Quando ero ragazzo, Internet non esisteva ancora. Per studiare si andava in biblioteca, dove i libri erano pochi e preziosi. Io, bambino di nove anni, divoravo pagine di Le Scienze, di riviste di astronomia e delle prime pubblicazioni sulla programmazione informatica.
Non potendo prendere i libri in prestito perché troppo giovane (secondo il "regolamento" della Biblioteca), passavo ore a copiarne a mano i brani più importanti, mentre l’impiegato pubblico dallo stipendio sicuro a fine mese, annoiato e indifferente, mi intimava di fare in fretta anche se la biblioteca avrebbe chiuso tre ore più tardi. Quell’esperienza, nata da un limite, è diventata la base del mio modo di pensare e di scrivere: leggere, selezionare, trascrivere, rielaborare.
Da quel lavoro paziente ho imparato che l’intelligenza non coincide con la rapidità. Al contrario, la risposta immediata è spesso segno di povertà di possibilità. Quando lo spazio delle opzioni è ristretto, la mente sceglie in fretta perché non ha altro da esplorare. Le menti davvero curiose, invece, costruiscono scenari alternativi, formulano ipotesi controfattuali, immaginano futuri diversi e percorrono sentieri multipli prima di giungere a una conclusione.
Questo processo richiede tempo, esitazione e perfino frustrazione, e produce talvolta pensieri strampalati, idee sbilenche, intuizioni che sembrano prive di senso. Ed è proprio per questo che serve il coraggio di esporsi, di confrontarsi e di sottoporsi al giudizio altrui: nella speranza che menti più dotte abbiano la compassione di correggerci, o — come accade più spesso — di deriderci. Va bene anche questo, perché ogni confronto, anche il più ruvido, affina e rinforza il pensiero.
Lo stesso vale per la scrittura. Copiando per anni testi di molti autori — cito Piero Angela solo come esempio noto a tutti — ho interiorizzato, quasi senza accorgermene, i loro pattern: il modo in cui un’idea prende forma, si sviluppa, si rafforza o si confuta. Per questo oggi riconosco immediatamente uno scritto generato da un software di "intelligenza artificiale": manca quella profondità di struttura, quella stratificazione di dubbi e deviazioni che solo un pensiero umano può attraversare.
Anche per questo le intelligenze artificiali mi lasciano insoddisfatto. Funzionano come facevo io da ragazzo: copiano e rimescolano. Ma dietro l’apparente intelligenza si cela spesso solo un raffinato plagio. Ho provato a usarle, ma finivo per passare più tempo a correggere grammatica e sintassi che a imparare qualcosa di nuovo. Così ho smesso: con il mio metodo lavoro meglio e più in fretta.
L’intelligenza non è uno sprint. Non consiste nel rispondere subito, ma nel coltivare dubbi, esplorare possibilità, trasformare ciò che si conosce in qualcosa di nuovo. È un processo lento e stratificato, che non si misura nella velocità della risposta, ma nella profondità del cammino che porta fino a essa.
E visto che ho citato Piero Angela, ecco tre libri per capire davvero come funziona la testa umana.
Il primo è Viaggio dentro la mente: spiega in modo chiaro e comprensibile come lavora il nostro cervello ogni giorno, come si formano memoria e attenzione e come possiamo mantenerle attive. È utile perché ti fa capire che l’intelligenza non è un dono immutabile, ma qualcosa che si costruisce e si allena.
Poi c’è La macchina per pensare, dove Angela racconta il cervello come una sorta di ingegnosa macchina biologica. Mostra come miliardi di neuroni, lavorando insieme, producano pensieri, idee e decisioni. Ti fa capire che dietro ogni ragionamento c’è un lavoro enorme, invisibile ma concreto.
Infine Alfa & Beta. Dalle stelle all’intelligenza: qui il discorso si allarga e collega il pensiero umano alla storia dell’universo e dell’evoluzione. L’intelligenza non è solo un fatto biologico, è qualcosa che nasce da un lungo cammino della vita sulla Terra.