Egregio chi?

In tanti anni di lavoro ho letto centinaia di e-mail, report e documenti aziendali. Quasi tutti scritti in fretta, spesso pieni di formule automatiche, frasi fatte e parole usate “perché si è sempre fatto così”. È curioso: nel mondo dell’IT e del project management, dove si misura tutto, la precisione sparisce appena si prende in mano la tastiera. Si parla di efficienza, ma si scrive con sciatteria. Eppure la qualità del pensiero si riconosce anche da una virgola al posto giusto. Perché chi scrive male, quasi sempre, pensa in modo confuso. E le conseguenze poi si riflettono sul progetto...

Le parole che graffiano, feriscono, curano!

Capita spesso, nelle case abitate da amori stanchi, che certe parole finiscano per graffiare. Ogni sguardo può aprire crepe in una relazione a cui, nel tempo, non è stata fatta manutenzione (di solito a causa di incuria con buona fede). Il dialogo sembra così un esercizio di equilibrismo su una corda tesa: ogni passo è incerto e non si sa dove porterà, ci si sente in costante pericolo di caduta.

L’identità come spazio dinamico: corpo, abitudine e coscienza incarnata

L’identità non è una statua di marmo. È piuttosto una corda tesa tra ciò che siamo stati e ciò che possiamo diventare, un sentiero che si costruisce camminando, una struttura aperta che si riadatta alle sollecitazioni dell’ambiente, alle ferite e alle scoperte interiori. Parlare di identità, oggi, significa resistere sia alla rigidità dei ruoli, sia al dissolversi liquido delle appartenenze. Significa riconoscere che siamo, simultaneamente, continuità e trasformazione.