C'era stato un tempo nel quale le corti, per il diletto dei sovrani e dei loro accoliti, ospitavano astrologi, occultisti, medium, alchimisti - bizzarre figure in bilico tra scienza e la ciarlataneria.
Questo non fu mai lo stile di Maria Teresa d'Austria. Era una sovrana illuminata e riformatrice, orientata a promuovere la scienza e la razionalità.
Esistevano ancora presso le corti le Wunderkammer, stipate di oggetti curiosi, rari ed esotici, mescolati per stupire. Ma in esse si potevano osservare via via meno Naturalia: meraviglie della natura, animali imbalsamati, conchiglie, fossili, piante rare, e sempre più Artificialia : artefatti di abili artigiani, opere d'arte bizzarre, manufatti scientifici, strumenti scientifici, automi.
Così il francese Vaucanson -prima di passare a progettare i sistemi di governo dei telai per via di schede perforate- costruisce nella prima metà del Settecento automi: flautisti capaci di suonare, anatre capaci di digerire.
Wolfgang von Kempelen
Wolfgang von Kempelen, barone, Aulico Consigliere per la meccanica della Casa Reale d'Austria, esperto di meccanica, idraulica e fisica, costruisce automi. Wundermaschinen, macchine capaci di imitare la natura.
L'automa che von Kempelen mostra all’Imperatrice nel 1770 è ben più complesso e meraviglioso degli artefatti di Vaucanson: imita non solo un corpo, ma innanzitutto una mente umana. Imita l'essere umano nel mentre svolge un esemplare lavoro.
L’automa è, nell’aspetto e negli abiti, un Turco. Il Turco con il suo turbante, i suoi baffi e la sua barba, il suo sguardo da automa - fisso, ma accigliato, come di persona intenta a pensare, sta seduto di fronte a un tavolino sul quale è posta una scacchiera.
L’automa gioca a scacchi contro gli esseri umani che vogliano sfidarlo. Si siederanno a giocare con il Turco re e principesse, ed anche Napoleone e Benjamin Franklin.
I giochi per annoiate aristocrazie passano presto ad essere divertimenti per le masse. Le esibizioni del Turco lasciano i salotti per affollati teatri, e poi anche per circhi, in Europa, negli Stati Uniti, a Cuba.
Quattordici anni dopo la prima esibizione di fronte all’Imperatrice, Von Kempelen cede il Turco a Johann Maelzel, altro inventore. In seguito Maelzel vende l’automa al principe Eugenio de Beauharnais.
All’Imperatrice, a Napoleone, alle masse stipate nel teatro o nel circo, piaceva credere che a giocare da pari a pari con gli umani fosse la macchina. Il sistema meccanico, in effetti, era ingegnoso. Un raffinato sistema di leve e ingranaggi e magneti faceva sì che l'automa muovesse i pezzi sulla scacchiera.
Solo dopo mezzo secolo si iniziò veramente a dubitare delle meravigliose prestazioni del Turco. Tra i primi a congetturare a proposito del vero funzionamento della macchina fu Edgar Allan Poe nel saggio Maelzel's Chess Player, 1836.
In effetti, a compiere le mosse e a muovere le leve -accuratamente celato sotto il tavolo, nascosto alla vista del pubblico- stava un essere umano.
Eppure anche dopo la scoperta dell'inganno continuarono nel pubbliche esibizioni del Turco: piaceva a semplici cittadini così come ad 'esperti' immaginare ancora che la macchina fosse capace di competere con l'umano.
Il Turco rimase distrutto in un incendio a Filadelfia, nel 1854. Tre anni dopo, finalmente, il trucco fu definitivamente svelato in tutti i suoi dettagli. Si vennero nel tempo a conoscere i nomi di almeno cinque di questi maestri di scacchi, di statura tanto bassa da poter star rannicchiati nell'angusto scomparto.
Ersatz
Il Turco: nient’altro che un Ersatz: sostituto, imitazione, rimpiazzo. La parola tedesca appare per più motivi adeguata a descrivere il soggetto e la scena.
Il prefisso er indica un processo che porta a un risultato. Dalla radice indoeuropea sed- discende il verbo intransitivo sitzen: lo stato dello star seduti, ma anche il verbo setzen: mettere qualcuno o qualcosa in una posizione seduta. Il verbo ersetzen significa 'mettere qualcosa al posto di un altro', o anche 'compensare un'assenza, rimediare a una assenza con qualcos'altro'.
Due umani potrebbero ben sedersi l'uno di fronte all'altro, con una scacchiera nel mezzo, per giocare insieme. Ma ora le capacità del tecnoscienziato -von Kempelen- sono spese per sostituire uno dei due giocatori con una macchina. Perché?
Von Kempelen sa che l’uomo è capace di giocare a scacchi. Ma si affanna a costruire una macchina per imitare, per simulare, ciò che l’uomo sa fare benissimo. Perché?
Perché all'Imperatrice, a Napoleone, a Benjamin Franklin, al dotto e al profano piace immaginare, o sperare, che chi sta giocando con me non sia un umano, ma una macchina?
Credenze
Se cercate oggi narrazioni della vicenda, se cercate immagini del Turco, potrete notare come tutte le narrazioni pongano l'accento sullo svelamento dell'inganno, e tutte le immagini mostrano il cassone aperto, le leve, gli ingranaggi, i magneti, e magari anche l'umano nascosto nel cassone.
C'è in queste ricostruzioni una notevole ipocrisia. Si legge, com'è di costume, la storia alla luce del cosiddetto 'metodo scientifico', attento a svelare ogni trucco, a guardare dieto ogni ciarlataneria.
Si tratta di una ricostruzione di comodo. La cosa notevole è che per ottantasette anni gli 'scienziati' ed i 'fact checker' si guardarono bene dal cercar di svelare l'inganno. Quando poi qualcuno lo svelò, a farlo fu Edgar Allan Poe, una artista, un poeta.
Si volle, fino alla fine, lasciare il cassone chiuso. Si volle credere che il Turco-automa fosse davvero capace di competere con noi umani.
Nei tempi in cui viviamo stiamo vivendo immersi nella stessa illusione. Vogliamo credere che le macchine dette 'intelligenze artificiali generative siano capaci...
Possibile risposta
Possiamo quindi tornare alla domanda - che si rivela attualissima: perché all'Imperatrice, a Napoleone, a Benjamin Franklin, al dotto e al profano piace immaginare, o sperare, che chi sta interagendo con me non sia un umano, ma una macchina?
Una possibile risposta è questa: giocare a scacchi è difficile. Assumersi l'onere della prossima mossa, dell'insieme delle mosse, fino alla mossa dello scacco matto, è faticoso, impegnativo.
Il giocare con la macchina offre una doppia via di fuga.
La prima: posso immaginare che in qualsiasi momento potrei alzarmi da quella sedia e farmi sostituire dalla macchina.
La seconda: il fatto che si tratti di un lavoro che anche una macchina può svolgere mi libera dal pensiero della complessità, mi presenta il lavoro da svolgere come qualcosa di controllato, assoggettato a regole.
Se poi andiamo oltre il gioco degli scacchi -retto da regole certe, limitato nel tempo e nello spazio- e passiamo a guardare la complessità nella quale noi umani ci troviamo immersi in ogni istante della nostra vita, allora i motivi di sentirsi impauriti, e di sentire come piacevole e rassicurante l'affidarsi alle autonome capacità della macchina aumentano a dismisura.
Per poter credere in questa via di fuga, per garantirci questo allontanamento dalla responsabilità, ci autoinganniamo.
Cerchiamo surrogati, imitazioni di noi stessi.
Attribuiamo a questi Ersatz il merito di ciò che sotto sotto, nascosti nel cassone che sta sotto il tavolo del Turco, facciamo noi stessi, esseri umani.