Dopo anni di trasformazioni digitali è tempo di trasformazioni umane, perché la disruption nella quale viviamo è grande, diffusa e foriera di vaste e profonde perturbazioni, di imprevedibili violenti e distruttivi temporali.
Dopo anni di retorica sulla digital disruption cresce il bisogno di un nuovo tipo di disruption, guidata in nome e dall’umano. Dopo anni di surplus narrativo sull’eccezionalità delle macchine (anche belliche), grande è la necessità percepita di riempire le narrazioni di racconti, storie ed esperienze (non belliche) umane.
Dopo l’ubriacatura social dentro il Metaverso (metafora per me di tutti i mondi online) è giunto il momento di rilanciare la socialità corporea del Nostroverso, un universo fisico, fatto di corpi, sguardi e volti (leggete Paul Ricœur e Emmanuel Lévinas), respiro, tatto e con-tatto.
Il disincanto tecnologico crescente
La meraviglia che ha caratterizzato la nostra interazione con la tecnologia sta trasformandosi in disincanto, a causa delle molteplici distorsioni (tecno-magie) tecnologiche che hanno inquinato il mondo dell’informazione (false notizie e tecno-bugie), le interazioni sociali (bullismo, isolamento e solitudine), le aziende e le organizzazioni (riduzionismo computazionale), la politica (mutata in comunicazione), l’economia (globalizzazione neo-tecnoliberista), la guerra (droni per tutti!), e l’etica (quella delle machine che piace tanto ai monaci e ai filosofi pop o quella dell’uomo?).
Dopo anni che hanno visto diffondersi superficialità e velocità, molti stanno comprendendo che tutti abbiamo bisogno di stare dentro la complessità irriducibile della realtà e dell’umano, in lentezza, con spirito riflessivo e critico, alla ricerca di conoscenza (il surplus informativo ha fatto il suo tempo), nella (tecno)consapevolezza che la tecnologia ci stia distraendo dai nostri obiettivi di scopo, limitando le nostre potenzialità a semplici capacità, calcolo, vantaggi e benefici, distogliendoci dalle nostre responsabilità umane e esistenziali.
A un anno dall’annuncio della ChatGPT che ha catturato l’attenzione di tutti sull’intelligenza artificiale servirebbe provare a rifocalizzarla sull’intelligenza umana, sprecata da molti anche per celebrare un’intelligenza artificiale, che forse tanto intelligente neppure lo è. Perché facciamo tanta fatica a riconoscere che le macchine non pensano, non hanno conoscenza di sé, sono prive di emozioni, non possono essere considerate empatiche. Al tempo stesso perché non ci preoccupiamo di ciò che, a causa della tecnologia, sta succedendo dentro di noi? Perché non dedichiamo lo stesso tempo, che dedichiamo alla ChatGPT, a difendere la nostra identità di umani, fatta di esperienze, emozioni, inconscio, immaginazione, così come di fragilità, vulnerabilità e mortalità?
Nessuno può negare la rivoluzione tecnologica di questi anni. Una rivoluzione che ha cambiato il mondo, l’economia, la (geo)politica, la società, ma anche la testa e i comportamenti delle persone. Tra gli effetti di questa rivoluzione c’è un grande sonno che si è impadronito di moltitudini, sempre più impegnate in modo sonnambolico a divertirsi dentro acquari-mondo ludici e consumistici, nel tentativo di evitare il trauma del risveglio, mentre è proprio al risveglio che oggi dovrebbero mirare (il Risvegliamoci agognato da Edgar Morin, non quello dei Testimoni di Geova per intenderci).
Il risveglio, quando arriverà, sarà sempre troppo tardi, ma rimane una necessità. Serve a creare una rottura, una cesura necessaria, con un presente (vissuto in forma di presentismo) che si è già mangiato il futuro, in modo da poter ricominciare a lavorare alla costruzione di nuovi avvenire, in discontinuità con il presente. Un presente che spaventa, per l’emergere continuo di policrisi che ci tengono imprigionati dentro una crisi più grande, quella del pensiero e del nostro futuro, individuale, collettivo, sociale, umano.
Dopo anni di progetti informatici e digitali è tempo di pensare a un nuovo grande Progetto, ispirato a un “umanesimo” rinnovato, non esclusivamente antropocentrico, immerso nella realtà e nel tempo di crisi che viviamo, capace di favorire un’uscita dal presentismo corrente, che ha fatto scomparire il passato e agglutinato il futuro, anche grazie alle nostre visioni dello stesso, siano esse animate da fiducia nel tecno-progresso o da previsioni catastrofiche e apocalittiche nei suoi esiti finali.
"Lungi da ogni separazione soggetto e oggetto/oggetto, l'organismo agisce tanto quanto è agito." - Corpi Viventi - M. Benasayag. B. Cany
Fare non basta, bisogna agire
Al fare e al lasciar fare dobbiamo sostituire l’agire, nell’accezione ad esso data da Miguel Benasayag, alla convinzione di vivere tempi di grandi opportunità e libertà astratte (freedom), mentre la libertà concreta (liberty) è sempre più limitata, dobbiamo sostituire la consapevolezza di essere sempre più intrappolati, assumendo la responsabilità di reinterpretare il passato, di ripensare a ciò che è già successo e che abbiamo contribuito a far succedere. Reinterpretazione e ripensamento servono per trovare (ridare) nuovo senso al presente, in modo da dare nuove possibilità al futuro, che oggi ci appare già concluso, spesso predeterminato da altri. Ritirare la delega in bianco che ci ha resi passivi, semplici utenti e consumatori, significa ritornare a interrogarsi su sé stessi (“conosci te stesso”), a (ri)provare a essere sé stessi, recuperando la propria autonomia verso i profili digitali che hanno preso il controllo su tanti di noi, a prendersi cura di noi e degli altri. Si può fare, basta ridare importanza al NOSTROVERSO, ridando significato e senso al corpo, allo sguardo e al volto, ciò che ci contraddistingue come umani (altro che facce o avatar vari).
La superficialità con cui si guarda al presente e al futuro, evidenziata da narrazioni semplicistiche, anche nell’uso delle parole (progresso, nazionalismo, sovranità, libertà, ecc….chi ne conosce oggi o ne difende il vero significato?) e del linguaggio, genera confusione cognitiva e psichica, suggerisce cattivi presagi. Quando la catastrofe arriverà ci troveremo spiazzati, se non si verificherà sarà comunque un problema, perché la sua percepita non inevitabilità ci permetterà di continuare a non agire, a non fare nulla per prevenirla od evitarla veramente.
L’impossibilità di separare verità da menzogna è ormai così consolidata che chi dice e pratica la verità finisce per essere proprio colui che alimenta la sua percezione come menzogna. Un gran casino, un merdaio reale, nel quale affogano pensieri alternativi, radicali, non allineati (perché non si può parlare di pace? perché non si può assimilare le pretese territoriali russe a quelle israeliane? perché non si può ricordare al pensiero progressista e liberale le sue colpe per la situazione attuale?). Ci si è dimenticati di etica (ormai conta di più l’algoretica) e morale, di solidarietà e di diritti, si subiscono disuguaglianze e povertà, si accettano come normali precarietà e nuove schiavitù, si è perso il senso della cittadinanza utile a far pressione sul potere, ci si astiene perché la rappresentanza tra società civile e le sue varie articolazioni non funziona più, ma soprattutto non si fanno i conti con le tante crisi in atto.
Nelle aziende e nelle organizzazioni la disruption digitale è un fenomeno reale che sta determinando le sorti esistenziali di una miriade di aziende, sia per non avere compreso lo tsunami in avvicinamento, che ha demolito modelli di business consolidati da anni, mercati e rapporti con la clientela (anche con e tra i dipendenti), sia per essersi principalmente focalizzate sulle tecnologie invece che sulle organizzazioni e sulle persone. La scarsa attenzione alle persone emerge dalla letteratura sull’argomento, dalle pratiche suggerite da una miriade di guru e di consulenti influencer, dalle narrazioni prevalenti, è stata giustificata dalla ricerca del cosa e del come fare, del farlo veloce, piuttosto che dal domandarsi, anche umanamente parlando, e dall’interrogarsi sul perché.
Il ciclone tecnologico si è abbattuto su realtà editoriali e alberghiere (AirBnb et similia), dei trasporti (Uber e non solo) e della logistica, della vendita al dettaglio (sparizione delle casse e delle cassiere, RFID, ecc.), e innumerevoli altre. Ad alimentarlo sono state innovazioni potenti quali dispositivi sempre più potenti, strumenti analitici, Big Data, realtà virtuali e aumentate, blockchain, intelligenza artificiale, automazione robotica. L’informazione non basta, la conoscenza neppure, se non si traduce in azione. Le competenze non bastano se non si tiene conto della mentalità e della cultura organizzativa, della sua struttura e della sua vocazione autopoietica, dei ritmi che caratterizzano il suo modo di agire e di stare sul mercato.
La sfida della digital disruption
La sfida della digital disruption richiede adattamento e assimilazione ma senza apprendimento e assorbimento non porta lontano. Senza contare che le persone che operano in azienda hanno menti già modificate cognitivamente dalle molte rivoluzioni tecnologiche a cui sono state esposte. Quelli della mia generazione, tra i primi ad avere un cellulare e un PC portatile sono ormai considerati dei dinosauri. Tutti oggi hanno uno smartphone, tutti oggi sperimentano in tempo reale le tante innovazioni tecnologiche emergenti. Così come la trasformazione digitale non dipende da un gruppo di manager intelligenti il suo successo non è legato all’implementazione di nuove tecnologie. Ciò che veramente serve è un ritorno di attenzione sull’umano, non solo in termini di capacità, ma di intelligenza, emotività, umanità.
Ciò che più oggi colpisce (almeno me) è la difficoltà a difendere chi siamo come umani, il perimetro nel quale siamo evoluti, sempre in simbiosi con qualche forma di tecnica/tecnologia, ma pur sempre come umani. La difficoltà emerge dal poco tempo e dalla scarsa attenzione dedicata a noi stessi, al contesto nel quale ci troviamo (crisi e guerre ad esempio), dall’affidarsi a chiese (piattaforme) e nuove forme laiche di religione che ci dicono cosa fare e dove andare, chi siamo e cosa dobbiamo diventare, quale sia la verità, come esercitare la nostra libertà (astratta), quali siano gli eventi cui si deve prestare attenzione.
"L'evento è nello sguardo: tornare alla potenza dei corpi" - Corpi viventi, M. Benasyag, B.Cany
Il contesto che emerge da quanto fin qui scritto sembra deprimente, non facilmente mutabile. Eppure, la negatività che ho provato a raccontare, oggi percepita da molti, è proprio il punto di partenza per cercare soluzioni e nuove vie. Da tempo sostengo che sta emergendo un disincanto tecnologico potente, ricco di nuove opportunità. Ne sono testimoni per primi molti ragazzi e ragazze della Generazione Zeta, che hanno iniziato a usare in modo critico (intelligente) il loro smartphone e a dedicare più tempo a interrogarsi socraticamente su sé stessi e sulla realtà. Serve molto di più, sono necessarie nuove pratiche. Io ne ho descritte alcune nel mio libro NOSTROVERSO, definendole pratiche umaniste per difendersi dal Metaverso. Altri, come Mauro Crippa e Giuseppe Girgenti, nel loro Umano, poco umano, suggeriscono esercizi spirituali finalizzati a recuperare la sapienza degli antichi in modo da reindirizzare la mente.
È in questo contesto che sta nascendo anche il progetto della STULTIFERANAVIS ideato da me e Francesco Varanini, con la collaborazione di Francesco Saviano, per offrire uno strumento di lettura e scrittura, di riflessione e approfondimento, di condivisione e collaborazione a tutti coloro che oggi hanno smesso di farsi sentire perché fagocitati o impossibilitai dal conformismo dilagante e dall’omologazione di pensiero dominante.
Tutti sono invitati a partecipare al progetto STULTIFERANAVIS
Bibliografia
- Edgar Morin, Risvegliamoci - Mimesis Edizioni, 2022
- Carlo Mazzucchelli, Nostroverso – Pratiche umaniste per resistere al Metaverso, Delos Digital, 2023
- Carlo Mazzucchelli, OLTREPASSARE – Intrecci di parole tra etica e tecnologia, Delos Digital, 2022