La notte successiva all'elezione del nuovo Papa mi sono messo a cercare sul web tracce degli anni da lui passati nel nord del Perú, già ben prima della sua nomina a vicario apostolico di Chiclayo.
Departamento de Piura: Chulucanas. Departamento de Lambayeque: tracce dei recorridos del missionario: Ferreñafe, Motupe, Salas, Pítipo, Manuel Mesones Muro... Recorridos, leggevo, "que no figuraron" nemmeno "en notas de prensa ni en boletines eclesiales". Il missionario visita i luoghi più sperduti. Che mondo è quello?
Ora, scrivo quattro giorni dopo, qualcosa si legge sui nostri giornali, si vede in televisione. Foto del missionario, gli stivali immersi nell'acqua limacciosa; foto del missionario a cavallo. Racconti di quando il missionario guidò il bus. Aneddoti superficiali che poco dicono.
Mi guardo bene dal fare l'apologia del missionario. Non mi interessa qui guardare a cosa il missionario ha insegnato. Mi interessa guardare a cosa ha insegnato al missionario il suo stare in quei luoghi. Guardare a cosa insegna l'aver condiviso la vita quotidiana con los moradores, gli abitanti di quei luoghi. Il missionario è una figura emblematica: è l'esponente di una élite -il missionario è sempre uno straniero, gode delle sue sicurezze, non il problema di guadagnarsi da vivere- ma è costretto a vedere. Tornando a Chicago, e stando ora a Roma, non potrà dimenticare.
Forme primordiali di cittadinanza attiva
Colgo infatti il senso di una distanza abissale: cosa ne sanno di quella vita i tanti 'esperti' prontamente intervistati dai giornalisti, qui da noi, o invitati in qualche trasmissione televisiva.
Del resto, anche leggendo i quotidiani peruviani di oggi, le tracce della vita vissuta, della quotidianità convissuta, si fanno più opache, più labili. Coperte ormai da una certa generica agiografia: "El Perú está en su corazón", il Perú sta nel suo cuore.
Eppure nuove tracce si aggiungono. Non mi interessa qui guardare a cosa il missionario ha insegnato. Mi interessa guardare a cosa ha insegnato al missionario il suo stare in quei luoghi. Guardare a cosa insegna l'aver condiviso la vita quotidiana con los moradores, gli abitanti di quei luoghi. Il missionario è una figura emblematica: è l'esponente di una élite -il missionario è sempre uno straniero, gode delle sue sicurezze, non il problema di guadagnarsi da vivere- ma è costretto a vedere. Tornando a Chicago, e stando ora a Roma, non potrà dimenticare.
Un grupo de trabajadores de construcción civil de Ferreñafe protestó por la presencia de 'delincuentes' junto a los representantes de la empresa que construirá millonaria obra."
Operai edili prendono a sassate la camioneta (pick up) del Governo Regionale, esasperati non solo dalla mancanza di lavoro, ma anche dai legami tra imprese private e malavita, che organizza il lavoro nero. In questo prendere a sassate la vettura dell'istituzione, c'è una forma -sia pure estrema, o primordiale- di cittadinanza attiva. Bisogna ricordare le parole di Amartya Sen: "la democrazia è discussione in pubblico".
Vita quotidiana
Non a caso solo un'altra notizia ha rivaleggiato, sui media peruviani, con la salita di Padre Roberto al soglio papale. "La matanza de 13 personas en una mina de Pataz generó conmoción en Perú y puso el foco en el alarmante auge de la actividad criminal en torno a la minería ilegal". Il massacro di 13 persone in una miniera illegale. Si legge "puso en foco", portò all'attenzione. Ma non è una novità di oggi, sono anni che cresce, non solo in Perú, ma in tutta l'America Latina, "l'allarmante auge dell'attività criminale intorno alle estrazioni minerarie illegali."
Manca lavoro. I possibili ambiti di occupazione sempre più si trovano nell'economía informal, il lavoro in nero. Una fonte occupazione consiste nell'andare a scavare in zone minerarie date in concessione, ma ancora non adeguatamente sfruttate dalle imprese concessionarie. La malavita organizzata ha buon gioco nel egemonizzare questa attività. Malavita che allarga il suo raggio d'azione a macchia d'olio, sfruttando debolezze della politica, alimentata dalla povertà diffusa, e dall'emigrazione di massa dal Venezuela.
L'attività mineraria illegale trascura qualsiasi norma. Gli scarti inquinano i fiumi, in zone dove il pescato nel fiume è una delle principali fonti di alimentazione. Attorno alle miniere illegali cresce un intero sistema: si aprono bordelli, con pesanti conseguenze per la popolazione femminile della zona.
E poi, l'oro estratto illegalmente in Perú, sempre a cura della criminalità organizzata, è esportato illegittimamente in Bolivia, da dove sarà esportato legalmente nel resto del mondo. Così va il mondo.
Conoscere tutto questo è molto importante. Importante il nuovo Papa abbia vissuto in quei luoghi. Visto da vicino. Ed io mi permetto di parlare di questo perché anch'io conosco quei luoghi, ho visto da vicino questa povertà, ma anche questo calore umano, questa capacità di provare piacere, di essere per qualche istante felice.
E' una società ridotta allo stremo, dove però ancora funziona una basica solidarietà sociale, non fondata su istituzioni, ma costantemente ricreata da esseri umani capaci di aiutarsi, di volersi bene. Nonostante la disperazione.
C'è però un rovescio della medaglia, un tratto caratteristico della cultura latinoamericana con il quale si è costretti a fare i conti: la violenza. E' una vita violenta. E' diffuso il dire: No vale nada la vida, non vale niente la vita umana. Il dirlo non significa non attribuire valore alla vita, significa invece osservare come continuamente la vita umana è messa a repentaglio, messa in discussione. Si è costretti a convivere con la morte violenta.
Due frasi
Perciò la cultura latinoamericana può essere abbracciata con due emblematiche frasi.
Frasi che circolano nel comune discorrere, ma che troviamo riprese da due grandi poeti.
Octavio Paz descrive nel saggio El laberinto de la soledad la cultura messicana. Riprende dall'oralità diffusa una frase: La vida es chingar o ser chingado. La vita è fottere o essere fottuti.
Di fronte a questa constatazione, che sembrerebbe indiscutibile, si potrebbe restare senza parole.
Ma mi sembra si possa trovare risposta e contrappeso in una frase che si può leggere nella Historia del tango di Borges: Pelear puede ser una fiesta. Pelear: "Contender o reñir, aunque sea sin armas o solo de palabra", si legge nei dizionari. Litigare, disputare, dibattere, altercare, combattere, guerreggiare...
Nel dire che puede ser, può essere una fiesta, di una festa, c'è l'accettazione della violenza - data di fatto. Ma anche il non arrendersi alla violenza - una possibilità, uno spazio vitale.
E si può vedere l'emergere di una simbolizzazione, che trasforma la cattiveria della violenza in gioco. Una ritualizzazione che si ripropone come fonte di vita sociale. Una via d'uscita, una speranza. Il tango, come musica e come ballo, nasce in bettole dell'angiporto di Buenos Aires, in luoghi malavitosi, ma ci si ripresenta come energia positiva, come riscatto sociale.
Nella musica e nel ballo c'è un ritmo che trascina in una direzione costruttiva, e che impedisce l'inganno.