leggendo: viaggi immaginari lasciano tracce indelebili nella nostra formazione: "quando chiesero a Ernst Bloch, d'indicare gli autori che avevano maggiormente influito sul suo pensiero, egli rispose facendo i nomi di Hegel e di Karl May, il Salgari tedesco".
E si può viaggiare ritornando mentalmente ai mondi conosciuti attraverso la lettura. Vespucci scrive a Lorenzo: mentre osservavo quelle "quattro stelle figurate come una mandorla" (per noi, oggi, la Croce del Sud) "mi ricordai di un detto del nostro poeta Dante, del qual fa menzione nel primo capitolo del Purgatorio, quando finge di salire di questo emisperio e trovarsi nello altro": "I' mi volsi a man destra, e puosi mente/ a l'altro polo, e vidi quattro stelle/ non viste mai fuor ch'a la prima gente./ Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:/ oh settentrional vedovo sito,/ poi che privato se' di mirar quelle!/". E Bernal Díaz del Castillo, che invece aveva nella memoria le scene dei romanzi cavallereschi, annota che quando "vedemmo tante città e villaggi sull'acqua, e sulla terraferma altri grandi centri abitati", "restammo sorpresi, e dicevamo che sembravano gli incantesimi raccontati nel libro di Amadigi".
E come Rimbaud nella Lettre du voyant, si può sempre viaggiare cercando una vita altrove; cercando un mondo inconnu: cercandolo attraverso il “dérèglement de tous le sens”. (Rimbaud conobbe il mare solo quando, chiusa la stagione della produzione poetica, viaggiò verso l'Africa, eppure aveva descritto prima il Tropico nei versi potentissimi del Bateau Ivre). "La vita è altrove": André Breton conclude il Manifesto del Surrealismo citando Rimbaud; la frase riappare sui muri di Parigi nel 68, e l'altrove è la fantasia al potere, ma anche, possiamo immaginare, un'altrove politico: l'America Latina del Che e di Castro (e poi la frase riappare di nuovo altrove, nel titolo di un romanzo di Milan Kundera che ha per tema la vita di un poeta).
11.
Alisei, bonacce sottovento, e l'emozione dell'arrivo al Caribe -i Caraibi, le Indie occidentali: "una regione di uragani, terremoti, ruscelli ribollenti, solfatare e inondazioni"; migliaia di isolotti, cayos, ricamano i bordi delle grandi isole tropicali, Cuba, Haiti, "come grumi di una enorme ferita verde". I cieli delle Antille, "fulgidi e sfavillanti". Il mare delle Antille, "col suo seno tremulo di smeraldi dove si sprofondava la vista, attrae, affascina, come affascinano gli occhi verdi e traditori delle fate che abitano palazzi di cristallo in fondo ai laghi".
La Martinica agli occhi di Gauguin, marinaio diciassettenne. E nel ricordo di Martin Eden, calde notti stellate, lunghe spiagge bianche, i lumi degli steamers carichi di zucchero ormeggiati nel porto, le voci di marinai ubriachi in lontananza, e le case di legno dai colori vivaci, i rumori del mercato, la siesta nell'amaca, l'intrico del verde. Tentiamo di rendere a parole la nostra emozione, ma "come sembrano grigie le parole dei poeti di fronte a questa Natura", scrive Lafcadio Hearn. Per lui toccare le Antille fu l'abbagliante rivelazione di una possibile felicità assolutamente terrestre.
12.
Vedemmo "una costa verdeggiante e di aspetto pittoresco: erano le montagne della Nueva Andalucía, offuscate dai vapori che delimitavano l'orizzonte a Sud", annota Humboldt. In quei pressi Raleigh aveva sognato di vedere un lago immenso, con innumerevoli tributari, "il lago di Manoa". E' la Guyana, radice amerindia che sta per "Terra d'acqua": viaggio per acqua, ancora, ma ora lungo un fiume "grande e possente", impassibile dio bruno. La sua "immateriale e misteriosa essenza fa danzare e fremere", la corrente è "calma e distesa come un lenzuolo", il fiume "somigliava a un immenso serpente disteso, con la testa sul mare e il corpo in riposo, che descriveva lontano una curva sopra una vasta regione, e la coda perduta nella profondità dell'interno".
Dove sono le misteriose sorgenti dell'Orinoco? Come entrare nella misteriosa valle della Guyana, protetta da catene montuose, fra il Rio delle Amazzoni e l'Orinoco, cercata ancora da Raleigh? L'Eldorado si confonde con le sorgenti del fiume, solo Humboldt intuirà la loro esatta ubicazione; Verne e Conan Doyle e Carpentier fantasticheranno ancora intorno a questi itinerari forse senza ritorno, oltre porte di mondi segreti, perduti.
13.
L'Orinoco, l'Amazzonia, l'antico Marañón, la Víbora Grande, la Gran Serpiente: immane spettacolo naturale, fascino primitivo e forza misteriosa. (Fragile equilibrio, anche: l'arrivo dell'uomo bianco in queste terre è un mostruoso e incomprensibile cataclisma). Risalgono l'Orinoco per avventurarsi nella selva il padre Gumilla, gesuita, e il musicista dei Pasos perdidos, che è Carpentier; il professor Challenger, che è Conan Doyle, alla ricerca di un Mondo perduto, mondo primordiale e incontaminato (río adentro sono le terre degli indios Yanomani, il misterioso Stato di Roraima); risalgono con Verne altri viaggiatori la corrente del Superbo Orinoco; nominato Governatore risale l'alto corso del fiume Rufino Blanco Fombona, poligrafo modernista, battagliero e avventuroso, fiero oppositore del dittatore Gómez (e il suo Viaje al alto Orinoco apre la strada a Gallegos, all'esaltazione della natura primitiva, che è Doña Bárbara; apre la strada a Rivera, la foresta è una Vorágine, madre divorante che afferra e annienta l'uomo, tentacolare abisso, caos primitivo che si distrugge e si riproduce all'infinito).
14.
Lévi-Strauss era fuggito dall'Università e dalla filosofia per rifugiarsi fra gli indios Tupi Kawahib. Gastão Cruls, brasiliano ma figlio di un naturalista belga, non era mai stato in Amazzonia: la ricreerà scrivendo. Solo a contatto con la natura selvaggia è possibile l'invenzione letteraria, pensa Quiroga, e lascia Buenos Aires per Misiones. Hudson sogna dalla periferia di Londra la tragica storia d'amore di Abel, fuggito lontano da Caracas, e di Rima, la ragazza-uccello. Vargas Llosa cerca di convincerci, e convincersi, che la foresta non ammalia e non impaurisce più. Per César Calvo invece (Ino Moxo, che era nato bianco, figlio di un cauchero, era rinato indio amawaka) la selva animistica e magica sopravvive ad ogni prova, il sogno e l'allucinazione sono l'estrema resistenza alla colonizzazione.
(Per noi che leggiamo da lontano, un unico enorme romanzo della foresta vergine: la selva rende necessaria una grande creatività linguistica; impone una inconfondibile cifra stilistica, tra lirismo e antropologia - ma ispira anche l'epicità comica di Pascarella).
15.
Fondachi sotto i portici di legno, lungo l'Orinoco, anche una terrazza che si sporge sul punto più stretto del corso del gran fiume: Angostura, 'Strozzatura', la capitale provvisoria di Bolívar diventa la Ciudad Bolívar di Canaima, punto di incontro di avventurieri e cercatori d'oro.
E alla foce, per chi arriva dall'Oceano, la meraviglia per la gran massa di acqua dolce: eppure l'ampiezza dell'orizzonte sembra quella del mare. Mostro geografico che Colombo non esitò a considerare indizio della vicinanza al Paradiso Terrestre. Non a caso qui, su di un'isola vicina alle bocas de Orinoco, Defoe colloca il naufragio di Robinson Crusoe: aveva raccolto elementi di cronache varie, in particolare dal racconto del naufragio su un'isola dell'arcipelago Juan Fernández, di fronte al Cile, poi però si era accorto che solo questo -nei pressi dell'Eldorado cercato da tanti viaggiatori- poteva essere lo scenario della sua utopia.
Anche Verne ricolloca in queste acque un famoso naufragio: Le naufrage de la frégate Méduse, anziché di fronte alle coste del Senegal, è rimesso in scena alla foce del Rio delle Amazzoni: qui Kazallon, naufrago del Chancellor, nel corso della colluttazione cade in acqua dalla zattera (la stessa Zattera, lo stesso naufragio in acque esotiche, della Salamandra di Sue, del quadro di Géricault). Ancora con Verne il Rio delle Amazzoni, ancora una zattera: la Jangada è qui un'enorme piattaforma galleggiante, con casa padronale e capanne per la servitù, che discende il fiume da Iquitos a Belém, ripetendo l'itinerario di La Condamine, di Orellana e di Aguirre.
Gonzalo Pizarro, e con lui Orellana, viaggiavano alla ricerca dell'Eldorado. Ma presto dovettero rassegnarsi a nutrirsi di radici e di frutti; Orellana e sessanta uomini si affidano alla corrente, in cerca di viveri. Un viaggio interminabile, spossante, di fiume in fiume. Incontri meravigliosi -le Amazzoni-, fino al labirinto della foce, fine alle paludi e gli acquitrini del grande delta, e poi finalmente il grande Oceano. Orellana, ora Adelantado e in pectore Governatore di quelle terre da colonizzare, tornerà dalla Spagna al comando di quattro navi. Ma sarà un viaggio maledetto. Solo due navi giungono alla foce, l'equipaggio è falcidiato dalle febbri. Orellana allestisce con i materiali dell'ultima nave una imbarcazione più adatta ai bassi fondali, si addentra, insiste con la forza della disperazione, muore di febbre: il fiume è allucinazione, miraggio dissolto.
E vent'anni dopo lungo lo stesso itinerario, armato solo della sua spietata determinazione, che forse è pazzia, o forse estremo coraggio iconoclasta, Lope de Aguirre. Aguirre osa sfidare la natura e la sorte, con una crudeltà senza limiti, fino all'allucinazione più devastante, malefica: il delirio di onnipotenza. Tutto è possibile, potere e ricchezza, e Aguirre blasfemo grida contro l'Autorità, sfida sua maestà Filippo II, parla farneticando a Dio, ed è una china che non potrà concludersi che in un bagno di sangue, fino al gesto estremo di uccidere la figlia perché dopo la morte del padre non resti nelle mani dei suoi avversari. (Così, citando Aguirre, Valle-Inclán farà morire la figlia per mano del Tirano Banderas). Con Aguirre la storia anticipa l'arte: c'è già qui il perverso carisma del Kurtz di Conrad; e Aguirre-personaggio-di-romanzo campeggerà nelle pagine di Uslar Pietri, Otero Silva, Ram¢n Sender, Abel Posse.
16.
Bougainville riferiva: "si tratta di una comunità che abita una terra fertile sotto un clima felice, i cui membri sono tutti laboriosi e in cui nessuno lavora per sé". Nelle Misiones, o Reducciones, dei Gesuiti in Paraguay, la quotidianità era scandita sui tempi di una liturgia che doveva apparire esoterica agli indios, nonostante lo spagnolo fosse sostituito dal guaraní.
Repubblica comunista, vita di elementare felicità secondo Montesquieu e Muratori, oppure dispotica teocrazia? Perché naturalmente le redini del governo restano in mano ai Gesuiti, come nota sarcastico Voltaire: "E’ cosa ammirevole quel governo. Il reame ha già più di trecento leghe di diametro, diviso in trenta province, e Los Padres possiedono tutto e il popolo nulla: capolavoro della ragione e della giustizia." Anche Diderot non vede che spietate tirannidi, grigi conventi: "quei crudeli Spartani in abito nero trattavano i loro schiavi indiani come gli Spartani trattavano gli Iloti".
(Tornano in scena le Reducciones: Il sacro esperimento, di Fritz Hochwälder, tragedia classico-idealista, appello alla coscienza umana. La prima in Svizzera, nel 1943, stabilisce una connessione tra stermini del Terzo Reich e genocidio degli indios sudamericani ad opera degli spagnoli).
17.
Hochwälder era espatriato dopo l'Anschluss, come espatriarono dall'Italia dopo le leggi razziali Antonello Gerbi verso il Perú, Roberto Mondolfo e i fratelli Terracini verso l'Argentina. (In Argentina, anche il polacco Gombrowicz).
Espatriare, emigrare: l'America Latina, terra ospitale, bisognosa di nuova linfa, accoglie i reduci sconfitti della guerra civile spagnola, gli ebrei vittime delle persecuzioni razziali e gli ultimi nazisti, così come aveva accolto al termine del secolo scorso la grande ondata immigratoria dell'Europa mediterranea.
Tra i suoi cardellini rossi e i poveri vasi di gerani anneriti un esule scrive su un balconcino che si affaccia sul fiume. E' Rafael Alberti, ed è il Rio de la Plata, ed è un altro arrivo: la nave è stipata di folla affacciata sulle acque gialle e rosse -fango, non è più mare, è un fiume di bassi fondali, braccia d'acqua, "con fondo di melma molle e nera".
Un ragazzo, che è Juan Carlos Onetti, chiuso in un suo mondo appartato legge il Voyage au bout de la nuit, e seduto sul molo guarda il fiume fantasticando sui nomi delle navi che arrivano dall'altro lato dell'Oceano: il bastimento avanza lentamente, poi lasciata alle spalle Montevideo, nel primo mattino appare ai viaggiatori questa grande città grigia e velata, Buenos Aires, la Gran Capital del Sur. Si entra in un porto strano. Gli emigranti gridano e si accalcano. Da riva si gettano arance, si lanciano concitati cenni d'intesa. E su "quel grande piroscafo affollato di contadini emigranti" ("navi nere e sonore", alte e solenni", annunciate dall'aspro grido delle sirene navali) c'è anche -dagli Appennini alla Ande-, solo, il piccolo Marco.
18.
Guillermo Henrique -o William Henry- Hudson, ottantenne, folgorato da una malattia ricorda, riandando la propria infanzia, quella Buenos Aires primitiva, ai tempi di Rosas: città insalubre, turbolenta, rumorosa che non immaginiamo osservando le stampe di Gullermo H. Moores ed i ritratti di Carlo Enrico Pellegrini. Pellegrini, patriota piemontese rifugiato a Parigi, era stato assunto come ingegnere di opere pubbliche dal governo di Rivadavia, ma l'infelice situazione politica l'aveva costretto a intraprendere la carriera di pittore -e suo figlio sarà Carlos Pellegrini, conservatore, Presidente della Repubblica per due anni. Anche il dotto napoletano Pedro De Angelis fu invitato in Argentina da Rivadavia. Era stato precettore dei figli di Murat; diventerà biografo del dittatore Rosas.
(Quasi centocinquanta anni dopo Naipaul ripercorrerà disincantato la storia del caudillismo, avendo sotto gli occhi l'ultima stagione di Perón).
19.
L'ansia di indipendenza dal giogo spagnolo è anche linguistica: Juan Bautista Alberdi propugnava l'abbandono dello spagnolo, lingua puerile, per il più virile francese. Ma la proposta più radicale è quella di Lucien Abeille, un francese membro della Societé de Linguistique di Parigi che nel 1900 pubblica un volume di quattrocento pagine per tracciare i lineamenti di una nuova lingua neolatina: el idioma argentino, expresión de una nueva raza, la raza argentina. E dalla Francia arriva per caso Groussac: diverrà in Argentina maestro di critica letteraria. Nascono a Montevideo Lautréamont, Laforgue e Jules Supervielle, poeti di lingua francese: l'ultimo, in particolare, trasporta in francese una scrittura lirica pensata in un contesto culturale ispanoamericano.
20.
La Pampa: sconfinati mari d'erba, mandrie, guerriglie, amori, fantasmi: l'epopea gaucha non è solo di Hernández, di Ascásubi, di Estanislao del Campo e di Güiraldes: Richard Lamb, che è Hudson, viaggia a cavallo verso una fattoria dell'interno, e poi di nuovo verso Montevideo. Osserva con sguardo straniero, ma partecipe e commosso, questa Purple Land, rozza landa desolata, a molte migliaia di miglia dall'Inghilterra, insanguinata da guerre fratricide; regna la violenza, ma tutto èriscattato dall'incomparabile bellezza degli orizzonti, dalla felice libertà che si respira nell'aria. (Un mondo giovane, come erano giovani allora Richard Lamb e William Hudson).
In queste terre le gesta crudeli di Rosas, Quiroga e tutti i caudillos, le campagna dei Federales contro gli Unionistas e degli Unionistas contro i Federales, la spedizione del comandante Argentino Roca in quel deserto che era allora la Patagonia: sterminare gli indios, aprire la nuova frontiera verso Sud. Ma, in queste terre, anche le nuove imprese di Robert Parker, alias Butch Cassidy, alias James Ryan, mitico ladro di bestiame, rapinatore a mano armata, leader del Train Robber's Syndicate, The Wild Bunch, il Mucchio Selvaggio. Correva voce che nel 1900 nella terra dei gauchos si potesse godere della stessa libertà conosciuta nel Wyoming, nel 1870. Perciò Robert Parker si sposta dal West in Argentina.
21.
Drake fa decapitare l'ammutinato Thomas Doughty a Punta della Forca, nei pressi di San Julián, nello stesso luogo dove cinquantacinque anni prima Magellano aveva impiccato Quesada e Mendoza, ammutinati. Con Magellano viaggiava Pigafetta: al momento dell'approdo, dalla nave -racconta- vedemmo un gigante che ballava nudo sulla spiaggia, "ballava, saltava e cantava, e cantando si gettava sabbia e polvere sulla testa". Era un indio Tehuelche, e pare avesse detto: "Ah, Patagon!". E ancora tra gli indios Patacones Bougainville -ma gli indios che lui conosce sono uomini miti e pacati, ben lontani dai mostruosi esseri descritti da Pigafetta, esseri di spropositata statura, ultima traccia di una umanità ai primordi.
22.
Patagonia, dicevano Coleridge e Melville per significare qualcosa di estremo: terra eccentrica per eccellenza, perfetta ambientazione per tutte le nostre fantasie di allucinazione e di solitudine: grandi naufragi, interminabili esilii, accanite e disperate colonizzazioni, vaneggiamenti su patrie perdute o immaginarie. Terra senza uomini, distesa monotona e inospitale, il vento accanito porta dalle distese polari mille e mille frecce che perforano ogni protezione per sciogliersi crudelmente nelle vene e nelle ossa. Lungo la costa, abbandono, abitazioni rudimentali; navi caricano balle di lana accumulate sulle spiagge e in baie remote. Nell'interno, spazi vuoti: non è questione di povertà, ma di assenza.
Vola nel buio verso Buenos Aires il Corriere della Patagonia di Saint Exupéry -volo notturno come ultima sfida, sfida con se stessi e con la natura aspra di questo ultimo lembo di terra australe. Hudson, Cendrars, Chatwin, Theroux, stranieri, percorrono senza fretta di nuovo queste terre spoglie e ventose e spopolate; Hudson cercando sulle rive del Río Negro gli uccelli migratori che venivano a svernare vicino alla sua casa a La Plata; Chatwin a piedi, cercando le tracce di parenti remoti, e di altri eccentrici. (Come l'avvocato de Tounens, che a trentatré anni lasciò Perigueux per recarsi in Patagonia. Aveva letto Bougainville e Voltaire e si era imbarcato nel 1860 col proposito di farsi proclamare re di Aracaunia e Patagonia).
E le sperdute isole che forse Vespucci scoprì, e che furono colonizzate da ventuno uomini, cinque donne e tre bambini di Saint-Malo: isole Maluines, appunto, Malvinas, che due anni dopo Bougainville consegnerà agli spagnoli, isole che poi gli inglesi rivendicheranno, Falkland, terra brulla e aspra di capre e di pecore, simbolo assurdo di nazionalismi irriducibili.
Scendere fino alla Terra del Fuoco, come Errico Malatesta, cercatore d'oro per finanziare il movimento anarchico; fino al Faro del fin del mundo di Verne, fino a Ushuaia, la città più meridionale del pianeta, stretta tra montagne a picco sulla baia, isole coperte di foche, e la la vecchia colonia penale, "squallidi muri forati da strettissime feritoie", "capovaloro di pietra e cemento più sicuro delle prigioni siberiane".
23.
Nel secolo scorso i missionari inglesi della Patagonian Missionary Society, uomini di seri e rigidi costumi, si impongono il compito di evangelizzare gli indios, ed al tempo stesso condurli verso la civiltà. In contrasto con i Salesiani, che in quei stessi luoghi tentano di riprodurre in qualche modo le Reducciones dei Gesuiti, credono sbagliato chiudere i 'selvaggi' in un mondo protetto. Perché è impossibile, e alla fine crudele, mantenerli gli Yaghan e gli Onas lontani dalla logica del denaro, e la religione del lavoro è meglio di quella dell'alcool.
Thomas Bridges, prima alle isole Falkland, poi fondatore della prima missione in Terra del Fuoco, che sarà Usuhaia, lavora dall'età di diciott'anni alla morte ad un dizionario della lingua degli Yaghan, per poter parlare con loro "dell'amore di Gesù" . (Il dizionario andrà perduto, solo dopo anni sarà fortunosamente ritrovato).
Suo figlio Lucas ancora adolescente sceglie di vivere con gli indios Ona, all'addiaccio, muovendosi a piedi nell'inverno antartico, cacciando guanacos -ma lui con il suo fucile, perché se vive da primitivo non rinuncia ad essere anche uomo moderno. E non si ferma a riflettere, come Levi Strauss, sulla triste fine del Buon Selvaggio: mentre parla la loro lingua, e vive pericolosamente con loro, si dà da fare per trasformare gli indios in tosatori di pecore. Favorisce così nei fatti l'incontro tra culture lontanissime, e intanto costruisce senza sensi di colpa la sua fortuna di latifondista.
In vecchiaia troverà il tempo per scrivere, e sarà allo stesso tempo commossa orazione funebre per un mondo scomparso, romanzo di formazione e di avventura, diario di viaggio, trattato antropologico.
24.
Gli Yaganes tenevano sempre il fuoco acceso, in canoa e sulla spiaggia. Se chi stava sulla spiaggia vedeva qualcosa che lo turbava, come una vela lontana, lanciava segnali di fumo per far tornare le canoe. Perciò questa fu, per chi navigava in queste acque venendo la lontano, la Terra del Fuoco.
Cabo de los Hornos, Capo Horn, distese di pack, balene, procellarie blu, indios in canoe di corteccia d'albero: osservano lo spettacolo Darwin e FitzRoy, sporti sul parapetto del Beagle. FitzRoy aveva nella sua cabina il Voyage towards the South Pole del capitano Weddel, che nell'estate 1822, in queste stesse acque, si era spinto più a sud di chiunque altro (lo stesso libro capitò a Richmond, Virginia, sulla scrivania del vicedirettore del Southern Literary Messenger, Edgar Allan Poe -e Gordom Pym vivrà in quei mari del profondo sud le sue avventure).
25.
Doppiato Capo Horn, scampata per miracolo alla tempesta, presso l'isolotto deserto di Santa María è calma piatta; il San Dominique appare da lontano immobile, sinistro. La Gioia dello scapolo si avvicina per portare soccorso. Poco a poco il Capitano Delano svelerà il mistero: don Benito Cereno è ostaggio degli schiavi. Le due navi e i due capitani navigheranno di conserva per più di un mese risalendo il Pacifico, coste frastagliate e verdi in questo estremo sud piovoso, dove nacque Neruda: l'isola Desolazione, l'isola di Chiloé, poi l'arrivo al Callao. A Lima avrà luogo il processo, il demoniaco Babo sarà condannato a morte. La Lima di Melville: "la più strana, la più triste città che ci sia". Chiese cariche d'oro e di orpelli, case basse senza tetto, cielo grigio, perché non piove mai, e grigie anche le onde enormi sulla spiaggia di Miraflores. (La Lima "sempre grigia" ritorna nel Black Book di Lawrence Durrel, nei ricordi di Lobo -erotismo a fior di pelle, "pesante ritmo peruviano").
La Lima dell'Ottocento, conosciuta dal Gauguin bambino: il 2 maggio 1866 nel porto del Callao, cannonate tra la flotta spagnola e le batterie peruviane. Il Nostromo della Numancia Diego Ansúrez non riuscirà a incontrare sua figlia. La stessa città di Martín Paz e della Carrosse du Saint-Sacrement (ma dove Pérez Galdós è accuratamente documentato, Verne e Mérimée si accontentano di fonti di seconda mano).
26.
Terre remotissime, scenari ideali per "quell'estetica dell'orrido e del terribile che si era andata svolgendo sullo scorcio del secolo decimottavo", catastrofi che possono essere lette da lontano come metafore, come in Das Erdbeben in Chili di Kleist -Santiago durante il terremoto del 1647, i due amanti massacrati dalla folla in una atto rituale di pubblica vendetta. E' una metafora anche il crollo del ponte di San Luis Rey -un Perú coloniale, immaginario, ma ricostruito con rispetto.
Terre che sono simbolo di tutti i luoghi lontani dall'Europa: nasce a Campamento, provincia di Arequipa (Perú, al confine con Cile e Bolivia) Archibald Olson Barnabooth, trasparente alter ego di Larbaud, cosmopolita con dieci milioni di sterline di rendita. Da questo luogo eccentrico, dalle Ande desolate, parte il suo interminabile grand-tour nel vecchio mondo, hotel di lusso, ristoranti esclusivi e Orient Express, abiti di gran classe e letture raffinatissime. Barnabooth è anche poeta, ma scrive "per proprio dispiacere": non ama fare commercio della propria letteratura, "preferisco vendere il guano, è più dignitoso e, detto tra noi, rende di più".
27.
Dopo gli incredibili bottini strappati dagli spagnoli in Messico e in Perù, Raleigh pensa di poter proseguire qui, in Guyana, la corsa all'oro.
L'oro: delirio di ricchezza, vera febbre, febbre che sarà rivissuta in California e nel Klondike nel secolo scorso, e che sar… raccontata da Blaise Cendrars; Cendrars, che in Rhum racconta della Guyana raccontandoci di Jean Galmot, uomo politico e finanziere, ma innnzitutto avventuriero, conquistatore dell'inutile, come il Kurtz di Conrad, come Lope de Aguirre, come il Fizcarraldo di Herzog, come come il Marco Vargas di Gallegos, come il generale Suter, come lo stesso Cendrars.
28.
Oltre le inquietanti masse algose dei Sargassi, cabotando lungo coste pericolose: siamo di nuovo nelle Indie Occidentali, al Caribe, Caraibi. Fuorilegge, oltre i sensi di colpa, oltre i confini del diritto, filibusteros (dall'olandese 'fare liberamente bottino'). La filibusta: nel diciassettesimo secolo, audaci imprese dei "fratelli della costa", gli eroi dei mari francesi, olandesi, inglesi. Come Drake, come il sanguinario Morgan, predatore al Servizio di Sua Maestà (e Steinbeck, che aveva l'aria di un capitano di lungo corso, o di un pirata, esordì romanzandone la biografia). E come Emilio di Roccanera, signore di Ventimiglia, che è Il Corsaro Nero di Salgari, alle prese con il traditore Wan Guld, ora governatore della città di Maracaibo. Echi di questa piccola epopea torneranno in García Márquez. Le isole, i rifugi, gli approdi, saranno di nuovo raggiunti; i saccheggi saranno di nuovo descritti da Carpentier: alla tradizione della filibusta si riallaccerà il Victor Hugues del Siglo de las luces. Ma anche qui già tutto era stato scritto, in nessuna pagina di Carpentier e in nessuna pagina di Steinbeck o di Salgari si respira l'avventura come nella favolosa Storia degli avventurieri, filibustieri, e bucanieri che si sono distinti nelle Indie scritta nel Seicento da Exmelin.
29.
Naipaul non vuole emozionarsi ricordando Trinidad, dove era nato per caso. Ma leggendo le pagine giovanili di Miguel Street e A House for Mr Biswas, ci perdiamo nei colori e nei sapori tropicali, nel traboccante sottofondo del calypso, negli scoppi di risa per le strade - e anche qui la pretesa novità del romanzo ispanoamericano anni sessanta è clamorosamente smentita.
Jean Rhys nasce a Roseau, Dominica. Da Londra rimpiangerà i colori, i sapori, la luce delle Antille: la sua infanzia perduta. La scrittura di Wide Sargasso Sea l'accompagnerà tutta la vita -ed è anche un viaggio letterario dentro un libro amato nell'adolescenza, Jane Eyre.
Saint-John Perse nasce nell'isolotto Saint-Léger-les-Feuilles, vicino a Guadalupa, e vive a Pointe-à-Pitre, Guadalupa, fino ai dodici anni; cinque anni dopo scriver… la prima lirica: Crusoe confronta le immagini felici della sua isola alla Londra sordida in cui termina i suoi giorni. Pagine giovanili, scritte in lode dei luoghi dell'infanzia.
Matthew Phipps Shiel nasce a Monserrat, Isole di Sottovento; per festeggiare i suoi quindici anni il padre, irlandese, lo fa incoronare re di Santa María la Redonda: un isolotto largo un miglio e mezzo non reclamato da nessun governo. (Il vescovo metodista di Antigua incorona il ragazzo, che ricorda quel momento: circondati da navi -"mio padre ne aveva molte"- e da ubriachi).
Le Antille: rotte percorse ripercorse, incrocio di storie e di razze, la stessa cultura raccontata attraverso lingue diverse: inglese; olandese; spagnolo; papiamento, che è lo spagnolo balbettato a Curazao, francese, créole: francese contaminato da lingue indigene e influenze africane (Morisseau Leroy tradurrà in créole l'Edipo Re - traduzione che è anche trasposizione culturale: in luogo degli dei greci vi troviamo, i loas, spiriti del pantheon vodoo di Haiti).
30.
L'isola Ayti, 'il paese delle montagne': Colombo la chiamò Hispaniola, gli spagnoli la chiamarono Santo Domingo, dal nome della città che sorgeva, la prima città d'America. Fu ribattezzata Haiti dall'ex schiavo guineano Dessalines quando imitando l'odiato Napoleone assunse la corona imperiale col nome di Jaques I. Toussaint Louverture aveva aperto la strada: anche lui nato schiavo, per dieci aveva guidato eserciti raccogliticci e male armati combattendo contro i francesi, gli inglesi, gli spagnoli (pare che Napoleone avesse detto: "Mai più lascerò dei gradi sulle spalle di un negro"; e inviò contro di lui il generale Leclerc, con una spedizione di cinquantaquattro navi e ventitremila uomini). Toussaint morirà in una prigione francese, ma neanche un anno dopo, il giorno di capodanno del 1804, Dessalines proclamerà l'indipendenza. Dessalines -analfabeta, arrogante, brutale- sarà poi assassinato da schiavi insorti. Da un lato, a sud, i mulatti, les anciens haitiens -la repubblica di Pétion; dall'altro, a nord, i negri antillani -cultura del voodoo, radici lontane: la repubblica, poi regno, di Henri Cristophe, Henri I. Cristophe, che un tempo aveva partecipato alla rivoluzione americana, volontario agli ordini di Lafayette, è ora il Cesare Nero, circondato da una corte da operetta, baroni, conti, cavalieri, chiuso nel palazzo reale di San-Souci, o sulla vetta di una montagna nella cittadella di La Ferrière.
La rivolta degli schiavi haitiani è per Kleist -Die Verlobung in Santo Domingo esce nell'anno del suicidio- l'occasione per affermare che gli ideali della rivoluzione conducono fatalmente alla perversione, e che dietro l'apparenza dell'amore si nasconde sempre la vendetta. Gli stessi eventi pochi anni dopo sono per il sedicenne Victor Hugo l'occasione della prima prova narrativa: Bug-Jargal, schiavo divenuto capo della rivolta sacrifica la vita per salvare quella che fu la sua giovane padrona, segretamente amata. Poi, nel pieno della rivoluzione del 48, Lamartine mette in scena il dramma di Toussaint Louverture: è anche autobiografia: genio dilapidato, febbre politica. (Per ultimo, come sempre, arriva a rielaborare un tema narrativo Carpentier: al centro del Reino de este mundo la corte di Henri Cristophe; nel Siglo de las luces ancora la rivoluzione francese alle Antille).
L'Ouverture, Dessalines, Cristophe: la loro ansia di libertà, crudele e contraddittoria, è rilettura confusa, barbara, degli ideali che sconvolsero l'Europa del Settecento. Ma è anche la fonte da cui nascono la négritude e il terzomondismo, miti che dall'Europa torneranno un secolo dopo in America Latina a legittimare la Cuba castrista: agli inizi degli anni sessanta Aimé Césaire metterà di nuovo in scena Henri Cristophe, parlerà di nuovo di Louverture; e Fanon, martinicano come Césaire, scriverà il manifesto dei damnés de la terre.
31.
Poeti all'Avana: Majakovskij passeggia, a prima vista la città sconosciuta appare bella e felice. Ma poi il Vedado, il nuovo quartiere, trionfo dell'american way of life: per ogni passante in lino bianco un esercito di lustrascarpe. E ne nasce una grande requisitoria poetica, dai toni enfatici. Federico García Lorca, a Cuba "come in casa propria", all'Avana comporrà il Son de negros, unica pagina serena dell'angoscioso Poeta en New York. Juan Ramón Jiménez trova all'Avana rifugio, lontano dagli orrori della guerra civile spagnola. Ricambierà con una antologia, La poesía cubana en 1936, e sopratutto con l'investitura di Lezama Lima, ignoto ventottenne che ponendo domande deborda, eccede, va forse anche oltre il maestro. Jímenez leggerà l'intervista e arrendendosi all'evidenza del genio commenterà: "nelle opinioni che Lezama Lima mi obbliga a scrivere con la sua pletorica penna, ci sono idee e parole che riconosco mie e altre che non riconosco. Ma quello che riconosco ha una qualità che mi obbliga a non abbandonarlo come altrui".
Quattro anni prima, trentaquattrenne, era morto di tisi Rubén Martínez Villena. Raffinato, decadente, 'dannunziano', aveva rinunciato alla poesia per la lotta politica ("io faccio a pezzi i miei versi, li disprezzo, li regalo, li dimentico: mi interessano tanto quanto alla maggior parte dei nostri scrittori interessa la giustizia sociale"). Era tornato in patria esausto da un sanatorio in Unione Sovietica, che forse era anche una prigione. Tra gli studenti al suo capezzale avrebbe potuto essere Lezama. (Le manifestazioni studentesche di quei giorni, che provocarono la caduta di Machado -secondo Villena, un asino con le grinfie- fanno da sfondo al nono capitolo di Paradiso. L'acoso, il clima di persecuzione, segna l'atmosfera di quei giorni: nel racconto di Carpentier, ma anche di Stanotte sorgerà il sole di John Huston).
32.
Wilfrido Lam (figlio di un ottantenne cinese immigrato a Cuba e di una meticcia criolla) torna da Parigi all'Avana nel 1941. Porta con sé Max Ernst, Andr‚ Breton e Lévi-Strauss. E' già la Cuba di Hemingway (andava spesso a pescare, e Life fotografava la scena; e il daiquirí era la bevanda dei minatori, bevanda rinfrescante ed energetica, ma Hemingway, diabetico, vi tolse lo zucchero). L'Avana prima della rivoluzione anche in Graham Greene -come in Lezama, Cabrera Infante, Sarduy: corrotta, viziosa, rutilante di luci, postribolo per gringos.
Poi anche l'energico sergente dattilografo Fulgencio Batista è derrocado: è il trionfo di una rivoluzione calda, latina. L'Avana è la patria dell'uomo nuovo, intellettuali progressisti di tutto il mondo visitano la Casa de las Américas. Tra gli altri, Juan Goytisolo: suo nonno, a Cuba, si era arricchito con il commercio degli schiavi.
33.
Città del Messico, Tenuchtitlán, 'fico d'India che cresce sulla pietra': il 12 novembre 1519 Motecuhzoma prende per mano Hernán Cortés, e gli mostra dall'alto della piramide di Huitzilopochtli la capitale del suo Impero, ordinata e ricca. Cort‚s, il viaggiatore barbuto venuto dall'Oceano, era forse il dio Quetzalcoatl tornato da Oriente su una casa galleggiante?
E sempre a fianco di Cortés, signore e padrone, la Malinche, schiava, amante e interprete, parlava il náhuatl e il maya, per gli aztechi era Lingua Tagliata, donna senza famiglia e senza futuro, per gli spagnoli era donna intelligente e coraggiosa, per i messicani sarà la chingada, la violata, il simbolo della crudeltà della Conquista e allo stesso tempo del tradimento. (La Malinche, Doña Marina, ritorna lungo tutta la letteratura messicana, fino a Paz, fino a Fuentes).
34.
Il Messico dell'Ottocento: il Marqués de Bradomín brutto, cattolico e sentimentale, e la Padroncina Chole, anche lei lontana erede della Malinche, creola incestuosa, lussuriosa. Passionalità, religiosità superstiziosa, e sullo sfondo i resti di antiche civiltà, banditi, indios, stranieri di ogni razza.
E la breve stagione dell'Arciduca Fernando Massimiliano d'Asburgo, fantoccio nelle mani di Napoleone III (con il suo impossibile sogno imperiale nasce l'America Latina: la denominazione che oggi per noi identifica il continente nuovo è un artificiale concetto europeo, un progetto imperiale europeo). Al suo fianco, sempre, Carlota, María Carlota Amelia Victoria Clementina Leopoldina, de Bélgica, Emperatriz de México y de América, cugina della Regina d'Inghilterra, Virreina de las Provincias del Lombardoveneto, figlia di Leopoldo Principe di Sassonia-Coburgo e Re del Belgio, figlia di Luisa Maria di Orléans, nipote di Luigi Filippo, nipote del principe Joinville, cugina del Conte di Parigi e sorella del Duca di Barabante che fu Re del Belgio e conquistatore del Congo, Reggente di Anáhuac, Regina del Nicaragua, Baronessa del Mato Grosso, Principessa di Chich‚n Itz , Carlotta, moglie di Ferdinando Maximiliano José, Arciduca d'Austria, Principe di Ungheria e di Boemia, Conte di Asburgo, Principe di Lorena, Imperatore del Messico e Re del mondo, Carlota delira, Carlota è impazzita, una folla esultante -nei quadri di Manet e nei murales di Rivera, nelle pagine di Werfel e di Fuentes e di Ferdinando del Paso- assiste il 19 giugno 1867, a Querétaro, alla fucilazione di Massimiliano, imperatore per mille giorni. (E Carlota gli sopravviverà per sessanta anni, chiusa nella sua alienazione e nel Castello di Bouchout).
I fasti del Secondo Impero si erano rivelati illusori. Il carisma del principe biondo venuto da lontano non aveva fatto presa sugli indios. Gli dei autoctoni si vendicarono così, con il sangue del "nepote di Carlo V", della ferocia di Cortés, canta Carducci.
35.
La rivoluzione "è un uragano; se ci sei dentro non sei un uomo, sei una foglia, una foglia morta portata dal vento". Al seguito di Pancho Villa non solo il medico Mariano Azuela, ma anche Santos Chocano (che pretendeva di essere il Whitman del Sud). Dentro la rivoluzione anche il nordamericano Ambrose Bierce -già combattente della guerra civile, maestro di Ezra Pound.
La rivoluzione sarà raccontata in presa diretta da John Reed. Ejzenstejn, finanziato da Upton Sinclair, verrà per girare Qué viva México!, colossale epopea, dagli aztechi a Villa. Due anni dopo sarà Howard Hawks a filmare la Rivoluzione; e dopo diciotto anni Elia Kazan e Steinbeck ripartiranno dallo stesso racconto di Edgcumb Pichon, ma solo per dimostrare che per i buoni (Madero), per i puri (Zapata) non ci può essere che il martirio.
Dopo la rivoluzione, i bambini saranno costretti a sputare su una immagine religiosa per essere ammessi alla scuola pubblica: scoppia la rivolta dei Cristeros. Tre anni di sangue che un cronista inglese racconterà ai lettori del Times: a Villahermosa, casupole di fango, il Capitán Bueno pigramente ormeggiato a una banchina del Malecón, dieci ore per scendere il fiume e due giorni di navigazione in mare aperto, sotto un sole cocente, per raggiungere Veracruz. I contadini si nutrono solo di fagioli e tortillas, l'ultimo prete rimasto li invita alla rassegnazione, le sofferenze sono preparazione a un paradiso dove i raccolti sono sempre abbondanti e non ci sono poliziotti. Poi lo stesso misero sacerdote, alcolizzato -il "prete del wishky"- sarà quasi un eroe di fronte al plotone di esecuzione.
(Anche sugli indios Chiapas -che riempiranno le pagine dei giornali quando negli anni '90 rimetteranno in scena la rivoluzione- era già stato detto tutto quando Ricardo Pozas, anticipando le storie di vita di Oscar Lewis, aveva dato voce all'indio Juan Pérez Jolote).
36.
A Città del Messico trovano rifugio reduci e cospiratori, anarchici e marxisti, ma anche Haya de la Torre, che vi fonderà l'APRA, tentativo di socialdemocrazia tagliata sulla misura dell'America Latina. Si rifugeranno qui i reduci repubblicani dopo la Guerra di Spagna.
Clandestinità, doppi nomi, identità incerte. Il vero cognome di Bruno Traven era Feige o forse Torsvan; sino al 1924 era Maurhut, poi Marut, anarcosindacalista tedesco. In Messico diventerà romanziere, il suo Messico avrà un un'impronta populista, dalla parte degli indios, dei bianchi sfruttati. Enea Sormenti, Carlos Contreras: il vero nome di Vittorio Vidali non comparirà mai sui giornali messicani. Frank Jackson, Jacques Mornard: è sempre Ramón Mercader, il sicario di Stalin che porrà fine alla vita di Trockij.
Trockij aveva trovato rifugio in Messico con l'aiuto di Rivera. Ma sua casa di Coyoacán è mitragliata da un commando del quale fa parte Siqueiros. Morte annunciata: tre mesi dopo è assassinato. Il precoce e geniale leader cubano Julio Antonio Mella (aveva progettato uno sbarco sull'isola, dopo Martí, prima di Castro) è brutalmente freddato: per ordine di Machado o di Stalin?
37.
Messico rivoluzionario nel quale riaffiora il passato, adorazione del sole e del sangue.
Messico tragico: Massimiliano fucilato, scomparso nel nulla Ambrose Bierce (cercava la morte con impazienza), assassinati Villa, Zapata, Trockij. Mella ammazzato per strada come il console Firmin, Burroughs che uccide involontariamente la moglie -morte misteriosa come quella di Yvonne- e che poi vagherà senza meta per l'America Latina, schiavo della morfina.
(In questa terra di machos tutto si spiega con le figure femminili. Dopo la Malinche, Sor Juana, Carlota, anche negli anni dello stalinismo due leggendarie presenze, tra passione e arte, militanza e tragedia: Tina Modotti, fragile vita schiacciata da certezze assolute, e Frida Kahlo -per André Bréton la sua arte "è un nastro intorno a una bomba").
Messico come mondo dal fascino perverso, terra di allucinazioni, di autodistruzione o di nuove soglie di percezione. Pulque, mezcal, peyote, tequila allacciano Lawrence e Huxley e Lowry e Burroughs (figli di Rimbaud) a Castaneda e alle remotissime fonti della conoscenza del suo maestro Juan. Messico come passato ancora vivo: Jung, Aby Warburg, e Lawrence in pellegrinaggio nel pueblo di Taos. Benjamin Péret prova a tradurre le Profezie di Chilam Balam. Messico visitato e raccontato e ri-sognato da Bréton, Cecchi, Le Clézio. Perché come scriveva Artaud: "gli Dei del Messico che girano attorno al vuoto ci offrono una sorta di mezzo cifrato per ritrovare a partire dal vuoto le forze di un vuoto senza il quale non c'è realtà".
38.
Mentre Steinbeck naviga lungo la costa, a metà tra letteratura e scienze biologiche, tra metafora e dramma, nelle periferie di Città del Messico, cresciute a dismisura, lottano per la vita i Figli di Sánchez, e scoppia l'impietosa ferocia giovanile degli Olvidados di Buñuel.
(Fuentes, lussuoso, lezioso, descrive questo mondo tentacolare senza riuscire a farci provare emozioni, mentre Paz da lontano -dagli Stati Uniti, dall'Europa- evoca la cultura messicana, questo labirinto di solitudine, sforzandosi di capire).
39.
L'Alta California, nella seconda metà del '700: la terra dell'utopia di fray Junípero Serra, francescano. Risalendo per mille chilometri verso nord la costa occidentale, le missioni: San Diego, San Francisco, San Gabriel, Santa María de los Angeles. Ancora alla metà del secolo scorso, prima della corsa all'oro, una terra abitata da non più di diecimila persone, paisanos di sangue spagnolo, indios, gli ultimi discendenti resteranno chiusi nel microcosmo di Tortilla Flat, Monterey -la California di Steinbeck: povertà, innocenza, superstizione, amoralità, generosità e assenza di scrupoli.
E la Florida scoperta da Ponce de León il giorno della domenica delle Palme del 1513, le Palme, los Ramos, la Pascua Florida, la Florida del Inca Garcilaso, come apparve una regione americana, come apparve quella nuova terra agli occhi dei primi viaggiatori -l'Adelantado Hernando de Soto e gli uomini che l'accompagnavano: "terra fertile e abbondante di tutto quello che è necessario alla vita umana". Le foci del Mississippi, dove vent'anni prima dell'approdo di Hernando de Soto aveva fatto naufragio Cabeza de Vaca, per poi attraversare sulla via del lento ritorno quella stessa foresta dove il giovane francese René vivrà solitario e triste, tra gli indios Natchez. Profondo sud degli Stati Uniti, il mondo primigenio di Faulkner, al centro la contea immaginaria di Yoknapatawpha, che è il luogo-simbolo che Onetti ricollocherà lungo il corso del rio de la Plata e chiamerà Santa María, che García Márquez ricollocherà al Caribe e chiamerà Macondo, mondi violenti ma incontaminati, l'opposto della Florida di oggi, Disneyword, sogno sintetico e Miami, opulento rovescio dell'America Latina sottosviluppata ma dignitosa e anzi altera.
40.
Ancora isole misteriose, islas Encantadas. Un arcipelago disseminato sulla linea dell'equatore, a più di duecento miglia dalla costa. Si innalzano sull'oceano immani pinnacoli, bianchi del guano degli uccelli, rocce eruttive, nere, popolate da creature prodigiose, iguana color di ardesia schizzate di un cupo carminio si tuffano in mare, colossali testuggini -galápagos, appunto- che sembrano venire a noi dalla più remota preistoria, e pinguini, pellicani, gabbiani, albatros: vi approda il Beagle nel 1835, e il giovane Darwin guarda stupito questa natura fuori dal tempo. (Pochi anni dopo sarà negli stessi luoghi il capitano Salvator R. Tarnmoor, che è il giovane Melville, marinaio su una baleniera). L'isola è una montagna, oscura, indistinta che si eleva sulla superficie dell'Oceano di fronte allo sguardo dell'Ulisse di Dante; l'isola di Bensalem, la Nuova Atlantide, forse le isole Salomone; l'isola da governare promessa dal Quijote a Sancho: "quello che posso darvi vi do, che è un'isola ben fatta, rotonda, ben proporzionata, e oltremodo fertile e rigogliosa"; e l'isola sulla quale, nella Tempesta, naufraga Prospero; l'isola nera di Tsalal -solo Arturo Gordon Pym e Peters si salvano dal crudele agguato degli indios alla Jane Guy; la Last Insland, l'Isola Estrema di Lafcadio Hearn. (Hearn era nato a Leucade, l'isola greca dalla cui alta rupe si gettavano gli amanti infelici -"e scampandone, restavano, per grazia di Apollo, liberi dalla passione amorosa": Leopardi fa raccontare di nuovo questa storia al suo Colombo, che commenta: "ciascuna navigazione è, per giudizio mio, quasi un salto dalla rupe di Leucade").
41.
Rivedere dall'America Latina, in una prospettiva rovesciata, il Vecchio Mondo, la sua storia millenaria: all'Avana, "nel silenzio della mezzanotte", José Cemí che è Lezama Lima, perso tra i fumi delle polveri antiasmatiche, veglia rileggendo Svetonio: "Nerone che tiene accanto a sé il suo arpista favorito, e lo fa suonare fino allo sfinimento".
Ancora la Roma imperiale, nell'evocazione sempre un po' forzata di Fuentes; e quella curiosa storia della fabbrica di sigari creata a Roma dal Papa, nel 1779, raccontata da Ortíz. E con Carpentier Roma meta del viaggio del nobiluomo messicano, Roma seconda capitale dell'Impero napoleonico ("Roma viveva a porte aperte sotto un sole che scintillava su tutti i marmi, sollevando l'odore dei monaci e le grida dei venditori di orzate. Le mille campane dell'urbe rintoccavano con pigrizia inusitata sotto un cielo senza nuvole che ricordava i cieli della Llanura"). Poi la Roma di Pio IX, la penombra dei palazzi vaticani nell'Arpa y la sombra; e di nuovo Roma, immagine appannata, nelle lettere di un Buendía destinato a diventare Papa.
(Roma, vista dal Nuovo Mondo resta una città monumentale, troppo lontana, chiusa in un tempo remoto. L'intellettuale latinoamericano non può immaginare qui le proprie radici culturali. La città europea sarà una sola, la moderna Parigi).
42.
A Parigi, nella prima metà del Settecento, un'America Latina di fantasia è di gran moda a teatro: dall'Alzira di Voltaire ai 'balletti eroici' di Fuselier e Rameau. Poi dopo la rivoluzione (Carpentier si sforzerà di descriverla con occhi antillani) Bolívar ventunenne assisterà rapito all'incoronazione di Napoleone, e frequenterà il salotto di Humboldt (ma Humboldt confesserà di non averlo considerato all'altezza della titanica impresa, liberare le terre americane dal giogo spagnolo: "creo que la fruta está ya madura, mas no veo el hombre que sea capaz de resolver tal problema"). A Parigi Echeverría -è la città di De Vigny, Musset, Dumas: bohème più che lezioni di geometria e di chimica; Heredia, poeta cubano di lingua francese, saggi parnassiani e sonetti di squisita fattura; Blanco Fombona, console del Venezuela, prima di essere nominato Governatore dell'Amazonas. Da Parigi Quiroga tornerà meno snob e décadent; il dottor Juvenal Urbino e sua moglie Fermina, in viaggio di nozze, torneranno con un abbonamento a Le Figaro, "per non perdere il filo della realtà", e un altro a la Revue des Deux Mondes, "per non perdere il filo della poesia". (E il nome di lei forse non è casuale, per via di Fermina Márquez, luminosa sedicenne che aveva intrecciato un idillio con il primo della classe, il timido e diligente Joanny Léniot).
Darío "in un giorno malinconico" d'ottobre passeggia per i giardini di Luxembourg: poeti di marmo, fontane che innalzano la loro "piuma di cristallo", colombi, bambini vocianti, organetti, vecchi su panchine, "facili cortigiane": orrendi versi, ma sincera l'ammirazione per la città cosmopolita. Huidobro, amico ma anche imitatore di Apollinaire, scrive in francese Horizon carré; Delaunay illustrerà la sua Tour Eiffel. E a Parigi muore Vallejo, come lui stesso aveva previsto ("Morirò a Parigi durante un acquazzone,/ un giorno di cui ho già il ricordo."). Era arrivato, chiuso nella sua tristezza, in un giorno d'estate, venerdì 13: da tre anni pensava a questo viaggio, si era imbarcato senza sapere una parola di francese, e senza soldi, con una sola moneta da cinquecento soles -un'aquila d'oro- annodata nel fazzoletto. Undici anni prima era venuto a morire qui l'argentino afrancesado Güiraldes: a Parigi aveva scritto il suo capolavoro, l'elegia del gaucho -ma prima Raucho, che è sempre Güiraldes, era fuggito da Parigi per tornare nella Pampa.
A Parigi trionfa Gardel - il tango come mito esotico, il brivido del gioco a Longchamps, le notti di assenzio e cocaina; la città che ritroviamo nella Muerte de Artemio Cruz e nella Consagración de la Primavera: Josephine Baker e Maurice Chevalier, ma anche Robert Desnos, i Balletti Russi di Diaghilev, la guerra di Spagna non ancora persa, il Fronte popolare, il surrealismo. Ernesto Sábato lavora nel laboratorio di Joliot-Curie (ma abbandonerà la scienza per la letteratura); Carpentier dirige gli studi di incisione Fonirc; Elvira de Alvear, personaggio borgesiano, riparte improvvisamente per Buenos Aires, e l'Imán, la rivista che lei finanziava, sospende le pubblicazioni (quel numero doveva contenere Residencia en la tierra, che Neruda da Giava, su segnalazione di Rafael Alberti, aveva mandato al redattore, che era Carpentier). A Parigi il giovane Uslar Pietri scrive Las lanzas coloradas; e il giovane Asturias studia con Georges Reynaud e pubblica le Leyendas de Guatemala, prototipo di esotismo splendente e misterioso che Valéry leggerà ammirato (e da Parigi -come rispondendo ad Asturias e a Valéry- Céline partirà per il suo volontario esilio al Tropico, un Tropico sordido e squallido; e ricorderà Parigi Saint-Exupéry osservando di notte dall'alto Buenos Aires, geometria luminosa, "un'immensa scacchiera di luci, estesa cinque volte più di quella di Parigi, che precipita sotto le ali dell'aereo, immensamente piatta").
A Parigi Frida Kahlo ospite dei Breton; amici promettono di organizzarle una mostra, e intanto conosce Duchamp, Kandinsky, Picasso, Eluard, Ernst, Miró, Tanguy.
Parigi come sfondo dell'autoanalisi di Eduardo Mallea, e Parigi nel dopoguerra, quando Felisberto Hernández parlò alla Sorbona presentato da Jules Supervielle; Parigi dove Roger Caillois reduce dall'esilio argentino fonda da Gallimard La Croix du Sud, benemerita collana di autori latinoamericani; e Parigi nelle descrizioni affettuose di Cortázar: in tanti racconti, in Rayuela, nel Libro de Manuel: la rive gauche, los cafetines populosos de Saint-Germain-des-Prés, umide soffitte, il metro, i cinema di periferia, l'esitenzialismo e poi i fremiti del Maggio.
La Parigi di Bianciotti (scriverà in francese, come Wilcock in italiano); la Parigi di Sarduy - seguace di Lezama, ma anche di Sollers, Barthes e Julia Kristeva. Parigi, sempre, come luogo deputato di viaggio, di esilio, di lavoro per l'intellettuale latinoamericano, come nelle pagine Cortázar nella Vaca Sagrada di Scorza e in Tangos, el exilio de Gardel di Solanas (anche San Martín esiliato in Francia). Ricorda García Márquez: "Lo sguardo d'insieme, che non avevamo in nessuno dei nostri paesi, diventava molto chiaro intorno a un tavolino del caffè, e finivamo per renderci conto che nonostante fossimo di diversi paesi, eravamo l'equipaggio di una stessa nave".
La città immaginaria di Lezama: "tutta l'ardesia dei tetti, i battenti delle porte, l'odore d'arrosto sprigionato da qualche finestra socchiusa": labirinto nel quale Fronesis si perde. (Lezama: forse l'unico che non viaggiò mai a Parigi). E la metropoli apocalittica di Terra Nostra: il 31 dicembre 1999 la città irrimediabilmente grigia e inquinata, coperta di neve, percorsa da folle di mendicanti, da inquieti fantasmi riemersi dal buio della storia: sovrappopolazione, fame, contagio, immondizia, morte, tracollo ecologico, Parigi come luogo simbolico della crisi finale della cultura occidentale.
43.
Varguitas sulle orme di Flaubert ("ormai sapevo quale scrittore mi sarebbe piaciuto essere"): il giovane Vargas Llosa fuggito lontano dalla famiglia "con poco denaro e la promessa di una borsa di studio", appena arrivato si precipita in una libreria del Quartiere Latino a comprare Madame Bovary. "Fin dalle prime righe il potere di persuasione del libro agì su di me in maniera fulminante, come una malia potentissima. A mano a mano che avanzava la sera, che calava la notte, che spuntava l'alba, si faceva più intenso il travaso magico, la sostituzione del mondo reale con il mondo fittizio."
Esotismo americano di Flaubert: Felicité, chiusa nella sua ignoranza, pensa al nipote marinaio, "quel povero ragazzo", per mesi interi "sballottato dalle onde!". Spaventa la lontananza: dall'Inghilterra e dalla Bretagna si torna, "ma l'America, le Colonie, le Isole, tutto questo era perso in una regione incerta, all'altro capo del mondo". "Si poteva, 'in caso di bisogno' tornare per via di terra?".
Poi giunge la notizia della morte, e Felicité riversa il suo affetto su quel perroquet, il pappagallo -corpo verde, punta della ali rosa, testa azzurra, petto color oro-, "perché veniva dall'America, e questa parola le ricordava Victor".
Mappe mentali, sogni, anche vecchio sciovinismo francese: il Sudamerica quattrocento anni fa era per qualcuno la France antarctique, autrement nommée Amerique.
44.
Colombo vede l'inimmaginabile: un lago di acqua dolce che si confonde con il mare. "Non ho mai detto e udito che una tal simile quantità d'acqua dolce si trovasse tanto addentro e sì vicina alla salata". Ma da quale luogo potrà mai essere scaturita quest'acqua, da quale luogo lontano, per venire poi "a sboccare col… donde io vengo, formandovi questo lago"? Alla foce dell'Orinoco la corrente d'acqua dolce che travolge le caravelle avrebbe dovuto suggerire la vicinanza di foreste e montagne, ma Colombo, uomo di mentalità medievale -"la situazione è conforme al parere dei santi e dei dotti teologi che ho citato, e anche le tracce sono molto conformi alla mia idea"- pensa di essere vicino alla fonte che sgorga dal Paradiso Terrestre, Io credo, si risponde, "che in quel luogo è il paradiso terrestre", "dove non si può giungere se non per volontà divina."
I teologi affermavano che Dio non aveva distrutto il paradiso, ma l'aveva trasferito in un'isola felice che non conosceva né malattie, né vecchiaia, né morte, né paura. Un'isola incantata dove sgorgano fontane, dove i fiumi scorrono in alvei d'oro, e la natura produce i suoi frutti con straordinaria abbondanza. Locus amoenus: la luce è calda e armoniosa, balenano i raggi del sole attraverso le fronde, stormiscono al vento le foglie, gli usignoli gorgheggiano, e l'acqua, limpidissima, si muove "bruna bruna", nel verde, tra i "vermigli e i gialli fioretti" "che l'alta terra sanza seme gitta".
E' la memoria ancestrale di un passato felice, che ritorna in tutti i paradisi deliziani, nell'estación florida, la stagione fiorita di Góngora, così come nelle "incroayables Florides" del Bateau ivre di Rimbaud, nel "paesaggio ideale" dell'Arcadia settecentesca e del Faust di Goethe, e nella Tempesta di Shakespeare, nel Purgatorio di Dante, nelle Metamorfosi di Ovidio, in Lucrezio, nell'Odissea, nella Genesi. L'oggetto esotico ha un solo, antichissimo nome: Eden, Paradiso primordiale, giardino. Storia, letteratura e tradizione orale, mondi magici e meravigliosi si confondono come le acque brune brune del Caroní si stemperano nelle acque gialle e fangose dell'Orinoco: ora il mito trova il suo luogo, l'America come Terra libera da dominio, il Tropico come luogo felice.
Ungaretti osserva i panorami brasiliani e gli pare che in queste terre lo scontro tra natura e ragione, tra memoria e innocenza possa trovare conciliazione; e quasi negli stessi anni, quasi negli stessi luoghi, luoghi che sembrano "regalati all'uomo per la sua gioia", Lévi Strauss osserva volare uccelli multicolori. Già Dante ricordava il canto degli augelletti "intra le foglie"; Colombo aveva annotato stupito che "il canto degli uccelli è tale, che pare che l'uomo non vorrebbe mai partire da qui, e gli stormi di pappagalli oscurano il sole"; ora Lévi Strauss fa eco:
"questi uccelli non ci sfuggivano: gioielli viventi erravano fra le liane grondanti e i torrenti fronzuti, contribuivano a ricostruire davanti ai miei occhi stupefatti certi quadri della bottega di Brueghel in cui il paradiso, raffigurato con una tenere intimità tra le piante, le bestie e gli uomini, riconduce all'epoca in cui l'universo degli esseri non aveva ancora compiuto la sua scissione."
45.
Natura rigogliosa ma pacificata, intatta e solitaria, ma amica. E al centro -come nel Giardino delle delizie di Bosch- il novello Adamo nudo e felice, libero da bisogni materiali, gode della primigenia innocenza, vive l'età dell'oro, si abbevera alla fonte dell'eterna giovinezza. E' il mondo di Paul et Virginie: una pastorale, lo stato più felice di cui sia permesso di godere, vita campestre ingenua, personaggi innocenti, nobiltà della virtù e felicità dell'essere virtuosi, e una vita che è tutta nella vegetazione, "senza orologi né almanacchi, né libri di cronologia, di storia e di filosofia", l'età calcolata in base alle fioriture degli aranceti, le ore del giorno lette nell'ombra degli alberi. Mattino della vita, freschezza, "così come nel giardino dell'Eden apparvero i nostri progenitori, quando, uscendo dalle mani di Dio, si videro, si avvicinarono e conversarono dapprima come fratello e sorella".
Possiamo forse, si pensava nel Settecento, riapprendere a vivere così, come prima di quella catastrofe avvenuta in illo tempore, quando l'uomo -Adamo non ancora toccato dal peccato- godeva di una vita felice. In quel tempo, l'uomo era immortale e felice e non doveva lavorare per nutrirsi e poteva incontrare Dio faccia a faccia. Nostri maestri di vita saranno allora gli indios, gli abitatori di questa felice terra americana, i beati abitanti dell'isola Hispaniola conosciuti da Colombo, "nudi, senza pesi n‚ misure, e senza il mortifero denaro, viventi nell'età dell'oro, senza leggi, senza giudici calunniosi, senza libri, sono contenti dello stato di natura, per nulla solleciti del futuro". Il Principe ideale è El Dorado, Il Dorato, il mitico sovrano-sacerdote che si bagna cosparso di polvere d'oro nelle acque di un lago divenuto per questo deposito di segreti tesori; e il Buon Selvaggio non è più il barbaro subumano, ma è il nostro modello. Con Diderot ognuno di noi potrebbe, o dovrebbe, riconoscere in sé un "qualcosa di selvaggio". "Non c'è niente di barbaro o di selvaggio in queste nazioni; il fatto è che ognuno chiama barbarie ciò che è lontano dai suoi costumi", notava Montaigne.
Ma anche la felice condizione degli indigeni, anche l'innocenza americana, antitesi alla corruzione europea, non sono forse un nostro sogno, un'immagine del Vecchio Mondo proiettata sul Nuovo? O si tratta di un sogno autoctono, americano, del quale vogliamo in qualche modo appropriarci? L'último conquistador, il Pio Cid di Ganivet, ironico compendio, nel nome, di pietas e di spirito guerriero spagnolo, tenta invano di civilizzare i selvaggi. Alla fine il fantasma di Cortés, nella penombra dell'Escorial, gli rinfaccerà: "erano felici come bestie e li hai resi infelici come uomini".
Con Vonnegut si può percorrere il mito fino in fondo, fino all'estremo rovesciamento. "Le candide spiagge e le lagune azzurre" delle Galápagos, che a noi appaiono come "la pregustazione di un ipotetico, favoloso Aldilà" saranno forse abitate, tra un milione di anni, da nuovi buoni selvaggi: esseri molto diversi da noi, in pace con la natura, perché non più appesantiti dall'intelligenza. Non più uomini ma di nuovo animali.
46.
Anche l'immaginario dell'indio americano contempla il mito del ritorno ad un'origine felice. Ma qui la restaurazione della perfezione degli inizi passa attraverso la scomparsa dell'Uomo Bianco. Al centro, la figura dello sciamano, che gioca con la cultura occidentale -opponendovisi- una partita mortale.
E poi il sogno fusionale di Martí: Nuestra América meticcia. Ogni uomo può forse rinascere in questa nuova Terra nostra, sognano Rojas e Vasconcelos, ma anche Fuentes e Lawrence, può rinascere nel crogiolo delle razze che il Nuovo Mondo ha avvicinato: non siamo indios, non siamo negri, non siamo europei, siamo una nuova razza; gli indigeni e tutti gli apporti dell'immigrazione, elementi latini, germanici, e slavi, ebraici, arabi, africani, cinesi, il tutto fuso in un'unica novità latinoamericana.
Anche questo è sogno, o utopia: quadrare in America il cerchio dell'umana cultura. E' la speranza compensatoria che riscatta l'uomo latinoamericano dalle frustrazioni del fallimento storico, della marginalità, del sottosviluppo: essere la razza definitiva, la razza sintesi, la razza cosmica, fatta del genio e del sangue di tutti i popoli insieme, e quindi in grado di raggiungere una genuina fratellanza, di formulare una visione del mondo veramente universale.
47.
L'America sognata da lontano. Il 18 luglio 1817 nella Villa Melzi di Bellagio, sotto gli occhi i tre bracci del lago di Como, un francese geniale di nome Henri Beyle sta prendendo appunti. Segue da lontano le vicende della nuova repubblica nascente, e in un eccesso di profetico ottimismo annota: "Credete forse che le repubbliche del Messico e del Perú si divertiranno a trascinarsi lentamente da un pregiudizio a una sciocchezza, da una sciocchezza a un errore grossolano, seguendo i progressi della nostra lenta civilizzazione, nella quale ogni verità è costata al suo autore dieci anni di lavoro e poi sei mesi di Bastiglia? No: le sue scuole si sposteranno di colpo alle frontiere della scienza. La sua fresca energia partirà dal punto stesso in cui la vecchia Europa è arrivata stanca e senza fiato."
48.
L'Europa ripensata da lontano. 1935: Braudel, come negli stessi anni Ungaretti, accetta una cattedra all'Università di San Paulo. Il Brasile affascina per l'ambiente, per clima umano, ma anche perché permette di viaggiare a ritroso nella storia: forse l'Europa del sedicesimo secolo può essere veramente capita solo avendo sotto gli occhi, oggi, l'America tropicale: agricoltura itinerante, disboscamenti, grandi famiglie patriarcali, traffici lenti per via d'acqua.
E' sotto la spinta di queste emozioni che il libro trova il suo tema centrale: non Filippo II, sovrano troppo prudente, troppo freddo, ma il mare. (La Méditerranée sarà messo finalmente su carta durante la prigionia tedesca; vedrà la luce solo dopo vent'anni di gestazione).
49.
L'America come meta. Agostino Codazzi, romagnolo di modeste origini, volontario nell'esercito napoleonico, dopo Waterloo sceglie di combattere la Spagna in terra americana. In Venezuela scala i gradi dell'esercito, ma sopratutto si scopre geografo e cartografo.
Portati a termine gli Atlanti della Colombia e del Venezuela -siamo attorno alla metà del secolo scorso- insegue il sogno ottimistico di una loro nuova colonizzazione europea, minuziosamente pianificata. Trova il luogo non lontano da La Guaira, 1700 metri di altezza, clima mite, foreste di piante europee e americane. In Alsazia e nel Baden raccoglie 358 operai ed artigiani esperti nei più diversi mestieri. Ancora oggi, Colonia Tobar: chiusa in boschi di alberi ad alto fusto, incredibile enclave di biondi montanari tedeschi e di case di legno.
50.
L'America come tappa di un viaggio. Giuseppe Viti, volterrano. Passerà la vita a scrivere quella frase accorata: "Quando sarà quel dì che torno" - ma dopo ogni fallimento è di nuovo in viaggio verso l'America con un nuovo carico di alabastro: a ventidue anni nelle Indie Occidentali, poi a San Tommaso, nelle Isole Vergini, a La Guaira, in Giamaica, a Kingston, a Panama, a Quito, in Perú. A Santiago, malato di dissenteria, poi nel 1845 a Buenos Aires, attraverso le Ande (il suo passaporto recava la scritta: Viva la Federación! Mueran los salvajes unitarios!).
Ma farà veramente fortuna solo nelle Indie Orientali, alla Corte del Raj del Nepal, che gli concederà prima il titolo di Gran Visir e poi di Emiro. Quasi una piccola replica ottocentesca della vicenda di Marco Polo, e neanche questo è un caso e neanche questo appare estraneo al nostro viaggio, perch‚ le vie dell'esotico si intersecano e si sovrappongono. Xanadu, che è la provincia di Gaindu di Marco Polo, che è una valle in un'ansa dello Yang-tzu, è per Coleridge "un paesaggio del tropico in un clima polare", maestoso palazzo di piacere, dove cibarsi di miele e bere il latte del Paradiso. E' ancora l'Eldorado.
Spirale infinita - perché Colombo aveva preso a pensare al suo viaggio leggendo le pagine di Marco Polo.
51.
Per il matrimonio di Guido, il vecchio Speier -il signor Cada- da Buenos Aires a Trieste, "l'enorme viaggio dal suo sole estivo alla nostra nebbia invernale". E "intanto da Buenos Aires arrivarono i pesos. Fu un affar serio! A me era parsa dapprima una cosa facile, ma invece il mercato di Trieste non era preparato a quella moneta esotica."
Christian Buddenbrook palesava nelle lettere ai genitori un vivo desiderio di recarsi "laggiù", nell'America del Sud. Nell'estate del 1851 farà finalmente vela per Valparaíso, dove si era procacciato un impiego. Tornerà a Lubecca dopo la morte del padre (e la ma dre commenta: "Dio lo protegga sull'oceano! E' un viaggio interminabile"). Arriverà "vestito di un abito giallo a quadretti che gli dava un'aria spiccatamente tropicale", portando con s‚ una lama di pesce spada e una lunga canna da zucchero. Racconterà storie di coltelli e rivoltellate, si dilungherà in "elogi del disordine e della violenza esotica". Anche questo, per Thomas Mann, come per suo fratello Heinrich, ha una radice familiare: la madre era brasiliana, "sangue esotico indefinito, bella, sensuale, ingenua, negligente, al tempo stesso passionale, e d'una trascuratezza impulsiva". (Come Christian Buddenbrook, Georg Weerth: commerciante, ma anche militante comunista e "chef des feuilletons" della Neue Rheinische Zeitung. Nel 1849, deluso dalla politica e dalla letteratura, tornerà a dedicarsi al lavoro: il commercio, almeno, gli offre l'opportunità di conoscere quei luoghi che aveva sempre sognato. Viaggerà a lungo nelle Indie Occidentali; morirà a Cuba nel 1856 di una febbre tropicale.)
52.
Nubi fosche si addensavano sull'orizzonte europeo quando Hermann Weil con i denari guadagnati importando grano dall'Argentina finanzia il sogno del figlio Felix, giovane studente socialista. Un centro di ricerca indipendente, libero di indagare sui temi più spinosi: sarà l'Institut für Sozialforschung di Francoforte.
Un esule della Germania nazista passa le sue giornate nella Bibliothèque Nationale di Parigi, leggendo: l'antica civiltà Inca, le invettive di Las Casas, le gesta di Jiménez de Quesada, Adelantado del Nuevo Reino de Granada, i viaggi accaniti verso l'oro del Perú, gli esploratori e gli avventurieri nella selva di Putumayo.
Alimenta l'immaginazione studiando atlanti, tornando sulle pagine americane di Voltaire e Rousseau e Chateaubriand e Bernardin de Saint Pierre, Humboldt e Le Condamine, Hegel e Goethe. Ricrea l'America a partire da queste pagine: è una visione mitica del continente, una allegoria storico-filosofica, foresta vergine, vegetazione esuberante, animali esotici, esseri umani incontaminati. L'Europa è, forse, la tigre azzurra che distrugge tutto ciò che l'uomo ha costruito; e l'America è, nella metafora, il paese paradisiaco che si incontra viaggiando verso ponente, il paese dove cresce l'albero della vita e nessuno è condannato a lavorare. (Döblin scrive tra il 1934 e il 1937: la prima edizione porta per titolo Il Paese senza morte; la seconda, più esplicitamente, o più vagamente, Amazonas).
53.
Cosa leggeva Döblin?
"America, tu hai una sorte migliore/ Di questo nostro vecchio continente./ Tu non hai rovine di castelli/ Né basalti./ Tu non sei turbata nell'intimo,/ Quando è il momento di vivere,/ Da inutili ricordi /E futili contese."
Per Goethe l'America, non turbata da rovine di un passato glorioso, da vane memorie, da antichi conflitti, potrà servirsi nel migliore dei modi del presente. Per Hegel l'America è immatura, ma è incontestabilmente il continente dell'avvenire, il paese cui anelano tutti coloro che considerano la vecchia Europa, ormai, una gabbia. Per Adamo Smith la scoperta dell'America e quella di un passaggio alle Indie orientali attraverso il Capo di Buona Speranza sono i due avvenimenti più grandi e più importanti nella storia dell'umanità.
(Ma le speranze e i sogni si sarebbero rivelati in buona misura fallaci: Rousseau invitava a viaggiare in America; duecento anni dopo, negli stessi giorni in cui Döblin legge queste pagine americane, Lévi Strauss, che odiava i viaggi e gli esploratori, attraverserà con sguardo rousseauiano l'Amazzonia, e si troverà a rimpiangere un mondo che sta scomparendo: addio selvaggi, addio viaggi!)
54.
In un altro modo influirà Rousseau sulla storia latinoamericana: l’Emilio sarà il fulcro dell'educazione impartita dal maestro Rodríguez a Simón Bolívar.
E ora Bolívar, il Libertador, il Napoleone d'America, pallido in volto, i neri occhi ardenti, parla ai membri del Congresso:
"Non sarebbe forse difficile applicare alla Spagna il Codice della Libertà politica, civile e religiosa dell'Inghilterra? Adattare al Venezuela le Leggi del Nordamerica lo sarebbe ancora di più. Non dice Lo spirito delle leggi che queste devono essere al Popolo per il quale vengono fatte? che le leggi devono rispettare l'aspetto fisico del paese, il clima, la qualità del terreno, la sua situazione, la sua estensione, il tipo di vita dei Popoli?"
(Poi, mandando il testo del discorso a Santander, gli ricorda di mettere in corsivo le parole sottolineate, "perché sono espressioni di Montesquieu").
55.
Impossibilità di adattare all'America Latina las leyes del Norte de América; eppure, impossibilità di non fare i conti con l'ingombrante vicino.
Il 15 febbraio 1898 l'incrociatore Maine salta in aria nel porto dell'Avana. La Spagna, ora, appare lontanissima; vicinissimi, invece, gli Stati Uniti del Nord: da allora -non si stancano di ricordarci gli intellettuali latinoamericani- i gringos succhiano il sangue dalle venas abiertas dell'America Latina. Poi con Kennedy arriverà la mano tesa di Alianza para el Progreso ma anche, secondo Galeano, il controllo delle nascite come cinica strategia tesa a uccidere i futuri guerriglieri nel ventre materno. (Senza numero gli sfruttatori nordamericani additati al ludibrio; uno tra i tanti, a caso: quel tale Adams che creò "un impero industriale a base della gomma dell'albero del chicle che aveva visto masticare al generale Santa Anna quando questo era esiliato a Staten Island").
Ma davvero tutti i fallimenti latinoamericani sono da attribuire alla protervia dei gringos? Già alla fine del secolo scorso l'alterigia di Rodó -noi siamo i campioni dello spirito, uomini di gusti raffinati, diversi in tutto dai grossolani mercanti di salsicce di Chicago- lascia trasparire il complesso d'inferiorità; il rancore covato per l'incapacità di reggere il confronto con gli States. (La presunzione di Rodó ritorna nell'arrogante antiamericanismo che accomuna Santos Chocano, Darío, Guillén, Neruda, García Márquez, Retamar, Cardenal e Galeano).
56.
Miranda, patriota venezuelano, a man of universal knowledge, attraversa gli Stati Uniti, dalla Carolina del Sud alla Nuova Inghilterra. Si accorge subito di essere in un altro mondo: "Dio mi perdoni, ma che contrasto con il sistema oggi vigente in Spagna!" "Si può prendere alloggio in una locanda senza essere sottoposti a controlli"; "gli americani sono grossi e corpulenti, senza dubbio perché si nutrono bene"; "il suolo non è niente di speciale, ma è ben irrigato e curato da una popolazione laboriosa"; "lo spirito d'iniziativa che la libertà ispira a queste popolazioni permette di condurre una vita mille volte più felice di quella dei proprietari di ricche miniere e fertili terre in Messico, Perú, a Buenos Aires, a Caracas e in tutto il continente ispano-americano".
Gli States -e l'Europa- saranno poi di nuovo presi a modello da Sarmiento: democrazia formale, istruzione popolare, immigrazione, conquista della nuova frontiera. Illudersi di poter tagliare i ponti con l'Europa e con le ex colonie del Nord, per Miranda, per Sarmiento (e poi per Borges) significa arrendersi alla barbarie, rinunciare non solo allo sviluppo, ma sopratutto alle proprie radici.
57.
Viaggi verso il Nordamerica, verso l'Europa, esilio di fronte alla dittatura, viaggi di speranza e di studio.
Miranda combatte per l'indipendenza degli Stati Uniti, è colonnello di Caterina di Russia, e in Inghilterra tratta con il Primo Ministro Pitt il suo progetto: unificare l'America spagnola in un unico impero indipendente, poi è generale dell'esercito rivoluzionario in Francia, è a Nuova York per organizzare uno sbarco in Venezuela.
Juan Pablo Viscardo, abate peruviano, dall'Italia si scaglia contro il "piccolo numero di cattivi imbecilli" che sfruttano in America Latina milioni di uomini. "E se noi continuiamo a soffrire le vessazioni che ci opprimono, si potrà dire con ragione che la nostra vigliaccheria le ha meritate".
Olavide -per i romantici tedeschi prototipo dell'intellettuale ispanoamericano- prima essere imprigionato dai giacobini e di subire in Spagna i rigori dell'Inquisizione, conosce in Francia Diderot, Voltaire e D'Alambert, è trionfalmente accolto con un discorso di Mamontel dall'Académie Française, è nominato cittadino onorario dalla Rivoluzione.
Simón Rodríguez, bizzarro maestro di Bolívar, è professore in Cile, Ecuador, Perú, Bolivia, Inghilterra. (Bolívar lo ricorderà con l'abituale enfasi: "Voi avete plasmato il mio cuore alla libertà alla giustizia, alla grandezza, alla bellezza. Voi foste il mio pilota". Rodríguez sopravviverà di vent'anni all'allievo; vivrà i suoi ultimi anni sulle rive del lago Titicaca, in assoluta povertà, con la sua sposa india, circondato dai figli).
Bernardino Rivadavia, diplomatico e poi esule, sarà a Parigi, a Londra, a Madrid. Governerà un solo anno; tornerà dall'esilio spagnolo solo per difendersi dalle false accuse. Bello viaggerà a Londra insieme a Símon Bolívar, e poi in Cile. E ancora Blanco Fombona e Darío; Alfonso Reyes e Uslar Pietri e Neruda; Carpentier e Paz e Fuentes e Edwards: intellettuali latinoamericani, ma anche diplomatici, di casa all'estero.
Anche Fernando Ortíz, venticinquenne, console a Genova. Arriva a Bologna di notte, entra in un bar, l'atmosfera satura di fumo. A chi apparterranno quelle voci che discutono animatamente? Racconterà poi infinite volte con piacere come si trovò così di fronte a Enrico Ferri, il fondatore della sociologia penale, l'oratore travolgente, il giurista ribelle, il militante socialista -lo studioso che con Lombroso più aveva ammirato da studente, da lontano.
Centotrent'anni dopo l'abate Viscardo, anche Mariátegui sarà esule in Italia. Un viaggio, ricorda lui stesso, "nel cui itinerario si confondono Montecitorio, Nitti, il Vaticano, Venezia, Fiesole, Milano, la Scala, Frascati, il Rinascimento, Botticelli, Croce, L'Ordine Nuovo, Terracini, Gramsci, Bordiga, il caffé Aragno, Pisa." Così si completa una formazione politica: dalla critica del fascismo nascono la critica delle forme di governo importate dall'Europa ed il progetto di un socialismo intrinsecamente peruviano, fondato su radici incaiche.
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Caudillismo: governare dal balcone infiammando folle meticce ignare e straccione, bisognose di immagini paterne, di guide autoritarie o consolatorie. Dittatori austeri, frugali, fanatici dell'ordine, predicatori del lavoro assiduo, attenti a introdurre nuovi metodi di coltivazione e di allevamento del bestiame, dediti magari soltanto a servire il suo paese, ma crudeli; fautori di pace e ordine, ma negatori di libertà: Doctor Francia, El Supremo; Rosas, il 'Nerone del Sud America'; Porfirio Díaz, trent'anni di "onesta tirannide"; Cipriano Castro e Juan Vicente Gómez, scesi dalle montagne di Táchira per conquistare Caracas; García Moreno (despota gesuita o eroe cristano?); Eloy Alfaro, che morì linciato dalla folla; e ancora negli anni 50 di questo secolo, in Argentina Perón, in Ecuador Velasco Ibarra, e il generale Odría in Perú, il generale Rojas Pinilla in Colombia, il generale Pérez Jiménez in Venezuela, il generale Anastasio Somoza in Nicaragua, il generale Rafaél Le¢nidas Trujillo a Santo Domingo, il generale Fulgencio Batista a Cuba, il generale Stroessner in Paraguay. Poi Velasco in Perú, Pinochet, la Junta in Argentina, Noriega - elenco interminabile, al quale forse dovremmo aggiungere anche Fidel Castro.
Nel 1956 Castro e i suoi barbudos, dispersi dopo lo sbarco, si ritrovano sulla Sierra Maestra e iniziano la loro lenta avanzata verso l'Avana. In quei giorni Howe, critico letterario statunitense, sta scrivendo a proposito di Nostromo di Conrad, e si trova a notare che Montero, il dittatore immaginato dal romanziere, è un ritratto di Fulgencio Batista scritto con cinquant'anni di anticipo. Oggi, cinquant'anni dopo, non solo i discorsi di Batista, ma anche i discorsi di Fidel sembrano scritti da Pedrito Montero: "io sono un dittatore col consenso del popolo... E' mio destino quello di fare rivoluzioni incruente... Il solo sangue sparso sarà quello di coloro che si oppongono a noi." E gli oppositori sono "rovine gotiche, mummie sinistre che complottano con gli stranieri per cedere loro le terre e ridurre in schiavitù il popolo".
Come Pedro Montero, il presidente Miraflores di O. Henry; poi il Tirano Banderas, e solo più tardi il Señor Presidente (Asturias è esplicito debitore di Valle-Inclán).
Ancora più tardi, negli anni settanta, arriveranno quasi contemporaneamente i romanzi Vargas Llosa, Roa Bastos, Carpentier, García Márquez, Uslar Pietri. (Scrivendo dei dittatori Márquez e gli altri parlano involontariamente di sé, delle proprie debolezze e dei propri deliri di onnipotenza. Quindici anni dopo vedremo Márquez a fianco di un Castro ormai al tramonto, e Vargas -come un personaggio di un suo romanzo- candidato alla Presidenza: prima comiziante acclamato, abile tessitore di alleanze, e poi ripiegato nell'amarezza della sconfitta).
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Nei poster Fidel e il Che, barbudos, uniformi verde olivo, sorridono con il fucile in mano.
Tupamaros, Montoneros, Sandinistas, anche questo è un mondo favoloso che gli intellettuali europei hanno mitizzato da lontano: gli sbarchi disperati, le lunghe marce in montagna, l'educazione politica dei contadini, il battesimo del fuoco.
La letteratura ispanoamericana negli anni sessanta e settanta, ha marciato a lato dei suoi nuovi leaders rivoluzionari: "fucili/ corrono per i sentieri, Sudamerica/ cresce nella sua selva verso l'aurora,/ da pugni di riso bagnati di sangue/ nascerà un'altra maniera di essere uomini./"
Ma forse più di questo Cortázar insolitamente infevorato, ci aiuta a capire Graham Greene. Nel Console onorario, come già nel Potere e la gloria, osserva il dramma con gli occhi dell'Occidente, fuori dal mito; e questo sguardo ci aiuta a vedere dietro guerre e guerriglie: dietro Sandino e Castro non c'è solo la giusta guerra dei dannati della terra contro i servi dell'imperialismo, ci sono le eterne guerre civili tra Democratici e Conservatori, tra Blancos e Colorados; non c'è solo Martí, c'è anche Rosas. Erano guerriglieri anche Facundo Quiroga, il colonnello Aureliano Buendía, il generale Santa Coloma di Purple Land e Garibaldi. (Le tecniche di guerriglia apprese da Garibaldi nella Pampa disorienteranno gli eserciti europei).
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Hudson ricorda lo sgomento con cui, bambino, si rese conto del gusto con cui i gauchos (secondo Walter Scott: "selvaggi cristiani") tagliavano la gola ai membri di bande rivali, ai capi ripudiati. L'America Latina ci appare esotica anche perché incatenata a un destino di crudeltà, percorsa da una violenza irragionevole, selvaggia, spesso gratuita.
La vida es chingar o ser chingado: "la vita è fottere o essere fottuto. Forse è incapacità di rapportarsi altrimenti con il piacere?
Pelear puede se una fiesta: "lottare può essere una festa". E' forse un aspetto della libertà americana?
E' comunque una violenza che ha origini remote -la guerra florida degli aztechi, guerra rituale, destinata ad alimentare di sangue gli dei: troppo facile cercarne il seme e le ragioni solo all'esterno, nelle colpe degli spagnoli, degli inglesi, degli yankees.
Naipaul è pessimista: "l'America Latina non sarà mai nient'altro. Rimarrà sempre un continente condannato al furto e al saccheggio".
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Bartolomé de las Casas, e come lui Fray Pedro de Henestrosa nei Pasos perdidos di Carpentier, eroici missionari, "campioni di Dio", abbandonarono tutto per portare sotto il segno della croce infedeli e pagani. La differenza rispetto alle le colonie anglosassoni è radicale: l'America Latina è un mondo meticcio cementato dalla religione. L'animismo si traveste da cattolicesimo, e il cattolicesimo si contamina con divinità africane. E d'altronde la nuova religione torna a rendere uomini gli indios: "La fuga degli dei e la morte dei capi avevano lasciato l'indigeno in una solitudine così completa che risulta difficile all'uomo moderno immaginarla. Il cattolicesimo gli permette di riallacciarsi con il mondo e l'aldilà. Restituisce senso alla sua presenza sulla terra, alimenta le sue speranze e giustifica la sua vita e la sua morte".
America nuova frontiera del cristianesimo al di là dei deserti mari, nelle selve inospiti, dalle Ande algenti all'irta Haiti: l'Inquisizione, le Misiones dei Gesuiti in Paraguay, le cattedrali barocche cariche d'oro, lo sguardo rivolto all'America Latina di Pio IX, il Che come Cristo, come rivoluzionario amoroso, gli appelli di Camilo Torres e i versi di Ernesto Cardenal, la teologia della liberazione, le comunità di base.
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C'è la bassa immagine folcloristica: indios con il poncho, gauchos, Cantinflas e Carmen Miranda e Xavier Cugat e quel film "panamericano" di Walt Disney, ¡Saludos, amigos!, in cui Paperino rappresenta gli Stati Uniti e un pappagallo con un sombrero messicano l'America Latina.
E c'è l'America Latina come luogo per definizione "ibrido e bastardo". Una immagine composita dove si mischiano Televisa, Miami, le repubbliche delle banane, Borges, il subcomandante Marcos, Cnn in spagnolo, Mercosur, il debito estero.
Ma resta al contempo viva l'alta immagine serena pensata da Andrés Bello: con i suoi versi “rinasce la musa virgiliana delle Georgiche per cantare nuovi frutti e nuovi lavori e consacrare con la sua voce rinnovata le vergini foreste del Nuovo Mondo”. (Le Americanas resteranno un frammento, perché Bello non si limitava a scrivere, lavorava indefessamente a costruire la sua America. Eppure quei versi anche enfatici ma sinceri ci fanno apparire pomposamente vuoto il Canto General di Neruda).
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Colombo: chi fu in realtà? Un profeta indomito, un impetuoso visionario o un impostore? L'ardire e la fede che traspaiono dalle sue pagine sono sinceri? E' credibile il teorema del predescubrimiento? Su quali mappamondi, atlanti, portolani lavorarono Cristoforo e suo fratello? C'era tra questi la carta di Paolo dal Pozzo Toscanelli? Colombo è un ebreo convertito, come vuole Salvador de Madariaga? E' originario della Grecia, o del lontano Oriente o più modestamente dell'Appennino ligure? Fu davvero, ragazzo, a Roma, assaggiatore di veleni alla corte dell'ebreo converso spagnolo Rodrigo Borja, futuro papa Alessandro VI? Il suo vero sostenitore fu il genovese Innocenzo VIII, papa dal 1484 al 1492? E la Beatriz che Colombo non sposò era cugina di Torquemada? Che ruolo ebbe nel gennaio 1492 nella presa di Granada? Pensò seriamente Pio IX alla sua canonizzazione? Infinite le ricostruzioni storiche e le ricostruzioni oniriche, dal Colombo di Lope, sognatore deriso, al Livre de Cristophe Colomb di Paul Claudel, a cui si ispirò Carpentier per El arpa y la sombra, all'improbabile Colombo di Leopardi che si interroga sui motivi del viaggio attraverso l'Oceano, verso l'ignoto: "quando altro frutto non ci venga da questa navigazione, a me pare che ella ci sia profittevolissima in quanto che per un tempo essa ci tiene liberi dalla noia, ci fa cara la vita, ci fa pregevoli molte cose che altrimenti non avremmo in considerazione."
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Mentre Leopardi barricato tra i suoi libri si confronta con la noia, Humboldt, che aveva viaggiato davvero, con amore e con piacere, sta scrivendo con tutti i dettagli cosa vide cosa osservò cosa imparò nelle Regioni Equinoziali, e anche il suo è un romanzo esotico, romanzo nel quale rischiamo di perderci, come ai lettori di cinquecento anni fa piaceva perdersi nelle vicende di Amadís di Gaula, come a Valéry piaceva perdersi leggendo Asturias e come una intera generazione volle perdersi per le strade di Macondo.
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Lima, Buenos Aires, Santiago, Caracas, Bogotá, Città del Messico, nel Seicento, nel Settecento: strade illuminate da lampioni, ampie carreggiate lastricate a selci, il rumore dei carri carichi di mercanzia, a cassetta un meticcio, e per le gentildonne calessi tirati da mule, un negro per postiglione, nel centro storico le dimore patrizie in stile coloniale, las casas coloradas delle famiglie dell'oligarchia (si usavano stoviglie d'argento non per lusso, ma per scarsità di porcellana), la Plaza de Armas adornata dalla fontana, teatro di fiere, mercati, feste, processioni religiose. La piazza: "centro di riunione e convergenza" di ogni città latinoamericana, e di tutto il mondo coloniale, mondo chiuso e perfetto, "una vasta piazza sulla quale si affrontano e si confrontano il palazzo, la casa comunale e la cattedrale: il principe e la sua corte; la comunità e la sua pluralità di gerarchie e giurisdizioni; l'ortodossia religiosa. Fuori dalla piazza, altre tre costruzioni: il convento, l'università e la fortezza".
E in piazza assistiamo alla festa di entrada, il trionfo, la rituale cerimonia di accoglienza dell'ospite illustre. E' la versione americana di un rito sociale di tradizione borgognona e fiamminga -la joyeuse entrée, solenne cerimonia di accoglienza, con consegna delle chiavi e Te Deum. Festa popolare e religiosa che nel 1500 scandalizzava gli spagnoli, e che nella Nuova Spagna trovò corrispondenza nei balli e nelle celebrazioni rituali indigeni.
Nell'agosto del 1813 Bolívar, El Libertador, "incoronato d'alloro su una carrozza tirata dalle sei donzelle più belle della città, e in mezzo a una folla bagnata di lacrime", entra a Caracas (la città raffinata e piacevole descritta da Humboldt era stata distrutta un anno prima dal terremoto), poi a Bogotà, poi a Lima. E' ancora la stessa cerimonia che verrà grottescamente rimessa in scena nel giugno del 1863: la solennissima entrata trionfale a Città del Messico dell'imperatore Massimiliano. Ma non è l'ultima replica: sono ancora joyeuses entrées tutti i trionfi di tutti i caudillos, anche quello di Fidel.
La folla che accoglie il vecchio Perón di ritorno dall'esilio spagnolo è la stessa folla osannante che centotrentotto anni prima si assiepava per l'entrata imperiale di Rosas: Buenos Aires pavesata di rosso, Rosas che "riveste la città di color rosso: case, porte, drappi, vasellame, arazzi, festoni", scriveva Sarmiento. Anche il giovane Darwin ricorda quelle bandiere rosse al vento, la carrozza del caudillo tirata con corde di seta rossa da duecento uomini, la dovizia di fiori, le campane a festa, le bande. (Darwin era stato tre anni prima ospite di Rosas in un remoto accampamento sulle rive del Río Colorado, alle soglie della Patagonia, quando il generale combatteva gli indios).
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Il Beagle si lascerà alle spalle la Terra del Fuoco e caboterà lungo la costa del Pacifico fino alle Galápagos.
Le rotte dei mari del sud erano ormai da cent'anni dominate dagli inglesi. Il monopolio spagnolo era stato rotto nel 1680 dal bucaniere Bartholomew Sharp. Da Panama, su navi rubate, aveva seguito la rotta opposta a quella del Beagle: si era avventurato sul Pacifico, facendo razzia, giù fino a Capo Horn, per poi risalire fino alle Indie Occidentali. Ma l'impresa non è questa: su una delle navi abbordate si è impadronito di un derrotero: raccolta di mappe e portolani -tutti i porti, le maree, le rotte, gli approdi, le baie, i banchi di sabbia e gli scogli, tutte le istruzioni per la navigazione lungo la costa pacifica del Sudamerica -il segreto più gelosamente custodito della marina spagnola. Racconta Sharp: "Sulla nave io presi un manoscritto spagnolo di prodigioso valore - lo stavano buttando a mare ma per fortuna io lo salvai - quando presi il libro gli spagnoli esclamarono: questo è l'addio ai mari del sud".
Per gli Spagnoli una storia che si chiude; ed è un'altra epopea, che sarà raccontata da Defoe, Chamisso, Poe, Melville, Stevenson, Conrad, London.
67.
Viaggio per acqua, sempre, ma ora non più il labirinto chiuso dei caños dell'estuario, non più la corrente unidirezionale del fiume, da scendere o risalire. Ora, di nuovo, è il mare aperto, verso isole del Pacifico, nuova frontiera dell'esotismo: l'isola di Salas y Gómez di Chamisso, la Tahiti di Gauguin, le Samoa di Stevenson, le Trobriand di Malinowski (Malinowski che seduto su una panchina del parco dell'Università dell'Avana, di notte, al buio, come Cemí conversava con Fronesis e Foción, conversa con Fernando Ortíz: cos'è la transculturazione? "Un processo nel quale ciascun nuovo elemento si fonde, adottando modi già stabiliti e nel contempo introducendo esotismi propri e generando nuovi fermenti").
La Conquista non ha termine, il sogno è sempre vivo. Dal Messico si guarda ancora a Oriente.
Mentre Cortés scopriva Tenochtitlán, Magellano, al servizio della Spagna, approda a un'isola in cerca di viveri e di riposo. Scopre un arcipelago. Scopre di aver compiuto il progetto di Colombo: ha raggiunto, viaggiando verso Ovest, l'Estremo Oriente.
Le isole, in onore di Filippo II, saranno Islas Filipinas. Ma sono già colonizzate da musulmani provenienti dalla Malesia.
La mattina del 27 aprile 1521 Magellano giunge con quarantotto soldati all'isola di Mactán. E' sopraffatto e ucciso dalla numerosa truppa guidata dal capo Lapu-Lapu.
Passano cinquant'anni prima che, scoperte le correnti favorevoli, Acapulco diventi il porto aperto sui mari dell'Est. Di lì partono los Galeones de Manila - più evocativa è l'altra definizione della flotta: Naos de China.
Domenicani e gesuiti contribuiscono da par loro alla colonizzazione. In queste isole, come a Cuba, l'impero spagnolo sopravviverà a se stesso, fino agli albori del Ventesimo Secolo.
Solo Martin Eden, che è London, non arriverà a nessuna isola: stanco del successo, senza più desiderio di vivere è di nuovo in mare. In acque tropicali, oltre l'Equatore è irresistibilmente attratto dall'oblò: morte procurata, morte per acqua.
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America Tropicale nascosta nell'infanzia e nella memoria involontaria: Calvino scriveva di sé 'nato a Sanremo', ma era nato a Santiago de Cuba, e uno dei dodici, o quindici libri che non fece in tempo a scrivere sarebbe stato intitolato Cuba, la sua Cuba, terra natale, e avrebbe forse raccontato l'infanzia tra le braccia del padre già anziano e tra le piante tropicali.
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Lo stesso oggetto esotico nel trionfalismo zdanoviano di Siquieros e Rivera, nelle radici caribiche di Wilfredo Lam, nella memoria remota di Matta, negli autoritratti ossessivi e nei cuori grondanti di sangue di Frida Kahlo, nelle rotondità paciose e trasparenti di Botero, nelle linee spigolose di Guayasimín. Ma anche nei Mantegna tropicali desiderati da Oviedo, nelle selve e negli animali sognati da Rousseau il doganiere, e nello sguardo ambiguo della Donna caraibica dipinta a memoria da Gauguin nel 1889, in Bretagna.
70.
Borges e gusto gotico nei fumetti di Breccia e Oesterheld. E nei fumetti di Quino Mafalda viaggiando in treno tra Buenos Aires e le vacanze estive a Mar del Plata osserva scorrere, il finestrino come schermo televisivo, le barriadas e las Villas Miserias. Ma anche Hergé: Tintin alla guerra del Gran Chaco, 1936 tra Bolivia e Paraguay (Hergé, come Conrad e Valle e Gadda inventa un paese immaginario con un suo sistema politico, una capitale, perfino una lingua).
Avventura e viaggio coincidono sempre, mai stare fermi in un posto ("leggendo il Labirinto della solitudine di Paz ho capito che avere sempre lo stesso tetto sulla testa è un errore", dice Hugo Pratt). E con Viaggio a Tulum Manara disegna un fumetto che avrebbe potuto essere un film di Fellini, Fellini alla ricerca di Castaneda, viaggio iniziatico: lontano da Cinecittà, vestigia maya, sogno e allucinazione. (Cinecittà e il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, erano stati frequentati negli anni cinquanta da García Márquez, Puig, Birri, Littín. Erano gli anni del neorealismo vincente, ma anche dell'emergere dalla costola del neorealismo del nuovo codice felliniano, malinconico, onirico, pullulante di immagini, tutto soggettivo. Il superamento da parte di Márquez, Cabrera Infante, Vargas Llosa, Puig del rispettabile ma freddo naturalismo latinoamericano -quello di Rivera, Azuela, Alegría- è replica del superamento felliniano del neorealismo).
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Film che non vedremo mai: Cent'anni di solitudine di Anthony Quinn, L'autunno del patriarca di John Huston e di Kurosawa, L'oro di Sutter e Qué viva México! di Ejzenstejn, Nostromo di David Lean, Under the Volcano ri-scritto da Cabrera Infante per Joseph Losey.
Film che ci sembrano oggi meravigliosi -e lo sono dal punto di vista tecnico: regia e fotografia e musica- ma che risultavano agli occhi dei contemporanei fastidiose falsificazioni della storia presente. Soy Cuba, superproduzione sovietica, è per gli intellettuali cubani, nel 1964, un inaccettabile “mammut siberiano”. Evtušenko, co-autore della sceneggiatura, lungi dal contribuire a creare l'immagine, la falsifica.
Pellicole militanti degli anni sessanta che oggi faremmo fatica a rivedere: ancora la vicenda tragica del dittatore: Jefe di Ayala; l'epopea castrista in Manuela di Humberto Solas, l'apologia della violenza rivoluzionaria in Sangre de c¢ndor di Sanjínes, la voce del popolo nella Hora de los hornos di Getino e Solanas: "è l'ora dei forni" -sono versi di Martí, poi ripresi dal Che- "e non si deve vedere altro che luce".
E film che avremmo preferito non vedere, Sor Juana Inés ridotta a macchietta femminista da María Teresa Bemberg.
E romanzi che rimandano a film, film che rimandano a romanzi. Il Messico avventuroso di Huston, -da The Treasure of the Sierra Madre a Under the Volcano; il cinema messicano in Zona sagrada di Fuentes, sposato con una attrice; Fuentes e García Márquez e Puig sceneggiatori; Vargas Llosa regista di Pantaleón y las visitadoras; il Recurso del método di Carpentier portato sullo schermo da Littín; Borges critico e cinefilo; Osvaldo Soriano e Philip Marlowe soli contro tutto l'establishment hollywoodiano, Charlie Chaplin, James Stewart, Mickey Rooney e sopratutto lo spietato John Wayne. Hollywood vista da lontano da Cabrera Infante, Puig, Caicedo, Cortázar.
Gilda che è Rita Hayworth che è Margarita Cansino, argentina purosangue, Gilda si sfila voluttuosamente il guanto e canta suadente "Put the Blame on Mame", Gilda da cui discende quasi tutto Manuel Puig -e anche la Cuba Venegas di Cabrera Infante è Gilda. Humphrey Bogart è un avventuriero, cercatore d'oro, Alec Guiness è il nostro agente all'Avana, Albert Finney è il console Firmin, Wallace Beery è Pancho Villa, Marlon Brando è Emiliano Zapata, Gregory Peck è Bierce, Gian Maria Volonté è il Tirano Banderas. Harrison Ford in Mosquito Coast, gringo visionario e fanatico alla ricerca di un nuovo paradiso lontano dal consumismo. Robert De Niro trascina la rete carica di armi verso le missioni dei Gesuiti, sullo sfondo delle cascate di Iguazú, in The Mission. Claudio Amendola è un poco credibile Nostromo; Madonna è Evita; Charlie Boorman, emulo del René di Chateaubriand e dell'Abel di Green Mansions, rinasce giovane guerriero indio, figlio di nuovi padri, nella lussureggiante Foresta di smeraldo. Ornella Muti, illibata, affacciata alla finestra, risponde allo sguardo di Santiago Nasar, a Mompox; Jeanne Moreau e Brigitte Bardot, soubrettes senza risorse, sono coinvolte per amore nella rivolta contro il malvagio Don Rodríguez (donne di facili costumi, come le prostitute che arrivano a Macondo o a Santa María, come le ospiti della casa chiusa di Las muertas di Ibarguëngoitia, come le visitatrici burocraticamente offerte alle guarnigioni isolate in Amazzonia in Pantaleón y las visitadoras).
Lo pterodattilo di Conan Doyle, preparando l'avvento sugli schermi di King Kong, vola con gli effetti speciali di Willis O'Brien. David, regista del film nel film, riesce a montare una troupe in Patagonia (ma l'impresa disperata naufragherà come quella di Orélie Antoine de Tounens, l'avvocato francese che voleva essere re). E, con Herzog, lo sguardo allucinato di Klaus Kinski; che è Lope de Aguirre, der Zorn Gottes; che è Francisco Manoel Da Silva, il negriero; e che è Fitzcarraldo. L'Amazzonia teatro di imprese impossibili: navi nel folto, lontano dai fiumi, fabbriche di ghiaccio al Tropico (come in Cien a¤os de soledad: ghiaccio oggetto di meraviglia, galeoni incagliati nel verde), la Grande Opera nella foresta vergine, velluto rosso e lampadari a gocce e dorature sul limitare di questo mondo impenetrabile. "Tu non sai che sei l'anima mia", duetta nel Ballo in maschera Caruso con Sarah Bernhardt, lei impacciata da una gamba di legno, canta per lei una cantante nella fossa dell'orchestra, e non basta il Teatro Amazonas di Manaus, il sogno è un Teatro a Iquitos, l'Ernani in scena a tremilasettecento chilometri dalla foce.
(Finzione e storia ancora intrecciate. 1887: delirante come un personaggio di Herzog, fanatico come l'Allie Fox di Mosquito Coast, un ex insegnante tedesco, irriducibile antisemita, fonda insieme alla moglie Elisabeth una colonia nella selva del Paraguay - quasi una nuova reduccíon: da quattordici famiglie di ceppo selezionato dovrà rinascere la pura razza ariana. Poi lui, Bernard Förster, si suiciderà; lei tornerà in patria e si dedicherà a organizzare la vita e il culto di suo fratello - che è Friedrich Nietzsche)
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La musica: l'orgoglio chicano di Ritchie Valens, i lucidi progetti di Rubén Blades (sarà il futuro Presidente di Panama?), la nuova tradizione di Juan Luis Guerra, gli echi un po' retorici di Gato Barbieri, il carisma immortale di Gardel, la tristezza cosmica di Piazzolla, ritmi africani che si incrociano con arie provenzali e danze catalane che diventano musica da ballo afrocubana. Hibraim Ferrer, Rubén González e Company Segundo, anziani e dimenticati, el son de Cuba anni cinquanta riscoperta Ry Cooder e Wim Wenders: Buena vista Social Club, revival commovente e per certi versi equivoco.
Sono anche colonne sonore ripensate sognate da lontano:
"e ammesso che la milonga fosse una canzone, ebbene io/ io l'ho svegliata e l'ho guidata/ ad un ritmo più lento/ così la milonga rivelava di sé molto più/ molto più di quanto apparisse:/ la sua origine d'Africa/ la sua eleganza di zebra / il suo essere di frontiera,/ una verde frontiera/ una verde frontiera tra il suonare e l'amare/ verde spettacolo in corso / da inseguire/ da inseguire sempre, da inseguire ancora/ fino ai laghi bianchi del silenzio,/ finché Atahualpa o qualche altro dio/ non mi dica descánsate niño,/ che continuo io./."
Da lontano sogniamo il Tropico, la verde frontiera dell'America meravigliosa, e stanchi, insoddisfatti delle risposte che riusciamo a dare a questo nostro bisogno di profumi e frutti meravigliosi, vorremmo abbassare la guardia, vorremmo poter delegare la fatica di sognare mondi meravigliosi a qualche autore latinoamericano (Paolo Conte allude a un suo doppio argentino, Atahualpa Yupanqui), vorremmo poterci affidare a un autore che ci dica “riposati ragazzo, ci penso io”. Ma non lo possiamo fare, perché i sogni sono nostri, e nessuno può sognarli per noi. E se anche le parole degli autori latinoamericani ci appaiono di primo acchito nuove, liberatorie, presto ci accorgiamo che sono parole già dette, scritte prima in Europa.
73.
Nel 1507 il geografo Martino Waldesmüller sceglie di dare alla quarta parte del mondo il nome (non il cognome) di Vespucci: quarta orbis pars, quam quia Americus invenit Amerigen quasi Americi terram sive Americam nuncupare licet. Per motivi di analogia e simmetria linguistica preferisce il nome nella forma latina, Ameríco, in luogo della forma toscana Amerígo, e sposta l'accento, scegliendo la pronuncia sdrucciola: c'era già fra le parti del mondo l'Africa, sarà dunque opportuno chiamare il nuovo mondo América.
Un nome di persona gotico giunto in Toscana attraverso il provenzale (Haime-ric: il 'signore della casa') è ritoccato in forma classicheggiante da un tedesco che scriveva in latino, in un villaggio francese, in Lorena, una terra allora appartenente all'Impero. Così trova un nome il nuovo continente.
74.
Leggende eroiche, racconti favolosi, semplici storie: l'America Latina vista dall'Europa, infinita biblioteca, inesauribile repertorio di luoghi sognati, di luoghi perduti.
Leggiamo ancora, sopraffatti dalla maraña, coacervo di materiali eterogenei intrico di peripecias, periplos, viajes, venturas, desventuras, aventuras: tutto si incrocia sulle rotte del Tropico e del Sud e delle Indie, tutto è nuovo, tutto è deja vu in questo labirinto di mangrovie, "spirale nello spazio, con le numerose incisioni di fiumi suddivise nelle linee sottili di affluenti, correnti interne, torrenti costieri, come le arterie di un ragno divino", grande ragnatela, telaraña scaturita dalla musica degli elementi, spirale che carece de remate, anello senza fine.
E non importa se il filo forma una tela contorta. Colombo annota nel diario del primo viaggio la parola canoa. Ritroviamo due anni dopo la parola -la prima americana- nel Vocabulario español-latino di Nebrija. Scrive il lessicografo: canoa, "nave de madero": imbarcazione da un tronco; e poi, inventando, traduce in latino monorylum. Eppure qualcuno, come Lugones, insisterà nel sostenere che la parola deriva dal latino canna. Difficile accettare la novità americana. Colombo scrive erroneamente canibál invece di caribál, indio del Caribe, e nasce così il cannibale, nell'immaginario europeo primitivo e spietato antropofago; nella variante caliban "degradated and bestial man", mostro deforme nella Tempesta di Shakespeare. Oviedo manda dall'isola di Hispaniola una iguana viva all'amico veneziano Ramusio, ma l'animale morirà nella traversata. Per i missionari gesuiti il Meridione italiano è las Indias de por acá, e solo "chi abbia dato buona prova di sé nelle Indie di questo lato sarà adatto per quelle dell'altro". E del resto, il tarantismo del Salento ha la stessa radice africana del voodoo haitiano. Spagnoli descrivono per primi il nuovo mondo, Cervantes tenta invano di trovare lavoro in America (un fratello parte davvero, e l'Araucana di Ercilla -tra i libri della biblioteca di Quijano- è uno dei pochi salvati), nascono nel nuovo mondo Garcilaso el Inca e Alarcón, si pubblicano in Spagna le poesie di Juana Inés, e quattrocento anni dopo el descubrimiento la fine ingloriosa dell'impero americano coincide con la nascita in Spagna di una nuova generazione culturale. Poi la guerra civile porterà in America Latina Luis Buñuel, Ramón Menéndez Pidal, Amado Alonso, Juan Ramón Jiménez, Pedro Salinas, Rafael Alberti. E intanto la lingua spagnola rinasce una volta dopo l'altra in America: lontano dalla Spagna trova nuovi mondi da descrivere, e torna alla Spagna carica di nuova vita. (Il Nuovo Mondo offre così alla Spagna la parola, come gli aveva offerto nel 1500 l'oro, l'argento e la moneta, il peso).
Ortega y Gasset trova per Victoria Ocampo il titolo della rivista: Sur, Menéndez Pidal ritrova in America gli antichi romances castigliani, Juan Ramón Jiménez passa il testimone a Lezama, Valle-Inclán discute con Alfonso Reyes del romanzo messicano che sta scrivendo (sarà Tirano Banderas); Gallegos, costretto all'esilio da Juan Vicente Gómez, tra Madrid e la Galizia scrive e Cantaclaro e Canaima. Reyes a Buenos Aires sarà maestro ed amico del giovane Borges, e a Città del Messico maestro e amico del giovane Fuentes. Lowry impasta di oralità messicana il suo inglese; Valle, e nella sua scia Cela, galiziani, giocano a reinventare una lingua che è anche la loro eppure è straniera.
Cabeza de Vaca reinventa la Florida vergine e Hudson la Banda Oriental, che sarà poi l'Uruguay. L'Anchuria di O. Henry, la Santa Fe de Tierra Firme di Valle-Inclán, la Costaguana di Conrad, il Maradagál di Gadda sono paesi immaginari, eppure più veri dei luoghi che troviamo sulle carte geografiche -e solo dopo averli attraversati potremo tornare ad approdare alla Santa María di Onetti, o a scendere dal treno bananiero alla stazione di Macondo.
Trent'anni prima di Mutis e di García Márquez un romanziere tedesco racconta la morte di Bolívar; Garibaldi scrive romanzi latinoamericani d'avventura -naufragi, amori, la foresta, le guerre per bande. Hudson, dopo Hegel e dopo Goethe, ritorna a giustificare di fronte alla civiltà occidentale la diversità dell'America; e Bruno Traven riprende il discorso degli utopisti settecenteschi: dovremmo trarre ammaestramento dalla morale degli indios. I viaggi di Roussel e di Céline, che dovevano portare in America, portano invece in Africa, come dire non un nuovo mondo, ma un mondo antico, lontano e tenebroso. Graham Greene ci offre superbi esempi di romanzo latinoamericano, e García Márquez gliene rende onore. Saint-John Perse e Matthew Phipps Shiel e Jean Rhys e V. S. Naipaul e Italo Calvino nascono ai Caraibi. Cortázar nasce a Bruxelles, Fuentes trascorre l'infanzia negli Stati Uniti e Borges diventa adulto in Europa. Vargas Llosa è cittadino spagnolo; Cabrera Infante cittadino inglese; Cortázar (anche) cittadino francese. Dopo averla esposta una sola volta, alla Biennale di Venezia del 1897, Fattori regala Il governo dei cavalli, forse la sua migliore tela, alla figliastra che vive a Montevideo. Lucio Fontana si sposta inquieto tra Milano e Buenos Aires. Melville, Conrad, London, marinai, pensano a un futuro di scrittori. Poe e Baudelaire sono ossessionati dal lontano Sud. Cendrars e Chatwin viaggiano lentamente, a piedi, verso le estreme terre australi.
Cornelius de Pauw resta chiuso nella sua intransigenza: per lui l'America è intrinsecamente debole e corrotta, la scoperta è il più disastroso evento della storia dell'umanità. Humboldt, ansioso di alzare gli occhi alla volta stellata e di vedere finalmente la Croce del Sud, ripensa, come Vespucci, a quei versi di Dante.
Lo scenario naturale sempre descritto con stupore (ritroviamo l'araucaria nei versi di Neruda, ma anche di Ungaretti) l'oggetto esotico occultato dietro coltri di parole, o dietro divagazioni filosofiche; e il discorso procede sempre in bilico tra storia e mito; tra sogno e poesia; tra natura e cultura.
75.
Le proclamazioni della novità latinoamericana si fondono con le affermazioni del primato europeo; il bisogno europeo di liberarsi da tradizioni opprimenti si incrocia con il bisogno latinoamericano di cercare radici nel Vecchio Mondo. L'America è terra di barbarie, terra da civilizzare, Paradiso Terrestre in cui rinascere. E' terra dove visse felice l'uomo prima della caduta, terra in cui risorgere, meta di fuga, patria di nuovo radicamento.
Maqroll el Gaviero e Billy Budd, Foretopman, cercano l'orizzonte dall'alberatura della stessa nave; Parigi è la metropoli che l'America Latina non ha saputo darsi; l'incontaminata natura della foresta amazzonica è l'ultima nostra illusione.
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Questo mondo felice che cerchiamo in luoghi lontani è sempre, ancora, un mondo interiore, un nostro sogno erotico: Baudelaire respira l'odore dei capelli di lei, vi affonda il viso come l'assetato nell'acqua pura di una sorgente, e quei capelli contengono tutto un sogno, tutto il sogno, un sogno pieno di vele e alberature, di mari aperti e di venti che portano verso incantevoli climi, dove lo spazio è più azzurro e più profondo, dove l'atmosfera è profumata dai frutti, dalle foglie e dalla pelle umana.