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La Bellezza dell’essere folle sta nella sua assoluta libertà, di esistere a modo suo, di dire, di fare, di riscrivere o trasgredire le regole impunemente, di sputare in faccia le più crude verità, perché ad un folle puro si perdona tutto. Infatti, quando un criminale degno di condanna lo si dichiara impropriamente folle, si parla di lucida Follia: quale migliore ossimoro! Un contributo di riflessione di Annarosa Antonello.

Dai sensi un apprendere[1]

In un contesto esistenziale sempre più ordinato da esigenze a trazione tecnologico/digitale, le riflessioni sulle importanti implicazioni che questa trasformazione ormai strutturalmente in atto comporta, per l’umana capacità di apprendere attraverso l’esperienza sensibile emotiva e cognitiva, sono evidenti e allarmanti. Le derive tecnologiche, e con esse tutto ciò che è criticamente legato alla vertigine delle attività on line, sono pure oggetto di grande fermento mediatico e sociale. Ciò che invece appare raramente, quale argomento di ricerca e dibattito nei tavoli di confronto aperti sulle questioni più attuali, è un’analisi circa le soluzioni e gli interventi di contrapposizione, con azioni concrete, a tali derive.

Quello che vorrei condividere, in questo breve articolo, è la possibilità di delineare una rete di protezione che consenta di mantenere un atteggiamento lucido e distaccato nell’approccio immersivo alla tecnologia digitale, volendo interpretarla e riqualificarla puramente come strumento acceleratore di processi e non dispositivo immaginario stile Stargate, che si apre ai confini di un mondo parallelo e immateriale, in cui si rischia sempre più frequentemente di rimanere intrappolati.

Questa sorta di antidoto lo ravviso nel recupero e potenziamento metodologico delle capacità che discendono dall’utilizzo intenzionato dei sensi, dall’ascolto riflessivo di percezioni e sentimenti, dalla elaborazione, interpretazione e condivisione in linguaggio di queste esperienze.

Serve una rete di protezione che consenta di mantenere un atteggiamento lucido e distaccato nell’approccio immersivo alla tecnologia digitale

La domanda che apre all’ipotesi che vorrei sostenere, allora, è la seguente: “può l’Educazione Estetica, intesa come processo di sviluppo delle skills di apprezzamento e comprensione del reale e dell’idea regolativa di Bellezza, declinata in tutte le sue forme (natura, arte, cultura, relazioni ecc.), intervenire come quel faro luminoso di consapevolezza, riflessione critica e gusto estetico che ci metterà al riparo dalle derive dell’iper- esposizione digitale?

Riconquistare il dialogo con il mondo concreto attraverso l’esercizio cinestetico, per cui il fare attivo e consapevole si struttura in un risveglio dalla passiva ricezione sensoriale[2], può rivelarsi una sorgente di immunità fondamentale per preservare e difendere la nostra radice più umana, il pensiero, e la relazione in presa diretta con il mondo circostante. Anche quello virtuale, che non si vuole qui combattere o demonizzare ma semplicemente ridimensionare, andando incontro alle sfide e alle opportunità di questo tempo con rinnovata coscienza e creatività e senza necessariamente disconnetterci dalle radici terrene, in un viaggio senza ritorno. 

Le derive tecno-digitali

Ma quali sono le derive tecno-digitali che l’Educazione Estetica potrebbe contenere quando non contrastare?

  1. Erosione della Capacità di Concentrazione[3]:
  • Distacco progressivo dalla materia e conseguente approdo ad un rifiuto psico-emotivo del reale concreto
  1. Dissolversi delle competenze relazionali:
  • L’oggettiva e crescente riduzione delle relazioni vis a vis conduce ad un assottigliamento della capacità di agire una comunicazione non verbale (linguaggio del corpo, lettura dei segni/simboli, ecc.), che caratterizza le relazioni profonde e autentiche[4].
  1. Separazione Sociale[5]:
  • La facilità con cui è possibile intrecciare relazioni online comporta un impiego minimo di impegno e responsabilità, favorendo un allontanamento dalle interazioni reali in quanto molto più impegnative, dal senso di appartenenza ad una comunità, dalla solidarietà cui siamo chiamati quali agenti sociali.
  1. Disaffezione dalla Natura[6]:
  • Una immersione persistente nel digitale può occultare il bisogno di interagire con la Natura, il senso di responsabilità e cura per l’ambiente, la spinta a coltivare un gusto estetico/estatico per le meraviglie naturali.
  1. Dipendenza virtuale, anestesia emotiva:
  • Il potere di attrazione delle esperienze virtuali causa una forma di grave dipendenza che incide profondamente sulla capacità di emozionarsi nella e per la vita concreta, e alimenta stati di alterazione mentale (stress, ansia, depressione, ecc.)
  1. Alienazione dell’Identità:
  • Vivere insistentemente in una bolla virtuale conduce ad una identificazione del sé con le fantasiose rielaborazioni digitali della propria storia, della propria immagine, e del proprio “personaggio”. Ne consegue un’aspirazione, puntualmente frustrata, all’ideale, e il rifiuto totale dell’autentico.

Ovviamente queste sono solo alcune considerazioni di massima dalle quali è possibile far discendere molte altre sottocategorie relative a perdite e ricadute correlate alla trasformazione della nostra vita consegnata (o rassegnata) al potere digitale che, per amore di sintesi, potremmo sussumere sotto la voce di Essenza Umana.

Una Essenza che principia e finisce, nell’inevitabile coinvolgimento dei sensi con ciò che la precede, la caratterizza nel suo divenire e la conduce sino al termine dell’esistenza. I sensi sono strutture fondamentali nella costruzione e svolgimento della storia che ognuno di noi è, e in quanto tali hanno bisogno di idee regolative cui tendere e modelli educativi per garantire proficuamente il loro contributo alla fioritura personale. 

Incontrare la Bellezza, interpretare la Follia

Uno splendido affresco in parole, del processo che conduce a questa fioritura, lo possiamo leggere nella poesia di José Saramago[7], in cui il connubio tra il sentire sensibile e ingenuo e l’approdo ad una consapevolezza dell’essere corpo, ricettacolo di esperienze, passa attraverso la vertigine estatica dell’epifania del Bello naturale, in questo caso coincidente con la nascita di Afrodite:

All’inizio, è un nulla. Un soffio appena,
un brivido di squame, la carezza dell’ombra
come nube marina che si sfrangia
nella medusa dalle braccia a raggi.
Non si dirà che il mare s’è turbato
e che l’onda prende forma da quel fremito.
Nel dondolio del mare danzano pesci
e le braccia delle alghe, serpentine,
le curva la corrente, come il vento
le messi della terra, il crine dei cavalli.
Tra due infiniti blu s’avanza l’onda,
tutta di sol coperta, risplendente,
liquido corpo, instabile, d’acqua cieca.
Accorre il vento da lontano e reca
il polline dei fiori e altri odori
della terra contigua, oscura e verde.
Tuonando, l’onda rotola, e feconda
si lancia verso il vento che l’attende
nel letto scuro di rocce che si increspano
di unghie appuntite e vite brulicanti.
Ancora in alto le acque si sospendono
nell’istante supremo di tanta gestazione.
E quando, in un’estasi di vita che comincia,
l’onda si frange e sfrangia sulle rocce,
le avvolge, le cinge, le stringe e poi vi scorre
– dalla spuma bianca, dal sole, dal vento che ha spirato,
dai pesci, dai fiori e da quel polline,
dalle tremule alghe, dal grano, dalle braccia della medusa,
dai crini dei cavalli, dal mare, dalla vita tutta,
Afrodite è nata, nasce il tuo corpo.

Prima di una rapida indagine esplorativa su alcuni autori che si sono occupati dell’importanza pratico esistenziale della scoperta e del potenziamento di competenze che qui chiamo estetiche, vorrei fare un breve passaggio sul perché, in una rivista che chiama a raccolta le opinioni dei “folli”, ovvero coloro i quali hanno l’ardire di navigare controcorrente rispetto alle criticità del mondo tecnologico e digitale, mi spinge a parlare di Educazione Estetica e Bellezza.

L’acqua, elemento generatore di vita accomuna qui metaforicamente Bellezza e Follia, infatti, ritornando alle parole della poesia, così’ come Afrodite, dea della Bellezza che nella mitologia greca è nata dalla spuma del mare, tra raggi di luce e polvere di cristalli d’acqua, possiamo immaginare l’emersione della Stultifera Navis, la Nave dei Folli, quale una sorta di vascello fantasma che ad intervalli affiora e poi si confonde tra le pieghe di un mare ora illuminato dal sole e poi scuro e inquietante come una tela di William Turner.

Un’immagine evanescente e separata dal luogo comune che si costituisce in terra di mezzo tra cielo e acqua e sirenicamente attrae e allo stesso tempo spaventa. Parlo di quel sentimento riconducibile al thauma, che traduciamo con stupore, meraviglia, ma trascina con sé anche una sensazione di terribile angoscia legata alla percezione del limite che la ragione sperimenta nella pretesa di voler illuminare tutte le cose[8].

L’esperienza umana, infatti, non procede esclusivamente per lumi chiarificatori o per soli calcoli, anzi, principia proprio da ciò che è oscuro e resistente alla quantificazione. Ecco perché la processione veloce dei dati e la precisa razionalità del calcolo, ambiti in cui eccelle il tecnologico, pur costituendosi appigli sicuri e confortanti da soli non soddisfano le infinite sfumature della vita umana. E potremmo anche aggiungere: ecco perché ogni volta che incontriamo il mistero, l’incalcolabile, l’irrazionale, c’è bisogno di Follia per aprire un nuovo orizzonte di senso e non rimanere pietrificati dalla paura.

La conoscenza inizia dal sentire, e prima ancora che il sentire la materia, attraverso il percepire disgiunto dei nostri sensi, ciò che è sentito sono le atmosfere che sinesteticamente avvolgono in un’aura immersiva. In totale fusione con l’ambiente l’io vive l’esperienza di essere mondo: non autore, non regista, non attore e nemmeno semplice comparsa o spettatore, non soggetto che costruisce una scenografia a suo piacimento o misura, ma un tutto con-fuso che solo il genio artistico può far emergere e tradurre in linguaggio.

Un linguaggio a volte fisico e muto, a volte fatto di parole che dipingono metaforicamente quelle sfumature dell’anima che si possono solo vivere e mai definire e di cui il poeta, o il folle, si fanno messaggeri: due soggetti che nella filosofia platonica si fondono in uno perché hanno la stessa radice divina e sanno cogliere la Bellezza del sentire come essenza esistenziale.

Quando si parla di Follia, infatti, al pensiero fanno eco le follie platoniche[9]: manie ispirate dalle divinità: Apollo, Dioniso, Le Muse, Afrodite (appunto) ed Eros, che operano, attraverso il folle prescelto nel Kairos, i loro misteriosi piani.

Bellezza e Follia possono coesistere sullo stesso specchio d’acqua l’una accanto all’altra: non c’è cosa bella che non sia anche vertigine, suggestione di Follia, e non c’è Follia che non approdi nell’alveo di quel turbamento che precede il giudizio estetico: perché troppa Bellezza o la sua totale assenza precipitano il soggetto nello stesso vortice di inquietudine. Perché Bellezza e Follia sono concetti anelenctici, ubiqui e trasversali, nutriti della medesima radice irrazionale che sa di mistero. Bellezza e Follia non si spiegano al più si disvelano nel fenomeno inaspettato, o si manifestano nel gesto artistico sventagliando una poliedricità di significati emergenti nell’aura di meraviglia di cui sempre si accompagnano.

La Bellezza dell’essere folle sta nella sua assoluta libertà, di esistere a modo suo, di dire, di fare, di riscrivere o trasgredire le regole impunemente, di sputare in faccia le più crude verità, perché ad un folle puro si perdona tutto. Infatti, quando un criminale degno di condanna lo si dichiara impropriamente folle, si parla di lucida Follia: quale migliore ossimoro!

Ma cosa c’entra la Bellezza in un luogo di folli che si dichiarano impegnati nell’ordire un confronto dialogico dedicato alla tecnologia? La Bellezza rispetto alla tecnologia, e intesa come idea regolativa di Educazione Estetica, potrebbe rivelarsi l’altra faccia della medaglia, il contrappeso, la filosofia negativa, l’una e l’altra comparendo per sottrazione.

La Bellezza dell’essere folle sta nella sua assoluta libertà, di esistere a modo suo

Assumiamo per ora la prospettiva della terza critica kantiana[10] per cui il Bello è finalità senza scopo: privo di utilità pratica per il raggiungimento di qualche obiettivo economico o di esercizio del potere. Non è esattamente l’antitesi del prodotto tecnologico studiato, prodotto e commercializzato per essere percepito come assolutamente necessario, a semplice scopo di lucro?

La Bellezza che è ingenua e fine a sé stessa chiede muta testimonianza di sé per poter essere, e presenza concreta alla quale dischiudersi. Ciò che chiede, in fondo, è l’esercizio dei nostri sensi ad accoglierla, esperirla, ricercarla e ricrearla, sviluppando al contempo una conoscenza sensibile e personale che si consolida in gusto estetico.

Il paradigma della Bellezza (intesa sia come presenza sia come assenza di Bello) vissuta come esperienza concreta, è un catalizzatore di meraviglia, stimola la curiosità, la creatività, suscita la formulazione della domanda e conseguentemente la spinta alla ricerca creativa e originale di risposte che si fanno conoscenza consapevole.

Educazione al Bello: preludio di conoscenza

Questo fare dei sensi, illuminati e organizzati dall’aura del Bello, produce l’iniziazione ad una conoscenza pratica, di sé e di ciò che chiamiamo ambiente circostante, fondamentale allo sviluppo complessivo e completo dei soggetti, e soprattutto costituente una propedeutica per l’esercizio autonomo del pensiero.

Quella della Bellezza è la scala che conduce all’amore per la conoscenza ovvero alla Filosofia. Conoscenza, dunque, come esercizio del pensiero che si allena a partire dalla predisposizione ad accogliere con i sensi la meraviglia delle cose belle che incontra nel suo cammino.

Conoscenza che non si può mercificare né barattare o confondere con l’informazione di cui il mondo virtuale è strutturalmente costituito. A differenza dell’Informazione, accumulata e trasferita con la tecnologia digitale, la conoscenza implica l’esserci in presenza, la presa diretta con il concreto e le sue atmosfere, lo sforzo di contribuire, il fare esperienza con volontà e attenzione, il porre coscienza agli stimoli che i sensi inviano alla mente e alla percezione che ne deriva, alla sua interpretazione, alla necessità di condividere nel dialogo il vissuto, a cercare e trovare testimonianza e verità nel confronto, a sottoporsi al giudizio di altri.

La conoscenza è propria dell’umano, materia viva, abita negli esseri umani, in essi cresce, si diffonde, si sviluppa, evolve.

L’informazione è utile e spendibile per la processione ed il calcolo. Essa è ben veicolata dal mezzo tecnologico ma assolutamente separata dall’esperienza estetica e, quando non filtrata dall’azione intelligente umana è materia inerte, un ingombro che nemmeno la nostra memoria potrà conservare a lungo nel tempo. Le informazioni digitali, infatti, le cataloghiamo opportunamente in “memorie” artificiali.

Lo stesso non possiamo fare delle nostre sensazioni, dei nostri sentimenti, da cui discendono l’intelligenza pratica, la memoria sensibile (il ri-cordo: un’esperienza vissuta con il cuore), i modelli cognitivi, la forma mentis e molto altro riconducibile a ciò che chiamiamo Essenza Umana.

Le intelligenze artificiali sono oggetto di studio ed il tentativo di proporle come strumenti di emulazione del processo umano che chiamiamo conoscenza è in fase di sperimentazione. Non sappiamo ancora quale futuro potrà dischiudersi su tali ricerche ma una cosa è certa: se mai un giorno qualcuno vorrà dimostrare che l’intelligenza artificiale può funzionare esattamente come una mente umana non troverà nessun CHI da poter intervistare in quanto soggetto di testimonianza diretta: l’intelligenza artificiale è per definizione una COSA.

La Relazione con il mondo: Arte ed Evoluzione

Quindi, parafrasando e sintetizzando, ripropongo la domanda iniziale: “l’Educazione Estetica può costituirsi in un’ancora di salvezza che ci tiene saldamente uniti al mondo concreto nel mentre esploriamo quello virtuale?”

Molti pensatori di tutte le epoche si sono espressi in tal senso pur se indirettamente. Ne citerò qui solo alcuni facendo riferimento alla contemporaneità.

Ellen Dissanayake, in “Aesthetic experience and human evolution[11], illustra la stretta correlazione tra evoluzione degli stili artistici ed evoluzione biologica. Il rapporto si costituisce in un sinolo prospettico bio- evolutivo che inerisce nel corso della storia e nella produzione culturale. L’Educazione Estetica, che discende dall’assunzione di un “comportamento artistico”, stimolerebbe la capacità di produrre significati e orizzonti di senso, connessioni sociali e profonda comprensione di sé e del mondo. Particolare enfasi dà l’autrice all’aspetto dinamico che caratterizza il soggetto percipiente e l’oggetto (artistico o naturale) fonte di stimolazione.

Ricorrere alla tecnologia per ogni forma di relazione indebolisce e condiziona a dipendere progressivamente dalle sue funzioni e funzionalità.

John Dewey scrive “Art as Experience[12] per rivelare un nuovo paradigma per l’esperienza umana in generale, individuato nell’ambito dell’Estetica intesa come un ordine di perfezionamento e processo di compimento delle istanze sensoriali ed emotive. L’esperienza Estetica, quindi, è condizione di possibilità che alimenta la capacità di ricercare significati nell’agire quotidiano. Le pagine di Dewey si aprono in una critica diretta alle relazioni che Arte ed Educazione Estetica, insieme, intrecciano con le dinamiche dell’esperienza sensibile ma anche con le realtà sociali di cui le prime sono alimentate.

Suzi Gablik, in “The Reenchantment of Art[13] auspica una riconnessione con il simbolismo primordiale quale via di ritorno dell’anima presso l’umano; anima smarrita nella confusione compulsiva ed oppressiva della frammentazione temporale tipica dell’età tecnologica. Dell’arte contemporanea ha sostenuto quegli artisti che riuscivano a creare fuori dagli schemi, rompendo le regole della routine opacizzante le sfumature estetiche ed emozionali che alludono alla trasformazione sociale, sia in connessione con la natura sia nell’interrelazione tra esseri umani.

Molto simile anche la posizione di Alva Noe la quale, nell’opera “Strange Tools: Art and Human Nature[14], indaga il rapporto tra Arte, Coscienza e Natura, teorizzando l’Esperienza Estetica come un elemento strutturale imprescindibile della fioritura personale.

Susan Sontag invece, in “On Photograpy[15], riflette sul potenziale delle arti visive quali ad esempio: fotografia, cinema e composizioni contemporanee, illustrandone il potenziale valore estetico e l’alto contributo a forgiare in ognuno la particolare percezione del mondo e della società.

Tutti questi autori convergono nel rappresentare, con esemplificazioni pratiche e argomentazioni teoriche, il valore delle competenze estetiche nella ricerca, riconoscimento, creazione e contemplazione estatica del Bello quale imprescindibile preludio di sviluppo della conoscenza.

Competenze Estetiche

Infatti, stimolare e potenziare tali skills estetiche, seguendo questa traccia, comporterebbe una serie di trasformazioni e ricadute che interessano l’essere umano nella sua totalità in quanto l’Educazione Estetica mira alla:

  • Esposizione e allerta dei sensi in direzione dell’indagine interattiva con il concreto, sia esso naturale, sia esso artistico
  • Elaborazione critica della domanda di fronte all’esperienza con la Bellezza naturale e/o Artistica che funziona come cassa di risonanza per la produzione di risposte stimolo di tipo emotivo, cognitivo ed estetico
  • Partecipazione interattiva in pratiche artistiche (scrittura, pittura, recitazione, danza ecc.) per l’esplorazione ed il superamento di propri confini razionali e creativi, immersione nella natura (fotografia, percorsi sensoriali ecc) fusione armonica con l’ambiente
  • Costituzione di gruppi dialogici di condivisione della esperienza Estetica verso una amplificazione della comprensione e una apertura a ventaglio sui punti di vista
  • Costruzione di un mind-set dedicato alla indagine e riflessione continua sul vissuto esperienziale come allenamento della curiosità per il nuovo, e implementazione e raffinamento del gusto estetico personale orientato al Bello.

In sintesi, l’Educazione Estetica è un’attività che allude alla crescita personale a tutto tondo per la quale si rende necessario l’impiego di spazio, tempo e volontà, implica dedizione e chiede una consapevole predisposizione all’apertura mentale. È una attività in totale fusione tra presenza fisica e realtà percepita in atmosfera, che produce stimoli essenziali per il lavoro intellettuale e può costituire un contro bilanciamento all’esposizione passiva e incorporea al digitale.

Ne deriva che l’Educazione Estetica aiuta anche a conservare e potenziare:

  • La presa diretta con la realtà concreta perché stimola l’esperienza sensibile in tutte le sue forme e possibilità, contrasta le derive emotive derivanti dalla separazione spaziale e contestualmente combatte l’isolamento sociale
  • La padronanza e la consapevolezza dell’azione sensoriale perché predispone a cogliere e tradurre i segnali raccolti dai sensi in linguaggio, a immergersi nelle atmosfere multisensoriali riattribuendo valore e significato all’essere in situazione, e riconduce alla scoperta di una primordiale trasversalità della ricezione contro il limite del digitale, che consegna un primato esclusivo ed escludente a vista ed udito
  • La versatilità di una mente creativa quale migliore espressione personale e autentica di poter essere nel voler fare, impegnandosi in attività concrete che alimentano l’autostima e contemporaneamente si oppongono alla partecipazione passiva organizzata dal mondo virtuale.
  • Il riconoscimento del proprio ruolo sociale e il senso di appartenenza alla comunità perché promuove l’organizzazione e la partecipazione ad eventi fruibili in comunione con altri, contesti culturali che offrono spunti di socializzazione (Teatri, Mostre, Concerti, Installazioni ecc) desiderio di contribuire alla comunità e condivisione delle esperienze.

Conclusioni

Conoscere le potenzialità e i limiti della tecnologia è fondamentale per poter utilizzare, con responsabilità e consapevolezza, ogni strumento che la scoperta scientifica mette a disposizione come soluzione per la nostra migliore esistenza. Soprattutto fondamentale è creare le condizioni di possibilità per praticare delle attività sfidanti al fine di allenare skills esistenziali che, diversamente, rischiamo di atrofizzare in quanto banalmente non richieste per muoversi in un mondo virtuale. Nel fare questo, è opportuno non scordare che ogni nuovo mezzo/strumento introdotto nella nostra quotidianità può intervenire da un lato come vantaggioso risparmio di tempo, risorse economiche e fisiche, dall’altro come una minaccia corrosiva di una (o più) nostra abilità/capacità che a lungo termine finiremo col disimparare e collocare nell’oblio.

Quanta della nostra coscienza siamo disposti a barattare in nome della velocità, della visibilità e per amore di performance?

Esattamente come nella dialettica hegeliana servo/padrone[16], perdere di vista lo svolgersi del processo delegando il compito, in questo caso non ad altri ma ad altro, non potrà che sortire l’effetto che Hegel descrive nella “Fenomenologia dello Spirito” per cui il servo, che riceve ed esegue gli ordini, a lungo andare diventerà la coscienza predominante, quella sola capace di padroneggiare l’intero svolgersi del processo, mentre al Signore e Padrone non resterà altro da poter fare che impartire gli ordini, in quanto il processo non gli appartiene più, per cui la sua sopravvivenza dipenderà esclusivamente dalla buona volontà del servo di continuare ad accorrere e soddisfare ogni suo bisogno.

Ciò che è considerato mezzo di potere e controllo nelle nostre intenzioni, ovvero la tecnologia in generale e quella digitale nello specifico, rischia di trasformarsi in una gabbia che vincola la nostra Coscienza e la nostra libertà, non solo di azione ma anche di espressione di noi stessi. Ricorrere alla tecnologia per ogni forma di relazione indebolisce e condiziona a dipendere progressivamente dalle sue funzioni e funzionalità. Solo in questo caso potremmo veramente dire che la tecnologia supererà l’umano, non perché ugualmente umana o maggiormente intelligente ma per abbandono di intelligenza e umanità da parte nostra.

La pervasività del mondo digitale e virtuale discende dalla nostra mancanza di approccio critico rispetto alla governance dei mezzi che decidiamo di utilizzare. Una riflessione profonda sulle responsabilità che ognuno di noi ha, rispetto alle derive tecnologiche, dovrebbe fare emergere interrogativi filosofici sull’impatto dello strumento sull’esperienza umana e sulla nostra relazione con la realtà circostante. Più in profondità: sarebbe opportuna la presa di coscienza che la tecnologia dei nostri giorni, rispetto ai suoi impieghi e alle sue chiavi di lettura, non risponde più ad una trasformazione modale quanto piuttosto essenziale delle nostre vite.

L’Esercizio di contrapposizione che l’Educazione Estetica allena a fare va nella direzione di preservare le nostre finalità, tra le quali non è contemplata la dipendenza da cose o persone, e di ridimensionare ogni strumento, per quanto potente e performante, al ruolo utilitaristico che gli spetta: imparare a servirsi delle innovazioni senza svilire la coscienza che aspira a conoscere, produrre, creare e gestire consapevolmente la propria essenza e la propria realtà.

Realtà che potrebbe sfuggirci di mano nell’ipotesi che si realizzi il modello Technopoly[17], ovvero una società di individui il cui mind-set guarda alla tecnologia come ente certificatore di ogni agire etico e culturale, pratico e direzionale. Per cui la domanda non sarà se i computer potranno mai pensare e sentire come gli umani, ma se gli umani, abdicando alla loro essenza, si risolveranno a simulare di pensare e sentire come i computer.

BIBLIOGRAFIA:

  • Nicholas G. Carr, “The Shallow: What the Internet is doing to our Brains
  • Andrea Cerani, Valeria Nigro, “Dai Sensi un Apprendere” 
  • John Dewey, “Art as Experience
  • John Dewey “Learning by Doing
  • Suzi Gablik “The Reenchantment of Art
  • G.W.F. Hegel “Fenomenologia dello Spirito
  • Immanuel Kant, “la Critica del Giudizio”
  • Richard Louv, “The Nature Principle: reconnecting with Life in a Virtual Age
  • Alva Noe, “Strange Tools: Art and Human Nature
  • Platone “Fedro”
  • Neil Postman, “Technopoly, the Surrender of Culture to Technology”
  • Josè Saramago, “Le poesie
  • Susan Sontag “On Photography”, trad. It. Di Ettore Capriolo, “Sulla Fotografia, Realtà e Immagine nella nostra Società”
  • Sherry Turkle, “Reclaiming Conversation: the Power of Talk in a Digital Age
  • Sherry Turkle, “Alone Together. Why We expect more from Technology and less from Each Other

Note

[1] Andrea Cerani, Valeria Nigro, “Dai Sensi un Apprendere”, Franco Angeli Editore, 2006. Il testo, pur mettendo in primo piano lo studio dell’Immagine, si sviluppa sul concetto di armonia creata dal lavoro integrato di tutti i sensi, uno studio sperimentale didattico dell’Università dell’Immagine dedicato ad ogni forma di creatività.

[2] Il riferimento è alla corrente filosofica del Pragmatismo per cui la conoscenza è un processo che discende dalle esperienze concrete, non un accumulo di dati come sostiene l’Empirismo, e il pensiero, quindi, attinge dall’azione pratica all’interno della quale risulta indistinguibile soggetto e oggetto. Questa corrente di pensiero di cui furono pionieri Charles Pierce e William James, influenzarono un giovane John Dewey durante i suoi studi universitari, convergendo nella sua originale metodologia pedagogica del learning by doing, definita anche “attivismo pedagogico”, per cui il fare pratico è condizione di possibilità della comprensione dei concetti.

[3] Nicholas G. Carr, “The shallow: what the Internet is doing to our brains”, W. W. Norton & Company, New York, 2010.

[4] Sherry Turkle, “Reclaiming conversation: the power of talk in a digital age”, Penguin P., Londra, 2015

[5] Sherry Turkle, “Alone together. Why we expect more from technology and less from each other” Basic Books, New York, 2011.

[6] Richard Louv, “The nature principle: reconnecting with life in a virtual age”, Algonquin Books, 2013.

[7] Josè Saramago, “Le poesie”, Einaudi, Torino, 2002, Traduzione di Fernanda Toriello.

[8] Il riferimento, pur parafrasato, al titolo del romanzo di Jonathan Safran Foer, “Everything is illuminated”, (2002) non è casuale.

[9] Platone parla delle manie nel dialogo “Fedro”, 265b ss.

[10] Immanuel Kant, “la Critica del Giudizio”, Analitica del Bello, libro I

[11] Articolo su rivista: the “Journal of Aesthetics and Art Criticism”, vol. 41, No. 2, winter 1982

[12] John Dewey, “Art as Experience”, Minton-Blach & Company, New York, 1935

[13] Suzi Gablik “The reenchantment of Art”, Thames and Hudson, London,1991

[14] Alva Noe, “Strange Tools: Art and Human Nature”, Hill and Wang, New York, 2016

[15] Susan Sontag, “On Photography”, trad. It. Di Ettore Capriolo, “Sulla fotografia, Realtà e immagine nella nostra società”, Einaudi, Torino, 1978

[16] G.W.F. Hgel “Fenomenologia dello Spirito” cap. IV, “Autocoscienza - Indipendenza e dipendenza dell’autocoscienza, signoria e servitù

[17] Neil Postman, “Technopoly, the Surrender of Culture to Technology” Alfred Knopf, New York, 1993

 

 

Annarosa Antonello

Annarosa Antonello / Consulenza e pratiche Filosofiche, Life Skills, Coaching

blackrosesas@libero.it

Andrea Cerani, Valeria Nigro, “Dai Sensi un Apprendere”, Franco Angeli Editore, 2006. Il testo, pur mettendo in primo piano lo studio dell’Immagine, si sviluppa sul concetto di armonia creata dal lavoro integrato di tutti i sensi, uno studio sperimentale didattico dell’Università dell’Immagine dedicato ad ogni forma di creatività.

Il riferimento è alla corrente filosofica del Pragmatismo per cui la conoscenza è un processo che discende dalle esperienze concrete, non un accumulo di dati come sostiene l’Empirismo, e il pensiero, quindi, attinge dall’azione pratica all’interno della quale risulta indistinguibile soggetto e oggetto. Questa corrente di pensiero di cui furono pionieri Charles Pierce e William James, influenzarono un giovane John Dewey durante i suoi studi universitari, convergendo nella sua originale metodologia pedagogica del learning by doing, definita anche “attivismo pedagogico”, per cui il fare pratico è condizione di possibilità della comprensione dei concetti.

Nicholas G. Carr, “The shallow: what the Internet is doing to our brains”, W. W. Norton & Company, New York, 2010.

Sherry Turkle, “Reclaiming conversation: the power of talk in a digital age”, Penguin P., Londra, 2015

Sherry Turkle, “Alone together. Why we expect more from technology and less from each other” Basic Books, New York, 2011.

Richard Louv, “The nature principle: reconnecting with life in a virtual age”, Algonquin Books, 2013.

Josè Saramago, “Le poesie”, Einaudi, Torino, 2002, Traduzione di Fernanda Toriello.

Il riferimento, pur parafrasato, al titolo del romanzo di Jonathan Safran Foer, “Everything is illuminated”, (2002) non è casuale.

Platone parla delle manie nel dialogo “Fedro”, 265b ss.

Immanuel Kant, “la Critica del Giudizio”, Analitica del Bello, libro I

Articolo su rivista: the “Journal of Aesthetics and Art Criticism”, vol. 41, No. 2, winter 1982

John Dewey, “Art as Experience”, Minton-Blach & Company, New York, 1935

Suzi Gablik The reenchantment of Art”, Thames and Hudson, London,1991

Alva Noe, “Strange Tools: Art and Human Nature”, Hill and Wang, New York, 2016

Susan Sontag, “On Photography”, trad. It. Di Ettore Capriolo, “Sulla fotografia, Realtà e immagine nella nostra società”, Einaudi, Torino, 1978

G.W.F. Hgel Fenomenologia dello Spirito” cap. IV, “Autocoscienza - Indipendenza e dipendenza dell’autocoscienza, signoria e servitù

Neil Postman, “Technopoly, the Surrender of Culture to Technology” Alfred Knopf, New York, 1993