Il sacro e l’AI (POV #08)

Paolo Benanti e Francesco D’Isa: Che cosa resta del sacro, se l’AI diventa il “dio” a cui deleghiamo verità, senso e azione? Possiamo ancora parlare di mistero, trascendenza e immaginazione in un mondo in cui le macchine analizzano, prevedono, creano e riscrivono la realtà? Il nostro bisogno di dare un senso alle cose resiste davanti all’automazione, oppure finiamo per affidare tutto agli algoritmi? Stiamo davvero costruendo nuovi dei a cui credere oppure semplicemente nuovi strumenti da usare? Ho scelto due voci autorevoli del dibattito italiano, internazionale. Paolo Benanti è un teologo francescano, consulente del Vaticano e studioso di etica delle tecnologie. Francesco D’Isa è filosofo, uno degli autori italiani più interessanti sul ruolo dell’immaginazione e dei simboli nella società di oggi. Di fronte all’intelligenza artificiale, sia Benanti che D’Isa condividono la stessa preoccupazione: dobbiamo evitare di cadere nella “tecnofede”, cioè nell’idea che la tecnologia sia una specie di “salvatore” o “dio”. Tuttavia, si dividono quando si parla del vero significato del sacro e del ruolo che l’essere umano può avere in questa nuova epoca.

Tempi di "flottille", vascelli, navi, navicelle e di coraggiosi folli!

L’avventura della Global Sumud Flottilla è collegabile per me anche al progetto della Stultiferanavis, una iniziativa pensata per folli che nel mondo ignorante, insensibile e disumano attuale appaiono come saggi. - Questo è tempo di vascelli, di viaggi avventurosi e consapevoli, di naviganti coraggiosi e folli, resilienti ma soprattutto resistenti, persone comuni che sentono il richiamo etico e valoriale a fare delle scelte, sfidanti e rischiose, che vanno al di là delle appartenenze politiche, delle fedi e delle ideologie, per reagire alle ingiustizie, alla disumanità teorizzata e praticata e alle persecuzioni, esercitando la responsabilità per andare in soccorso di chi sta male o sta subendo una ingiustizia. In un mondo che va a rotoli siamo tutti alla ricerca di senso e di significati più profondi della nostra esistenza. Mettersi in mare aperto è un punto di partenza, anche per evitare il naufragio che si sta preparando sulla terraferma.

E' tempo di mostrare i nostri colori

Oggi, in più di cento città italiane – da Roma a Milano, da Torino a Napoli – decine di migliaia di persone hanno marciato per chiedere giustizia e solidarietà con Gaza. Uniti nella protesta contro l'intercettazione da parte di Israele della Flottiglia Globale Sumud, un convoglio di oltre quaranta imbarcazioni che trasportavano 500 attivisti internazionali – tra cui Greta Thunberg, parlamentari e avvocati – che trasportavano medicinali e cibo di cui c'era urgente bisogno.

L'etica oggi, in tempo di guerra. La lezione di Edward Bond

L’arte ha molto da insegnare: il libero sguardo dell’artista ci permette di osservare, per differenza, la miopia e la falsa coscienza dei politici, dei tecnici, degli imprenditori e dei manager. E anche la miopia di ognuno di noi. Il linguaggio dell’arte riguarda in modo speciale chi, in ambito aziendale, si trova a lavorare con le persone, e per le persone. Tra le arti, peculiare è il caso del teatro. L’analogia tra la scena teatrale e la scena sulla quale viviamo quotidianamente la nostra vita è evidente. Avendo in mente temi attualissimi: guerra, disagio sociale, senso di impotenza, neoliberismo, capitalismo finanziario, lasciamo la parola al drammaturgo inglese Edward Bond.

Business school, non fate moralismi!

In una discussione della scorsa settimana, un collega ha insistito: "Le business school non dovrebbero fare la morale. Il loro compito è quello di insegnare il management e l'economia, non di imporre valori. Le questioni morali appartengono alla coscienza privata o, al massimo, all'etica elettiva, non al curriculum di base".

Oggi ho fatto un sogno! Utopia pura, un sogno irrealizzabile che non diventerà realtà

Le utopie non fanno più parte del nostro immaginario. Siamo però immersi in distopie reali e tutti impegnati, inconsapevolmente o da complici, a crearne di nuove. Un tempo le utopie non erano pura fantascienza, erano calate nella realtà, strumenti potenti di interpretazione e di lettura dei problemi di ieri, di oggi e di domani. Oggi sono contenitori vuoti, non vengono più usate come strumenti, si manifestano nella forma distopica, Mai come oggi avremmo bisogno di utopie, mai come oggi viviamo dentro distopie che abitiamo spaventati, afoni, impauriti, complici, servili e sottomessi, incapaci di capire che siamo tutti diventati semplici cavie da laboratorio per la sperimentazione dell'uso della paura e del senso di colpa per creare consenso e inibire, bloccare ogni forma di dissenso. E' in questo contesto che si colloca come moltitudini di persone stanno oggi (non) reagendo. al genocidio in atto a Gaza, che se non vogliamo chiamare tale, ci chiama tutti causa, quantomeno per la sorte a cui sono stati destinati migliaia di bambini.

Segnalazione eretica in momenti drammatici

Drammatici sono i tempi di crisi e di guerra che stiamo vivendo. Lo sono sia per i fatti di cui siamo lontanamente testimoni, sui quali siamo costantemente e abilmente manipoltai, ma anche per la mancanza di reazioni di sdegno e per una passiva inazione che racconta molto del nostro mondo attuale e degli scenari distopici emergenti che si stanno preparando

Are we designing AI for control, or for coexistence? The relational ethics of Abeba Birhane

Nei miei sforzi per sviluppare un'etica relazionale per l'IA, il lavoro di Abeba Birhane è stato centrale. Scienziato cognitivo e teorico della decolonizzazione, la scrittura di Birhane si muove fluidamente tra i domini – filosofia della mente, teoria critica della razza, etica dei dati – ma rimane focalizzata su una domanda epistemica fondamentale: quali tipi di conoscenza e quali forme di vita riproducono i sistemi di intelligenza artificiale? E in base a quali presupposti sull'umanità, la cognizione e il controllo?

Paolo Fabbri. Lo sguardo etnografico e il confine etico della retorica

La lezione 'Il confine etico della retorica', tenuta vari anni fa dal semiologo e filosofo Paolo Fabbri nel quadro del percorso di alta formazione promosso da Assoetica parte da una constatazione: la retorica in sé è una risorsa etica, perché è una alternativa alla guerra, perché il confronto attraverso le parole prende il posto dell'uso delle armi. Ma poi, entrati a guardare il modo di usare gli strumenti della retorica, ci si accorge di come sempre si sfiora un confine etico: dove termina il rispettoso tentativo di convincere l'altro, e dove comincia il subdolo tentativo di ingannarlo? In conclusione, Paolo Fabbri associa l'etica alla responsabilità. La lezione di Paolo Fabbri è raccontata in questo articolo a partire dalla sua lontana genesi. Quando l'autore di questo articolo in anni ormai lontani si interrogava sui confini etici del suo lavoro di etnografo, lesse un articolo did Paolo Fabbri...

L’IA n’existe pas (L'intelligenza artificiale non esiste - AI does not exist)

L’esprit critique est un concept largement convoqué mais peu appliqué. Si les prosélytes sont nombreux, les pratiquants sont rares. -- Ilpensiero critico è un concetto ampiamente discusso ma raramente applicato. Sebbene molti si convertano, pochi lo praticano davvero. -- Critical thinking is a widely discussed but rarely applied concept. While many converts to it, few actually practice it.

La vita dopo la vita: appunti per un’etica della conoscenza

Sette premi Nobel, alcuni dei più lucidi testimoni del nostro tempo, si sono incontrati in un Giappone sospeso tra ipertecnologia e spiritualità laica, per discutere non di “cosa verrà”, ma di “cosa diventa vivo” quando le forme del vivente cambiano. Il risultato non è stato un simposio di certezze, ma una composizione polifonica di intuizioni, domande e piccoli smottamenti concettuali. Come se, in controluce, emergesse la vera posta in gioco: non stiamo immaginando un futuro per la vita, stiamo decidendo se la vita — così come l’abbiamo conosciuta — avrà ancora un futuro.