1. Potere e conoscenza
CAB: Oggi si parla di intelligenza artificiale come “nuovo cervello del mondo”. Ma chi possiede questo cervello?
AARON SWARTZ: Nessuno, o meglio, lo possiedono in pochi, e questo dovrebbe preoccuparci più della tecnologia in sé. Quando anni fa scrissi che “l’informazione è potere”, era la struttura stessa del mondo digitale. Se controlli i dati, controlli ciò che le persone possono conoscere. Se controlli ciò che possono conoscere, controlli ciò che possono immaginare. L’intelligenza artificiale non fa eccezione, è soltanto un amplificatore.
Oggi abbiamo spostato i limiti della conoscenza, dalle biblioteche ai data center. Il linguaggio è cambiato, ma la logica è la stessa, chi può pagare vede, chi non può pagare resta fuori. E questo crea un paradosso enorme, le AI imparano da un sapere prodotto da tutti - ricercatori, studenti, artisti, cittadini - ma poi la loro capacità di generare conoscenza finisce nelle mani di pochi.
Il risultato? Una tecnologia che non riflette il mondo, ma la proprietà del mondo. Un’intelligenza artificiale addestrata su dati chiusi non diventa più intelligente, diventa solo più brava a riprodurre la stupidità di chi detiene il potere.
2. Libertà e disobbedienza
CAB: Nel Guerrilla Open Access Manifesto invitavi a “scaricare, condividere, liberare” i contenuti. Oggi quell’atto sarebbe considerato un crimine informatico. Lo rifaresti?
AARON SWARTZ: Non ho mai considerato la disobbedienza un gesto di ribellione. Per me nasceva sempre da una necessità semplice: quando la legge smette di proteggere le persone e comincia a proteggere un privilegio, allora disobbedire diventa l’unico modo per chiedere giustizia.
Quando scrissi “scaricare, condividere, liberare”, non stavo affermando che una società non può funzionare se la conoscenza - finanziata e costruita da tutti - viene rinchiusa dietro paywall che servono solo a pochi.
Ho sentito dire che ciò che ho fatto è stato un furto. Ma io non ho rubato nulla, ho solo restituito al mondo ciò che era già suo. Se una legge rende illegale condividere ciò che appartiene alla collettività, allora il problema non è chi condivide, è la legge.
Oggi rifarei la stessa scelta? Sì, ma in un modo diverso. Non perché voglia ripetere il passato, ma perché la forma dell’ingiustizia è cambiata. Oggi la vera disobbedienza non consiste nel forzare un archivio, ma consiste nel capire come funzionano gli algoritmi che decidono cosa vediamo, sappiamo e pensiamo. Significa non accettare come “naturale” un sistema opaco che tratta la conoscenza come una risorsa da estrarre, non come un bene da condividere.
3. Conoscenza e algoritmi
CAB: Le AI generative scrivono, traducono, producono immagini. È ancora conoscenza, o solo calcolo?
AARON SWARTZ: Non dobbiamo confondere la conoscenza con ciò che gli algoritmi rappresentano e producono. Le AI generative prendono enormi quantità di dati, trovano collegamenti statistici e restituiscono la combinazione più probabile. È calcolo, non comprensione.
La conoscenza, invece, nasce da qualcos’altro: dal dubbio, dalla capacità di non credere alla prima risposta giusta ma di chiedersi perché dovrebbe essere così. Un algoritmo può riconoscere schemi, ma non può dare un significato a quegli schemi. Non può indignarsi, non può cambiare idea, non può scegliere di disobbedire. E senza queste cose non c’è conoscenza, c’è solo previsione.
L’AI è utile quando amplia la nostra curiosità, quando ci aiuta a vedere ciò che da soli non avevamo considerato. Diventa pericolosa quando smettiamo di farci domande perché “la macchina ha già risposto”. La vera minaccia non è che l’AI pensi troppo. È che noi smettiamo di pensare abbastanza.
4. Etica della trasparenza
CAB: Parlavi di “società della conoscenza condivisa”. Oggi tutto è tracciato, ma poco è trasparente. Cosa significa, per te, essere liberi nel mondo digitale?
AARON SWARTZ: Essere liberi nel mondo digitale significa poter guardare negli occhi chi ci osserva. La trasparenza non vuol dire mettere tutto online, né condividere ogni dettaglio della nostra vita. Vuol dire sapere chi raccoglie i dati, perché li raccoglie, come li usa e quali decisioni produce. Il punto non è la quantità di informazioni disponibili, ma il potere che organizza quelle informazioni.
Internet doveva essere una biblioteca universale, un luogo in cui chiunque potesse cercare, capire, criticare. Invece abbiamo costruito piattaforme che osservano tutto ma non permettono di vedere come funzionano. Un algoritmo può decidere cosa leggiamo, compriamo, crediamo, senza che nessuno possa chiedergli conto delle sue scelte.
Finché i dati serviranno più a controllare le persone che a renderle capaci di capire il mondo, la nostra libertà sarà una parola vuota. Vivremo in un ecosistema digitale che sembra aperto, ma che in realtà ci studia, ci classifica e ci indirizza. Non puoi essere libero in un sistema che conosce tutto di te, mentre tu non puoi conoscere nulla di lui.
5. Futuro e responsabilità
CAB: Se potessi parlare ai giovani sviluppatori che oggi lavorano all’AI, cosa diresti loro?
AARON SWARTZ: Se potessi parlare ai giovani sviluppatori che oggi lavorano sull’AI, direi una cosa semplice, ricordate che ogni riga di codice è una scelta politica. Non esiste tecnologia neutra. Ogni funzione, ogni modello, ogni dataset incorpora un’idea di mondo: chi deve avere accesso, chi resta escluso, chi può capire e chi deve limitarsi a subire.
Quando scrivete codice, chiedetevi sempre: questo strumento rende qualcuno più libero o più dipendente? Non costruite macchine che decidono al posto delle persone. Costruite strumenti che aiutano le persone a pensare meglio, a capire meglio, a partecipare meglio.
E poi, condividete. Non fate della conoscenza un segreto aziendale o una merce da vendere al miglior offerente. Se qualcosa l’avete scoperta, imparata o migliorata grazie al lavoro della comunità, restituite alla comunità. La rete è nata per cooperare e condividere, non competere.
Il vero gesto rivoluzionario è costruire una società in cui nessuno debba chiedere il permesso per accedere alla conoscenza, in cui gli strumenti digitali non servano a rafforzare il potere dei pochi ma la dignità di tutti. Se l’AI non aiuta a creare giustizia, allora non è progresso, è solo un altro recinto da abbattere.
BIBLIOGRAFIA DI AARON SWARTZ
- Guerrilla Open Access Manifesto (2008)
Il testo più noto di Swartz: un appello all’accesso libero alla conoscenza scientifica: https://archive.org/details/GuerillaOpenAccessManifesto
- Against SOPA and PIPA (2012)
Intervento contro la legge USA che avrebbe limitato la libertà della rete. Video discorso F2C (21 maggio 2012): https://www.youtube.com/watch?v=Fgh2dFngFsg
- Introducing the Open Library (2007)
Presentazione del progetto di biblioteca digitale universale dell’Internet Archive: http://www.aaronsw.com/weblog/openlibrary
- RSS 1.0 Specification (2001)
Swartz è coautore della specifica: http://web.resource.org/rss/1.0/spec
- Who Writes Wikipedia? (2006)
Analisi sulla comunità di Wikipedia: http://www.aaronsw.com/weblog/whowritescomments
- Documentario: The Internet’s Own Boy (2014)
Film completo: https://archive.org/details/TheInternetsOwnBoyTheStoryOfAaronSwartz
- Wikipedia – Aaron Swartz
Sintesi biografica: https://en.wikipedia.org/wiki/Aaron_Swartz
IIP nasce da una curiosità: cosa direbbero oggi i grandi pensatori del passato di fronte alle sfide dell’intelligenza artificiale? L’idea è di intervistarli come in un esercizio critico, un atto di memoria e, insieme, un esperimento di immaginazione.
Ho scelto autori e intellettuali scomparsi, di cui ho letto e studiato alcune opere, caricando i testi in PDF su NotebookLM. Da queste fonti ho elaborato una scaletta di domande su temi generali legati all’AI, confrontandole con i concetti e le intuizioni presenti nei loro scritti. Con l’aiuto di GPT ho poi generato un testo che immagina le loro risposte, rispettandone stile, citazioni e logica argomentativa.
L’obiettivo è riattivare il pensiero di questi autori, farli dialogare con il presente e mostrare come le loro categorie possano ancora sollecitarci. Non per ripetere il passato, ma per scoprire nuove domande e prospettive, utili alla nostra ricerca di senso.