Nelle comunicazioni aziendali capita spesso di leggere: Egregio Signor Rossi. Sembra una formula rispettosa e formale, ma se la guardiamo con attenzione c'è qualcosa che non torna.
Egregio viene dal latino egregius, composto da ex ("fuori") e grex ("gregge"). Vuol dire letteralmente "colui che si distingue dagli altri". In origine era un complimento, un riconoscimento di merito. Oggi è diventato una formula standard, ripetuta in modo automatico, anche quando non conosciamo la persona a cui ci rivolgiamo. Una parola nata per indicare l'eccezione è diventata un segno di uniformità.
Il confronto con esimio può aiutare. Esimio, da eximius, vuol dire "eccelso, fuori dal comune". Lo usiamo per persone stimate per il loro sapere — un docente, uno studioso, un artista. È un termine che implica un riconoscimento reale, non solo cortesia. Però nessuna azienda scriverebbe "Esimio Dottor Rossi": suonerebbe esagerato. Così resta egregio, che sembra "giusto a metà" e soprattutto innocuo.
Forse questa scelta rivela un'abitudine a scrivere senza pensare, a usare la lingua come un modulo prestampato. Quando un'organizzazione si rivolge a una persona usando parole che non significano più nulla, rischia di trasmettere distanza invece che rispetto.
La lingua burocratica sopravvive perché rassicura: permette di scrivere senza esporsi, di comunicare senza comunicare davvero. Ma ogni parola svuotata di significato è una piccola rinuncia alla precisione, e quindi alla cura.
Le parole che scegliamo dicono qualcosa sul modo in cui pensiamo le persone a cui ci rivolgiamo. Recuperare il senso delle parole non è solo questione di forma: vuol dire prendersi la responsabilità di ciò che si dice. Nel mondo del lavoro, questa riflessione vale ancora di più. Quando scriviamo male non comunichiamo male solo per noi: confondiamo i nostri collaboratori e indeboliamo la nostra leadership.
La professionalità non sta nei titoli o nelle competenze certificate, ma nella capacità di pensare con chiarezza e di tradurre quel pensiero in parole comprensibili. Scrivere bene vuol dire rispettare chi ci legge, evitare ambiguità, scegliere le parole come scegliamo le priorità. Una frase chiara è l'inizio di qualsiasi efficienza vera.