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Paolo Benanti e Francesco D’Isa: Che cosa resta del sacro, se l’AI diventa il “dio” a cui deleghiamo verità, senso e azione?

Possiamo ancora parlare di mistero, trascendenza e immaginazione in un mondo in cui le macchine analizzano, prevedono, creano e riscrivono la realtà? Il nostro bisogno di dare un senso alle cose resiste davanti all’automazione, oppure finiamo per affidare tutto agli algoritmi? Stiamo davvero costruendo nuovi dei a cui credere oppure semplicemente nuovi strumenti da usare?
Ho scelto due voci autorevoli del dibattito italiano, internazionale. Paolo Benanti è un teologo francescano, consulente del Vaticano e studioso di etica delle tecnologie. Francesco D’Isa è filosofo, uno degli autori italiani più interessanti sul ruolo dell’immaginazione e dei simboli nella società di oggi.
Di fronte all’intelligenza artificiale, sia Benanti che D’Isa condividono la stessa preoccupazione: dobbiamo evitare di cadere nella “tecnofede”, cioè nell’idea che la tecnologia sia una specie di “salvatore” o “dio”. Tuttavia, si dividono quando si parla del vero significato del sacro e del ruolo che l’essere umano può avere in questa nuova epoca.


1. L’ERA DEL SINTETICO - Mistero, senso e identità

Paolo Benanti definisce questo periodo «l’era del sintetico». Oggi non usiamo solo strumenti che aiutano l’essere umano, ma abbiamo sistemi che imitano come pensiamo, creiamo e prendiamo decisioni. Questi sistemi possono produrre immagini, parole, racconti e perfino scegliere cosa fare, tutto in modo automatico. Il rischio, sostiene Benanti, è che la persona venga vista solo come una serie di dati o una prestazione da ottimizzare, dentro un mondo guidato da macchine che prevedono e calcolano tutto. Per questo invita a «restare umani»! Non è solo un’idea nostalgica, ma un vero atto di resistenza, per non perdere ciò che ci rende unici. L’intelligenza artificiale può migliorare la nostra capacità tecnica e pratica (il mètis), ma non potrà mai sostituire la parte più profonda di noi stessi, cioè il nòus, la facoltà di dare senso alla vita, interrogarsi sul mistero e aprirsi a qualcosa di più grande.

Francesco D’Isa invece si concentra su un altro aspetto, più culturale. Cosa succede ai simboli e ai significati quando le macchine diventano creatrici di immagini, stili e testi? Per lui, l’AI non rimpiazza l’essere umano, ma mostra i nostri limiti, i nostri pregiudizi e i miti che ci portiamo dentro. L’intelligenza artificiale crea nuovi modi di immaginare, ma non li inventa dal nulla, prende ciò che conosciamo, lo mescola e lo trasforma. Quindi, più che un oracolo che predice il futuro, l’AI è uno specchio che riflette le nostre contraddizioni. Secondo D’Isa, il mistero non sparisce, ma cambia forma, si moltiplica e si rende visibile in modi che non avevamo mai visto prima. Per lui, il mistero è qualcosa che l’essere umano costruisce continuamente con i simboli e che si trasforma nel tempo.

Se per Benanti il sacro rimanda a un orizzonte trascendente, irriducibile e non negoziabile, per D’Isa il sacro è un dispositivo simbolico mutevole, che la cultura interpreta e riscrive continuamente.

2. VERITÀ E POTERE — L’oracolo algoritmico

Chi decide che cosa è vero e cosa no?

Paolo Benanti mette in guardia dal pericolo di affidare questa responsabilità alle macchine, cioè agli algoritmi. Questi programmi possono diventare come dei giudici senza volto che influenzano le nostre opinioni, le nostre scelte e i nostri valori, ma senza prendersi la responsabilità delle conseguenze di queste decisioni. Per questo Benanti chiede che si garantisca chiarezza e trasparenza; chi costruisce e usa queste tecnologie deve rispondere delle loro azioni. Non possiamo lasciare che una macchina dica cosa è vero basandosi solo sui suoi dati e calcoli, la “verità” ha la necessità di un controllo umano.

Francesco D’Isa ha un punto di vista diverso. Sostiene che la paura di una verità “assoluta” controllata dall’AI è esagerata, perché la verità non è mai un fatto unico e incontestabile. Ogni verità nasce da un confronto di idee e punti di vista diversi. L’intelligenza artificiale, dunque, non porta un nuovo inganno, ma mette in luce una realtà già esistente. Il mondo non ha mai un punto di vista davvero neutro e ogni dichiarazione è sempre legata a una prospettiva specifica. Il vero rischio non sono tanto gli errori degli algoritmi, quanto il fatto che pochi soggetti possano avere il pieno controllo su di essi, decidendo quali dati usare e come interpretarli.

La differenza tra i due pare evidente, mentre Benanti vuole difendere la “verità” con regole precise, limiti e responsabilità chiare, D’Isa vede invece la “verità” come qualcosa di fluido, fatto di molti punti di vista diversi, e invita a riflettere su chi detiene il potere che gestisce gli algoritmi.

3. TECNOFEDE - L’AI come nuovo “dio”

Paolo Benanti avverte il rischio di una nuova forma di idolatria tecnologica, che lui chiama «dio in silicio». Questo “dio” è l’intelligenza artificiale a cui spesso attribuiamo poteri speciali, come la capacità di prevedere il futuro, essere sempre neutrale e risolvere tutti i problemi. In realtà, confondiamo la sua efficienza con la verità e la sua capacità di previsione con un significato profondo. La “tecnolatria” diventa così una fede moderna che promette sicurezza, velocità e controllo totale, ma in cambio chiede che le persone obbediscano senza riflettere.

Per Benanti, il compito di noi umani è smettere di adorare gli algoritmi e mantenere sempre chiari i nostri limiti. Serve discernimento, cioè la capacità di valutare bene cosa l’AI può e non può fare, e una forte responsabilità nell’uso della tecnologia.

Francesco D’Isa vede la questione in modo diverso. Secondo lui, il vero problema non è l’AI in sé, ma il nostro bisogno, molto umano, di avere degli dei. Da sempre, le società, siano religiose o laiche, si sono affidate a qualcosa di esterno - una divinità, un’ideologia, un sistema - per sentirsi protette, trovare ordine o avere legittimità. Per questo, l’AI non è davvero un nuovo dio, ma solo un nuovo “specchio” simbolico su cui proiettiamo le nostre speranze, paure e desideri.

D’Isa quindi suggerisce che non dobbiamo demonizzare l’intelligenza artificiale come tecnologia, ma dobbiamo smontare la storia di salvezza e onnipotenza che si è creata intorno a essa. Bisogna capire perché culturalmente siamo spinti a fare di queste macchine degli dei, e riportare l’AI al suo ruolo quale strumento da usare con consapevolezza.

Se da una parte Benanti ci invita a fermare la “tecnolatria” e a non cedere in nessun modo il nostro potere decisionale alle macchine, dall’altra, D’Isa invece ritiene più importante capire le ragioni umane dietro il bisogno di dei, piuttosto che accusare la tecnologia stessa di essere un idolo.

4. CORPO E SIMBOLO - Il sacro è carne o interfaccia?

Per Paolo Benanti, il sacro è sempre legato al corpo e alla presenza concreta delle persone. Per lui, essere umani significa essere fatti di corpo, relazione e vulnerabilità. Senza questa realtà concreta, fatta di limiti, responsabilità e cura, non si può vivere un’esperienza vera, né sul piano morale né su quello spirituale. Una macchina può imitare le emozioni o parlare come se confortasse, ma non può sentire la fragilità dell’altro né prendersene cura davvero. Può fare finta di dialogare, ma non creare una vera relazione; può dare risposte, ma non offrire vicinanza umana. Per questo, secondo Benanti, un sacro che non ha corpo diventa solo una forma vuota, una specie di recita priva di sostanza.

Francesco D’Isa pensa in modo diverso. Per lui, il sacro vive nei simboli, non nel corpo. È qualcosa che nasce dall’immaginazione collettiva, si costruisce attraverso parole, storie e immagini che una società crea per dare senso al mondo. Perciò, il sacro può trovarsi anche in spazi artificiali. L’intelligenza artificiale diventa così uno strumento capace di moltiplicare miti, simboli e rituali. Conta meno chi parla, e più il significato di ciò che viene creato e condiviso. Se il sacro è soprattutto linguaggio, sostiene D’Isa, allora la macchina può accoglierlo, diventando un mezzo per trasmettere idee, un riflesso e un moltiplicatore di senso.

Per Benanti il sacro non può esistere senza corpo, relazione e presenza reali; per D’Isa, invece, è il simbolo - anche gestito da strumenti artificiali - che basta a far nascere l’esperienza del sacro.

5. ETICA O ESTETICA DEL FUTURO - Due umanesimi sul tavolo

Di fronte all’intelligenza artificiale, Paolo Benanti propone un tipo di umanesimo basato sui limiti. Per lui è importante mettere delle regole chiare, condivise da tutti, e coltivare una cittadinanza digitale responsabile. Non si tratta di fermare il progresso, ma di evitare che la tecnologia prenda il posto dell’essere umano nelle decisioni, nei rapporti tra persone e nelle istituzioni. Per questo parla di “algoretica”, un’etica che governa l’innovazione, controlla il potere delle grandi piattaforme digitali e assicura trasparenza, tutela e partecipazione democratica. Il futuro, secondo Benanti, è un impegno a proteggere e custodire ciò che rende umani.

Francesco D’Isa invece guarda all’intelligenza artificiale da un altro punto di vista. Più che pensare ai limiti, lui invita a coltivare un umanesimo basato sull’immaginazione. Per D’Isa, è importante creare nuove storie, nuovi simboli e nuove mitologie. Il sacro non è solo qualcosa da difendere, ma anche da rinnovare continuamente. L’AI diventa così uno spazio creativo dove si possono riscrivere le immagini e le visioni che abbiamo del mondo, superando modi fissi di vedere e i poteri che li sostengono. Per D’Isa, il futuro è un’occasione per inventare e non solo per mettere regole.

Nonostante queste differenze, Benanti e D’Isa sono d’accordo su un punto fondamentale, entrambi rifiutano la “tecnofede”. Nessuno dei due pensa che dobbiamo affidare agli algoritmi il compito di dare senso alla vita o di giudicare cosa è giusto o sbagliato. La tecnologia non deve mai sostituire lo sguardo umano, né diventare un sacerdote o un profeta che decide per noi.

Oggi, il sacro non è un concetto superato o una semplice credenza da mettere da parte. È una questione che resta aperta e che nessun algoritmo pare possa risolvere per noi. Chi siamo davvero? Quale futuro vogliamo costruire? E soprattutto, quali parti di noi stessi non siamo disposti a lasciare nelle mani delle macchine? Su queste riflessioni si incontrano due visioni diverse.

Paolo Benanti sottolinea l’importanza della trascendenza, cioè di qualcosa che va oltre noi, e dei limiti e della responsabilità che devono guidare l’uso della tecnologia. Francesco D’Isa, invece, mette a fuoco il valore del dubbio, del simbolico e della libertà creativa, elementi che danno spazio all’immaginazione umana.

Anche se sembrano opposte, queste due visioni si completano a vicenda, una ci aiuta a mantenere chiari i confini tra uomo e tecnologia, l’altra ci invita ad aprire nuove possibilità e a inventare nuovi modi di essere.

Possiamo convivere con le macchine senza farne degli dei, e usare l’intelligenza artificiale senza rinunciare a ciò che dà senso alle nostre vite. L’intelligenza artificiale non è un destino inevitabile né una fonte infallibile di verità, ma uno strumento che noi dovremmo scegliere e guidare. Sta a noi decidere come viverlo, prima che qualcun altro prenda questa decisione al nostro posto.


Fonti:

Brevi biografie degli autori:

Paolo Benanti è un teologo e filosofo francescano, tra i principali esperti italiani di etica della tecnologia e intelligenza artificiale. Unico membro italiano nel Comitato ONU sull’AI, insegna alla LUISS e alla Seattle University. È autore dei concetti di algoretica e algocrazia, dedicati alla governance etica degli algoritmi. Tra i maggiori divulgatori sul rapporto tra umano e digitale, ha pubblicato saggi di riferimento e collabora con istituzioni, media e centri di ricerca. La sua ricerca mette al centro la dignità della persona nell’era dell’AI.

Francesco D’Isa è un artista, scrittore, giornalista e curatore italiano. Formatosi in filosofia a Firenze, è considerato un pioniere dell’arte digitale, con mostre e pubblicazioni internazionali tra Europa, Stati Uniti e Asia. È direttore editoriale della rivista L’Indiscreto e docente di illustrazione e tecniche multimediali alla LABA. Ha pubblicato romanzi, graphic novel e saggi, tra cui Sunyata (2023) e La rivoluzione algoritmica delle immagini (2024). La sua ricerca unisce arte, filosofia e intelligenza artificiale, indagando il rapporto tra immaginario, tecnologia e simbolico.

     

POV nasce dall’idea di mettere a confronto due autori viventi, provenienti da ambiti diversi - filosofia, tecnologia, arte, politica - che esprimono posizioni divergenti o complementari su un tema specifico legato all’intelligenza artificiale.

Si tratta di autori che ho letto e approfondito, di cui ho caricato i testi in PDF su NotebookLM. A partire da queste fonti ho costruito una scaletta di argomenti e, con l’ausilio di GPT, ho sviluppato un confronto articolato in forma di articolo.

L’obiettivo non è giungere a una sintesi, ma realizzare una messa a fuoco tematica, far emergere i nodi conflittuali, perché è proprio nella differenza delle visioni che nascono nuove domande e strumenti utili a orientare la nostra ricerca di senso.

 

Pubblicato il 27 ottobre 2025

Carlo Augusto Bachschmidt

Carlo Augusto Bachschmidt / Architect | Director | Image-Video Forensic Consultant

carlogenoa@gmail.com