Di fronte alla realtà percepita di un mondo alla fine dei tempi, di una realtà tempestosa le cui crepe sono ovunque e sempre in procinto di allargarsi, si può decidere di tentare una fuga o semplicemente di rinunciare a stare al passo omologato (la velocità è decisa dalle “macchine”) dell’oggi, evitando di correre, per rallentare, mettersi in attesa. Scegliere di rallentare, di mettersi in attesa, in un mondo nel quale le persone sono sempre più isolate nei loro mondi online e le loro voci si accavallano senza dire niente, comporta la scelta della solitudine.
Una conseguenza logica, ovvia, inevitabile. In un mondo che va di corsa, chi si ferma viene superato dai molti che alla velocità si sono, appagati e forse gratificati, piegati. Mentre ti sorpassano possono per un attimo praticare la gentilezza di un saluto, di uno sguardo curioso, di una titubanza che li vede rallentare per chiedere se qualcosa non va, ma poi la loro corsa riprende, lo sguardo torna fisso in avanti, la loro capacità di ascolto azzerata dalle cuffie rumorose o dagli auricolari sempre attivi che indossano, le loro voci si fanno sempre più lontane, sommerse nel generale rumore (ronzio) di fondo che oggi caratterizza le vite digitali di molti.
Mettersi in attesa non significa mettersi nella condizione di aspettare che qualcosa di preciso avvenga (arrivi), non comporta la pretesa che tutto il resto del mondo si fermi per chiedere scusa dell’accelerazione che lo sta caratterizzando, non è motivato dalla falsa speranza che si possa tornare indietro, a un tempo di cui forse si prova nostalgia ma che probabilmente non è mai esistito.
Il mettersi in attesa (l’estare solo) in solitudine è una scelta di libertà e di consapevolezza, è la scelta di rimarcare una distanza che porta con sé l’isolamento utile a pensare senza dover accelerare o essere interrotto, e di stare in silenzio senza dovere giustificare a nessuno l’averlo scelto come modo di essere e di sentirsi.
In attesa e in solitudine, in silenzio, si può essere colti dalla nostalgia, ma è una condizione esistenziale inevitabile. Questa nostalgia però è particolare. Non è rivolta alle persone, che sono sempre a portata di mano, di clic, di WhatsApp, sempre raggiungibili con un messaggio, una chiamata.
La nostalgia è legata a un modo di stare insieme che sembra essere svanito nel nulla, che non si sperimenta più o sempre con maggiore difficoltà, visto l’individualismo, il cinismo, il narcisismo e il nichilismo imperanti. La nostalgia è per le conversazioni tra persone, per gli sguardi incarnati che mentre si conversa si incrociano per davvero, per l’attenzione, l’empatia e l’interesse che le caratterizzavano, mantenendo vivo il dialogo, lo scambio, e denso, meno frantumato, il tempo dentro il quale avvenivano.
“Nostalgico, solitario e in attesa”, questa è la condizione esistenziale di chi oggi ha deciso di rinunciare a correre e di fermarsi. Che poi in realtà non significa non fare nulla ma allungare uno sguardo diverso su sé stessi, sugli altri, sulla realtà e sul mondo. Uno sguardo che permette di osservare, ascoltare, comprendere, ricordare, creare analogie e sperimentare immaginazioni e fantasie. Uno sguardo che, riposato e rigenerato dalla sosta, può anche concentrarsi su un tramonto silenzioso e colorato, su una strada vuota percorsa in città al mattino presto, su qualcuno che, fermo all’angolo o su una panchina, da qualche parte, fermo anche lui, che si è messo in attesa e aspetta…Cosa non si sa! Quantomeno la scelta di rallentare e di mettersi in attesa è riuscito a compierla.