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Il contesto in cui esercitare il dubbio e la nostra libertà di scelta è sempre più quello virtuale. In esso abbiamo trasferito armi e bagagli, menti e azioni, le nostre intere esistenze, creando dei nostri doppioni nella forma di account o profili digitali. Questo contesto è formato da innumerevoli mondi artificiali, tutti vissuti come reali, tutti governati da algoritmi potenti che ne determinano funzioni e prestazioni, routine e comportamenti, scelte e decisioni. Dentro scenografie e sceneggiature ispirate dalla fisica sociale le scelte sono diventate binarie, agiscono su semplici interruttori che ci vengono proposti come strumenti potenti per l’esercizio della nostra libertà, ma che in realtà ci tolgono autonomia, ci impediscono di apportare modifiche al contesto nel quale esse sono rese possibili. E' necessario recuperare la capacità di pensare criticamente. Lo si può fare praticando il dubbio e la libertà di scelta. Meglio se basata sulla conoscenza, la (tecno)consapevolezza e la responsabilità. (𝗜𝗹 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗼 è 𝘂𝗻 𝗮𝗿𝘁𝗶𝗰𝗼𝗹𝗼 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗲𝗻𝘂𝘁𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗡𝗼𝘀𝘁𝗿𝗼𝘃𝗲𝗿𝘀𝗼 - 𝗣𝗿𝗮𝘁𝗶𝗰𝗵𝗲 𝘂𝗺𝗮𝗻𝗶𝘀𝘁𝗲 𝗽𝗲𝗿 𝗿𝗲𝘀𝗶𝘀𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗮𝗹 𝗠𝗲𝘁𝗮𝘃𝗲𝗿𝘀𝗼).


“Nella vita di tutti o quasi, di solito è una libera scelta a fare la differenza, anche quando quella scelta è il frutto di una decisione fortunata o di un fattore piccolo o in apparenza casuale” - Cass R. Sunstein, Sulla libertà, Einaudi, Torino 2020, Pag.5

“[…] ti aggrappi rabbiosamente alle tue libertà. Anche se il fumo ti uccide, anche se non puoi permetterti di nutrire i tuoi figli, anche se i tuoi figli vengono ammazzati da un pazzo armato di fucile d’assalto. Sarai anche povero, ma l’unica cosa che nessuno ti potrà mai togliere è la libertà di sputtanarti la vita come ti pare e piace.”– Jonathan Franzen, Libertà – Einaudi, Torino 2014 

“Gli abitanti del panottico digitale non sono prigionieri: vivono nell’illusione della libertà.” - – Byung-Chul Han, Nello sciame, Nottetempo, Milano Pag. 89 

Se si sa esattamente quello che si farà, allora perché farlo?” -  P. PICASSO

La tecnologia da strumento per manipolare le informazioni, è diventata una forza sempre attiva nel cercare di determinare ciò che possiamo pensare, i nostri comportamenti e le nostre scelte

La difesa del Nostroverso (il titolo del mio libro Nostroverso - Pratiche umaniste per resistere al Metaverso) passa dalla consapevolezza della svolta ingiuntiva della tecnologia che, da strumento per manipolare le informazioni, è diventata una forza sempre attiva nel cercare di determinare ciò che possiamo pensare, i nostri comportamenti e le nostre scelte. A rischio, come ha ben raccontato il filosofo Éric Sadin nel suo libro Critica della ragione artificiale, è la libertà, il libero esercizio delle nostre facoltà riflessive e di giudizio. Un giudizio ormai annegato e negato dentro sistemi che puntano a razionalizzare e ottimizzare l’esistenza umana automatizzandola, “annullando il tempo della riflessione e della socializzazione”.

Con l’obiettivo di eliminare dubbi e incertezze, la libertà di scelta è oggi di fatto sostituita con semplici algoritmi, a cui siamo invitati a credere, da protocolli fatti di codice straniero, pensato per cambiare la mente e il mondo, da programmi progettati per suggerire e guidare le nostre azioni, scelte e decisioni. Una guida neppure necessaria, tanto sono finte le molte scelte che facciamo online, tutte legate a bottoni o icone che ci invitano a partecipare, seguire, connettersi, accettare, cliccare, valutare, rispondere e messaggiare, facendoci sentire liberi proprio mentre viviamo la difficoltà della scelta e del prendere una decisione, fino a farci pensare alla fine della libertà. Una verità verosimile se si ha consapevolezza del livello di controllo globale e di manipolazione tecnologica e mediale raggiunto dalla nostra società della sorveglianza (ne ha parlato in modo approfondito Shoshana Zuboff nel suo libro Il capitalismo della sorveglianza).

Molte scelte che facciamo online sono semplice parvenza di libertà, sono solo finte, guidate da interruttori, pulsanti, bottoni, emoji, icone, che hanno già scelto per noi

Il contesto in cui esercitare la nostra libertà di scelta è sempre più quello virtuale. In esso abbiamo trasferito armi e bagagli, menti e azioni, le nostre intere esistenze, creando dei nostri doppioni nella forma di account o profili digitali. Questo contesto è formato da innumerevoli mondi artificiali, tutti vissuti come reali, tutti governati da algoritmi potenti che ne determinano funzioni e prestazioni, routine e comportamenti, scelte e decisioni. Dentro scenografie e sceneggiature ispirate dalla fisica sociale (il termine è associabile al filosofo Auguste Comte ma qui faccio riferimento al suo uso da parte di Alex Pentland) le scelte sono diventate binarie, agiscono su semplici interruttori che ci vengono proposti come strumenti potenti per l’esercizio della nostra libertà, ma che in realtà ci tolgono autonomia, ci impediscono di apportare modifiche al contesto nel quale esse sono rese possibili. Questi interruttori (mai deviatori) nella forma di pulsanti (neuroni esternalizzati e condizionati) si sono ormai sostituiti a noi, hanno di fatto eliminato la nostra spontaneità, sfruttano la nostra emotività e affettività, hanno ridotto la nostra capacità di riflettere criticamente sulle cose, ci liberano della memoria delle scelte precedenti e della capacità di decifrare indizi utili a compiere scelte ragionate e ben ponderate.

La binarietà associata all’interruttore, unitamente alla rapidità con cui si attiva, di fatto esercita un condizionamento deterministico, autoritario sul tempo e sullo spazio della nostra autonomia. La scelta è limitata a due opzioni, non ne esiste una terza, non si può dissentire (NonMiPiace) né improvvisare. Mi ricorda un’esperienza fatta negli Stati Uniti durante un corso universitario che frequentai nel lontano 1984. Al primo test in classe l’insegnate propose un testo di Hemingway con associate tre possibili scelte interpretative. Interrogai l’insegnante sul fatto che quella frase a me apriva molteplici interpretazioni, ben più di tre. Lo stesso fecero due studentesse giapponesi che frequentavano con me il corso. La risposta fu categorica e semplice: “Volete passare il test? Se sì, allora la risposta è o uno, o due, o tre!”.

l’esercizio libero della nostra facoltà di giudizio e di azione, nei mondi virtuali che abitiamo, è ingabbiato dentro protocolli e “ingiunzioni”, mai percepite come tali e spesso gioiosamente accettate

Parafrasando una riflessione di Éric Sadin, nella pratica online, l’esercizio libero della nostra facoltà di giudizio e di azione, nei mondi virtuali che abitiamo, è ingabbiato dentro protocolli e “ingiunzioni”, mai percepite come tali e spesso gioiosamente accettate, che ci indicano la strada da seguire, la direzione da prendere, la meta da raggiungere e la scelta da fare, modificando così ogni nostra singola azione o impulso che ci viene dalla nostra interrelazione con la realtà. La scelta umana dentro questo tipo di contesti regolati automaticamente, sempre sorvegliati in modo da poter intervenire su ogni scelta ritenuta non adeguata o per ridefinire protocolli che non funzionano, la figura umana si dissolve, sostituita da automatismi e scelte binarie, governate dagli algoritmi ai quali noi ci affidiamo. Come ha scritto Renato Curcio “[…] questo affidamento dei nostri corpi [online siamo semplici profili digitali], questa delega dei nostri apparati cognitivi, non solo riducono lo spazio della decisione umana ma […] lo eliminano del tutto affidandolo per intero a un altrove inconosciuto, inattingibile e remoto a cui viene dato il nome di intelligenza artificiale[1]”. L’altrove è intangibile, un miraggio al quale siamo portati a credere per avere spostato i nostri corpi fisici nell’evanescente onlife, desertificando il Nostroverso fatto di spazi urbani, di individui vivi, di presenza e relazioni umane, di comunità calde e accoglienti perché affettive e governate dalle emozioni.

La macchina ci vuole neutr(ali)i e plasmabili, anaffettivi, bravi nel fare (pigiare icone, fare acquisti, ordinare pizze, ecc.), impediti nell’agire e incapaci di volontà, sa perfettamente che il cervello umano intrattiene con gli oggetti rapporti diversi a seconda di quanto essi siano fonte di ricompensa o punizione, di soddisfazione o dolore. Su questo sono costruiti algoritmi e codici, programmi e funzionalità.  Della stessa logica computazionale è fatto anche il Metaverso prossimo venturo, pensato per ridurre la vicarianza nelle scelte dei comportamenti da adottare, sfidare il libero arbitrio umano attraverso l’applicazione di intelligenze artificiali costruite per monitorare emozioni e reazioni, segni vitali ed espressioni, allo scopo di influenzare i comportamenti e le scelte nella quarta dimensione del tempo che ha preso il sopravvento sulle altre, il tempo reale.

Il Metaverso, metafora di tutti i mondi online che abitiamo, è pensato per sfidare il libero arbitro umano e influenzare comportamenti, scelte e processi decisionali

A rischio non sono solo la privacy mentale e la libertà cognitiva, ma la mente stessa, il suo governo e controllo. Il rischio è inconsapevolmente accettato, reso possibile dall’uso complice e consenziente di semplici e innocenti dispositivi tecnologici, da parte di moltitudini di persone per i motivi più vari. Dispositivi che possono essere usati male da chi li possiede e con fini diversi da chi li ha venduti, anche senza il nostro permesso. Strumenti che, percepiti come utili e facili da usare, si sono trasformati in macchine potenti di controllo, capaci di automatizzare i comportamenti in funzione di circostanze, eventi o bisogni del momento.  Lo fanno attraverso uno schermo-soglia che appare ai più come interfaccia, via di accesso all’informazione e al divertimento, ma che in realtà è sempre più un apparato che emana ordini, comandi, suggerisce condotte, mette in azione definendone tempi, modi e luoghi. Basti pensare alle migliaia di fattorini che operano nel mercato della consegna a domicilio (Deliveroo, Glovo, ecc.), agli autisti di Uber e a quanti lavorano per piattaforme simili.

Il Metaverso che si propone di sostituire lo schermo attraverso i suoi visori per la realtà virtuale non cambia la realtà del nostro rapporto con la tecnologia. Immersi dentro il Metaverso siamo portati a sentirci più liberi, proprio mentre aumenta il condizionamento su di noi da parte di tecnologie più innovative, dotate di intelligenza artificiale, studiata per orientare le nostre scelte e le nostre azioni.

Lo schermo, che si pone al confine tra il mondo incarnato e quello digitale fungendo da portale per il trasferimento unidirezionale da un mondo all’altro, ha finito per creare una continua interferenza tra noi e gli altri, soprattutto di non farci sentire né di qua né di là. Il visore del Metaverso produce una invadenza ulteriore, la cancellazione del corpo e la sua riduzione in un avatar di pixel e bit dalle sembianze umane, cancella anche lo schermo, dissolvendolo. Schermi e visori stanno ridefinendo la rappresentazione simbolica della nostra società, le gerarchie e il posto di ognuno nel mondo. Il Metaverso che aspira a ridefinire la cartografia, in formato digitale, del mondo intero funziona a supporto di questa ridefinizione che vedrà i pochi governare la sua presa sul mondo, e i più anonimizzati ma felici di vivere esperienze simulate dentro i loro avatar online. Il potenziale abuso del sistema Metaverso nasce dall’essere costruito, come molti altri ambienti tecnologici, seguendo le teorie del controllo sociale ingegnerizzato, che descrivono modelli matematici applicabili a sistemi dinamici e ai loro processi. L’obiettivo di questi sistemi è di governare gli input per guidare il sistema nello stato desiderato. Nel Metaverso per influenzare comportamenti, scelte, decisioni ed azioni. A influenzare saranno coloro che hanno programmato il Metaverso, a subire tutti gli altri, potenziali utilizzatori delle piattaforme da essi create.

Schermi e visori stanno ridefinendo la rappresentazione simbolica della nostra società, le gerarchie e il posto di ognuno nel mondo.

Il sistema a cui la teoria del controllo è applicabile può essere semplice come un termostato o il dispositivo che permette a un lampione attraverso un sensore di accendersi quando fa buio e di spegnersi quando ritorna la luce. Un sistema di controllo è anche il Metaverso, destinato a modificare il modo con cui noi umani interagiremo con il mondo digitale nel prossimo futuro. Un sistema di tipo immersivo che ci avvolgerà anche spazialmente cambiando le nostre interazioni e relazioni con le informazioni digitali, trasformandoci in parte integrante e allucinata del sistema stesso. Fin qui nulla di male, il Metaverso potrebbe diventare uno strumento potente per una nuova fase di umanizzazione basata sulla maggiore conoscenza e su nuove abilità potenziate (aumentate) dalla tecnologia. Potenzialmente anche strumento di manipolazione, persuasione nascosta e di controllo, forse anche più potente di quanto non siano oggi i social usati per influenzare l’opinione pubblica e i comportamenti elettorali computabili (misurabili da agenzie come Cambridge Analytics) degli elettori.

Uno strumento potente per il suo essere stato pensato per agire sui canali percettivi e viscerali che guidano le nostre esperienze. Guidati come siamo dai nostri sensi, trovarci in contesti nei quali ciò che vediamo, sentiamo, udiamo è stato completamente prefabbricato, determina una situazione alla quale forse non siamo preparati. L’impreparazione ci rende deboli, di fronte a un sistema capace di rilevare in tempo reale i comportamenti degli utenti, per poterli meglio influenzare (feedback control) in modo circolare e continuo.

A essere influenzato e controllato è l’abitante del Metaverso, la cui semplice scelta di mettersi un casco lo rende controllabile, quantificabile, misurabile e influenzabile. I sensori del Metaverso saranno sempre attivi per tracciare il movimento degli occhi e della testa, delle mani e del corpo, la direzione verso cui si sta guardando, quanto a lungo si fissa uno sguardo, la dilatazione delle pupille, (micro)espressioni facciali, cambiamenti nelle posture corporali, inflessioni vocali, i segni vitali come respiro, battito cardiaco, pressione del sangue, ecc.

L’utente potrebbe non essere cosciente delle sue emozioni e delle sue reazioni, ma il Metaverso sì, sempre in grado di conoscere l’utente meglio di quanto esso non conosca sé stesso e di condizionare le sue scelte indirizzando i suoi processi decisionali. Strumenti di intelligenza artificiale possono poi essere applicati per analizzare i dati generati dalle attività dell’utente, con l’obiettivo di prevedere posizioni, reazioni, movimenti del corpo futuri e condizionarli. Da uno schermo dentro un focolare domestico che, pur perennemente da esso disturbato, è il punto di ancoraggio della nostra esistenza, il Metaverso trasforma l focolare in schermo, un grande spazio virtuale, ricco di dati e pieno di oggetti virtuali ma freddo e inospitale.

Online noi umani potremmo non essere coscienti delle nostre emozioni e delle nostre reazioni, ma le piattaforme e i loro potenti algoritmi, oggi dotati anche di  IA, lo sono sempre più

Nel Metaverso qualsiasi cosa si faccia o si dica verrà osservato e usato per prevedere e anticipare scelte future, sentimenti e azioni. Le informazioni raccolte verranno usate per creare modelli comportamentali ed emozionali nei quali “imprigionare” ognuno di noi condizionandoci. Questa descrizione del Metaverso trova il suo senso nel denunciare il rischio più grande e focalizzare l’attenzione sul ruolo del controllore (META ma non solo), su chi ha realizzato il Metaverso, probabilmente al semplice scopo di soddisfare una clientela fatta di sponsor interessati alla vendita di prodotti e servizi, o semplicemente per operazioni ideologiche, di propaganda e di misiformazione.

La potenza del Metaverso rispetto ai media tradizionali sta nella sua abilità di creare feedback loops ad alta frequenza e velocità, nei quali le emozioni e i comportamenti degli utenti sono continuamente alimentati e controllati, per influenzarli in tempo reale, anche modificando ciò che l’utente vede, sente o ascolta. Visto il ruolo delle AI nel Metaverso è logico interrogarsi su cosa possa fare l’utente per difendersi da esse, visto l’accesso a dati e informazioni vitali, che possono essere usati per influenzarci mettendo a rischio la nostra capacità e libertà cognitiva.

Tanto il Metaverso rischia di provocare la fine della libertà di scelta, quanto il Nostroverso è pieno di dubbi, incertezze, difficoltà a muoversi dentro sistemi viventi che, a differenza di quelli tecnologici, sono per loro natura complessi, caratterizzati da proprietà quali l’auto-organizzazione, l’emergenza e l’interrelazione, non riducibili a semplici codici, calcoli, algoritmi o modelli. Il Nostroverso non è abitato da avatar ma da persone in carne e ossa, fatte di natura e di cultura, di mente e di corpo, di cervello e di intelligenza, di ragione e di immaginazione. Nel Metaverso il controllore-creatore del sistema definisce le condizioni di abitabilità e di funzionamento, nel Nostroverso è l’uomo, nella sua interazione ed esperienza con gli altri, gli oggetti, le situazioni e gli eventi, a creare le condizioni nelle quali possa fare uso della sua intelligenza, del suo linguaggio e cultura, esercitando la sua libertà di scelta. Al profilo digitale meccanico, inanimato, quasi cristallizzato dell’utente del Metaverso, smontabile e influenzabile a piacimento secondo una concezione funzionalista e utilitarista del vivente, si contrappone un essere umano incarnato che vive come un libro sempre aperto, sempre in divenire e incerto, dentro continui adattamenti non predeterminati, ma che scaturiscono dalla interazione dinamica con l’ambiente in cui è inserito, da esperienze cognitive, psichiche e sociali personali.

Tanto il Metaverso rischia di provocare la fine della libertà di scelta, quanto il Nostroverso è pieno di dubbi, incertezze, difficoltà a muoversi dentro sistemi viventi che, a differenza di quelli tecnologici, sono per loro natura complessi

Oggi l’ambiente è ibridato tecnologicamente, le tecnologie digitali tendono a imporre il loro dominio sull’uomo, determinando uno smarrimento ontologico che si manifesta in perdita di senso, difficoltà a trovare motivazioni e ragioni per pensare e agire. In questo contesto esercitare il “libero arbitrio”, dubitare (De omnibus dubitandum era il motto preferito di Karl Marx, ma anche il titolo di un’opera incompiuta di Søren Kierkegaard), praticare un sano scetticismo e cinismo, interrogarsi criticamente, abbandonare il nichilismo diffuso per praticare il pensiero critico e l’autonomia del giudizio, diventa un modo per liberarsi dall’autoreferenzialità cognitiva a cui ci siamo arresi, si traduce in una pratica umanista in difesa dell’umano, per resistere alla sua artificializzazione e virtualizzazione. Questa pratica nasce dall’assunzione di responsabilità, dalla ritrovata capacità di dubitare, dal dubbio fecondo, dalla ricerca della verità mettendo tutto in discussione: opinioni, credenze, ideologie, organi di senso, narrazioni del mondo ed esperienze.

Il dubitare parte dal rinunciare a ogni certezza, senza cadere nell’incertezza paralizzante, nel riconoscere i limiti delle conoscenze e delle competenze personali sempre presenti, di cui bisogna avere consapevolezza. Il dubbio, un omaggio alla verità, per citare Gustavo Zagrebelsky “è il bivio di fronte al quale in ogni momento si trova il cercatore di verità[2]”. Grazie al surplus informativo ci siamo convinti di sapere tutto, di essere nel vero, di poter dire ogni cosa, ma essere informati non significa comprendere, neppure conoscere, ancor meno essere nel vero. La tecnologia non è di per sé strumento di conoscenza. Non lo è neppure il dubbio se non è frutto della consapevolezza che la conoscenza non è mai perfetta né tantomeno totale. Disporre di sovrabbondanza di informazioni, senza possederne le chiavi semantiche di collegamento e di interpretazione, porta soltanto alla loro inutilità ed evanescenza. Per questo il primo dubbio da esercitare è sugli strumenti tecnologici che usiamo per informarci, per conoscere e per comunicare, sul loro ruolo nel produrre caos informativo, misinformazione e crescente ignoranza. Interrogarsi sugli strumenti tecnologici ci permette di dubitare dei meccanismi binari che mirano a manipolarci e a catturare la nostra attenzione, a convincerci della bontà e utilità di ogni novità tecnologica, oggi declinata in intelligenza artificiale, realtà virtuale e Metaverso.

la pratica umanista del pensiero critico nasce dall’assunzione di responsabilità, dalla ritrovata capacità di dubitare, dal dubbio fecondo, dalla ricerca della verità mettendo tutto in discussione: opinioni, credenze, ideologie, organi di senso, narrazioni del mondo ed esperienze.

L’esercizio del dubbio sta oggi al Nostroverso come l’accettazione acritica e passiva del dominio della tecnologia, il disimpegno e lo scetticismo stanno al Metaverso (“il dubbio scettico è paralizzante, il dubbio euristico [del Nsostroverso] è sollecitante[3]). Il dubbio è il punto di partenza del pensare, del conoscere e dell’agire, è uno strumento o, come direbbe Wittgenstein, una semplice scala da usare per salire più in alto, per poi essere gettata via. Chi dubita sale sulle cose, le narrazioni e le proposizioni prese in esame, va oltre e nel farlo può riuscire ad “aprire lo sguardo a un nuovo ed emozionante panorama”.

Allargata la visuale, scoperto ciò che si poteva scoprire, la scala non serve più, non consente di andare oltre, salvo poi essere ripresa per superare il dubbio successivo. Liberarsi della scala serve per fare delle scelte. Non si può continuamente dubitare trasformando la propria vita in continue oscillazioni ed esitazioni, abbandonandosi alla incapacità di scegliere. Scegliere comporta piena adesione alla decisione presa e capacità di azione, sorretta dalla convinzione personale, per non lasciarsi trascinare dalla corrente del momento, rassegnandosi a vivere vite e scelte non sentite come proprie.

Chiarito il ruolo del dubitare e la necessità del suo superamento per arrivare a fare delle scelte, il dubbio è oggi lo strumento più potente per difendersi da una ideologia tecnologica che racconta sé stessa come dirompente, irresistibile (Adam Alter) e inevitabile (Kevin Kelly), totale e globale, coniugata al futuro e al cambiamento, portatrice di una rivoluzione permanente. Il dubbio serve a mantenere aperto il dialogo, a praticare la libertà e il “diritto di parola”, la eleutheria e la isegoria dei greci[4]. Esercitare il dubbio è un modo potente e semplice per aprirsi a nuove possibilità, per impedire che la verità, qualunque essa sia, sparisca nel nulla, assediata da false verità o semplici opinioni, da narrazioni falsificate della realtà o da ottuse convinzioni di chi non dubita mai. Dubitare, scegliere è un modo per uscire da sé (l’aletheia dei greci), rompere gli schematismi e gli ormeggi, andare in mare aperto, accettare l’errore e nutrire il dubbio per continuare a sentirsi liberi.

il dubbio è lo strumento più potente per difendersi da una ideologia tecnologica che racconta sé stessa come dirompente, irresistibile e inevitabile, totale e globale, coniugata al futuro e al cambiamento

Esercitare il dubbio è tanto più importante quanto più il concetto di libertà è diventato scivoloso. Lo ha testimoniato in tutta la sua drammaticità il discorso pubblico, mediale, filosofico (Agamben, Cacciari e altri) e politico che ha interessato tutto il mondo occidentale durante la pandemia. La confusione che ne è derivata è grande e continua a crescere dentro una realtà caratterizzata da populismi e autoritarismi vari, ma soprattutto da un ribaltamento paradossale tra i difensori della libertà e chi la vuole proteggere e difendere. A chiedere maggiore libertà sono reazionari e fascisti che le libertà le hanno sempre negate, gli altri si dicono disposti a rinunciare alle loro libertà in rispetto di regole che le limitano. In rete, sulle piattaforme tecnologiche e nelle pratiche digitali moltitudini hanno abdicato (si sono genuflessi) alla loro libertà di scelta affidandosi passivamente a macchine, algoritmi e intelligenze artificiali che scelgono e decidono per loro. Forse lo hanno fatto perché già pronti per una irrilevanza percepita come cittadini, in un’epoca di realismo capitalista senza sogni, privato com’è di alternative e di speranze per una nuova cittadinanza attiva.

Mentre la libertà sta perdendo il suo smalto, la retorica che la celebra non si è mai esaurita. Non poteva succedere dentro una narrazione che esalta la libertà economica e d’impresa (“siamo tutti imprenditori di noi stessi”), di mercato, di accesso, dell’individuo, ecc., senza paura alcuna delle tante manipolazioni linguistiche che senza pudore operano in continuazione. La realtà racconta una storia molto diversa nella quale per molti, precari, migranti, poveri, gli spazi di libertà si sono drasticamente ristretti. Sono venute meno le condizioni che, in senso umanistico, definiscono l’essere umano come dotato di libero arbitrio: la possibilità di scegliere.

La libertà di scelta cozza oggi contro meccanismi e automatismi digitali che hanno ridotto la libertà individuale a una illusione.

Nel mondo tecno-capitalistico, globalizzato e digitale esiste una libertà formale di scelta, ma sempre all’interno di perimetri ben delimitati dalla potenza degli algoritmi che governano piattaforme social, applicazioni, motori di ricerca e intelligenze artificiali. Illusoria è anche la pretesa di poter superare i vincoli degli algoritmi grazie a una maggiore conoscenza e potenza personale nel saper difendere le proprie libertà dall’automatizzazione accelerata della società. Nel frattempo, la pandemia ha contribuito con il distanziamento obbligatorio a ridurre la libertà di movimento, con la paura del contagio ha facilitato il diffondersi di paranoie e di ossessioni psichiche, che hanno limitato la libertà nella vita reale di ogni giorno, fiaccando la volontà cosciente, svuotando di significati la pratica politica della cittadinanza, limitando l’autonomia del singolo e le sue scelte. Tutte queste condizioni, che si sono venute creando, rendono complicata la difesa della libertà intesa come libero arbitrio. Non basta la consapevolezza e la coscienza di poterlo sempre esercitare, bisogna crederci fortemente, scegliere di credere e trovare la forza per poterlo sperimentare. In tutti i mondi paralleli e i pluriversi che abitiamo.

La libertà è un bene prezioso. Forse per questo oggi la risparmiamo e la esercitiamo il meno possibile. Per essere liberi non basta essere liberi di navigare, postare, messaggiare, bisogna saper navigare la propria vita e attraverso di essa, anche senza l’aiuto di un qualsivoglia GPS o assistente personale dotato di intelligenza artificiale. Bisogna resistere per esistere come sostiene Nicoletta Dosio, settantaduenne NoTav che ha scelto il carcere (“più che le parole contano i fatti”) come forma di testimonianza per una vita più che trentennale di lotte civiche, sociali e politiche motivate dalla volontà di un cambiamento radicale della società e del rapport con la natura e il mondo. Bisogna farlo nella consapevolezza che le nostre scelte avvengono sempre all’interno di contesti e ambienti specifici dai quali sono condizionate. Lo ha raccontato benissimo Foster Wallace con una fortunata metafora, già citata più volte in questo libro, di cui sono protagonisti due pesciolini che si chiedono cosa sia l’acqua dentro la quale nuotano e dalla quale non sono mai usciti fuori.

Per essere liberi non basta essere liberi di navigare, postare, messaggiare, bisogna saper navigare la propria vita e attraverso di essa

L’ambiente dentro cui si esercita oggi la libertà di scelta è quello tecnocrat(opat)ico, digitale e tecnologico. Con la sua architettura ha imprigionato la nostra attenzione, è diventato un agente atmosferico, capace di condizionare ogni nostra scelta, spesso suggerita da altri o agita passivamente. La retorica della Rete e delle sue piattaforme digitali celebra la libertà di scelta, nasconde e tace sugli innumerevoli pungoli e spinte gentili (anche le macchine praticano la gentilezza), basate su gratificazioni continue ed effetti echo-chamber, che regalano l’impressione di scelte libere, ma in realtà le guidano all’interno di binari paralleli resistenti al cambio, verso destinazioni predeterminate e in grado di suggerire le decisioni da prendere. Spinti dentro questi binari che semplificano la vita, molti oggi accettano di lasciarsi guidare delegando scelte e decisioni ai proprietari dei binari e ai conducenti dei treni che vi passano, alcuni paragonabili a Wilfred, il proprietario e il conducente dello Snowpiercer (riferimento al film distopico del 2013). Così facendo perdono la loro capacità di scegliere da soli, anche perché non dispongono più della possibilità di soppesare criticamente tutte le variabili in gioco.

Il condizionamento delle realtà digitali, finalizzato alla trasparenza, alla promozione di prodotti e al loro consumo, trasformando gli agenti umani coinvolti in semplici consumatori, ha raggiunto livelli tali, da poter essere assimilato a una coercizione, resa possibile dalla quantità di dati e informazioni di cui ogni piattaforma tecnologica oggi dispone. La rinuncia alla libertà di scelta trova oggi la massima conferma non tanto nei comportamenti, ma nel modo di pensare e di accettare le narrazioni e le scelte di chi queste piattaforme usa per motivi utilitaristici e commerciali. La rinuncia è la negazione di una mente consapevole, che sa di sapere o di non sapere (Mancuso), è la resa all’automazione e alla ripetitività, racconta l’incapacità a esprimere creatività e novità, ma soprattutto è la fuga dalla responsabilità, che sempre nasce dall’essere individui incarnati in relazione con gli Altri e con l’ambiente di cui fanno parte. Delegare la libertà di scelta alle macchine e ai suoi meccanismi predittivi è rinunciare alla consapevolezza, alla creatività e alla responsabilità, anche alla imprevedibilità, che rende l’essere umano ciò che è, mai del tutto prevedibile né tanto meno del tutto determinabile.

La rinuncia alla libertà di scelta trova la massima conferma nei comportamenti, nel modo di pensare e di accettare le narrazioni e le scelte di chi usa le piattaforme motivi utilitaristici e commerciali.

A determinarci e privarci della libertà ci provano in tanti, élite al potere, politici e governi, oggi anche poche aziende tecno-capitalistiche a cui è stato regalato il governo del mondo. A fare la differenza rispetto al passato nella volontà e capacità di esercitare una scelta è la condizione di estrema incertezza nella quale tutti stiamo vivendo la crisi attuale. Come ha scritto Zygmunt Bauman “Ciò che distingue la presente agonia della scelta […] è la scoperta o il sospetto che scegliere è diventata un’attività dolorosamente consapevole, da quando viene condotta in condizione di straziante ma incurabile incertezza. […] La scoperta o il sospetto che non esistano regole predeterminate e obiettivi universalmente approvati da seguire per assicurare chi sceglie contro le conseguenze avverse delle proprie scelte”. Pur nell’incertezza difendere la propria libertà di scegliere non è mai stato tanto importante.

Se la libertà di scelta è oggi limitata dal potere della macchina, il dubbio e la decisione sono di competenza di ogni individuo, nel Nostroverso così come nei vari metaversi che si ritrova ad abitare. L’algoritmo si fa carico di coinvolgerci online in attività che sollecitano una nostra azione o scelta. La sua capacità di suggestionare e coinvolgere, le tecniche usate per creare reazioni razionali e smuovere emozioni, il ricorso a intelligenze artificiali come strumenti focalizzati a condizionare i profili digitali con cui ci rappresentiamo online, hanno una influenza potentissima su ognuno di noi ma la scelta di premere un pulsante o di usare un interruttore è pur sempre individuale. Almeno fino a quando non avremo delegato a una macchina anche questo, la scelta e la decisione.

Il MiPiace è una decisione finale che l’algoritmo non fa. Agirà sul contesto, metterà in moto innumerevoli trucchi e stratagemmi di condizionamento psicologico ma di più non può fare. Il MiPiace e qualsiasi azione online è una nostra decisione, più o meno consapevole e responsabile, ma nostra. Questo fatto non è secondario, suggerisce che, per il momento, c’è una soglia che le macchine non possono varcare. C’è la possibilità di porre un limite alla loro volontà di colonizzazione cognitiva e comportamentale. La soglia è sempre aperta, si può varcare rinunciando alla trappola binaria della falsa scelta. Esiste una via di fuga dalla sottomissione sempre ricercata dalle forze che governano la tecnologia, è sempre possibile resistere alla trasformazione in “macchine del consenso” e consumatori.

la decisione finale, qualunque essa sia, buona o cattiva, egoista o solidale, cinica o pragmatica, opportunistica o meditata, semplice o complessa è pur sempre di chi il pulsante lo preme

Essendo costruiti biologicamente per prendere decisioni, la decisione finale, qualunque essa sia, buona o cattiva, egoista o solidale, cinica o pragmatica, opportunistica o meditata, semplice o complessa è pur sempre di chi il pulsante lo preme. La cosa trova una similitudine nei momenti elettorali quando la decisione per chi votare viene fatta dentro la cabina elettorale, un altro esempio è quando, arrivati alla cassa di un supermercato, si decide di lasciare indietro un prodotto perché percepito come non più necessario.

La decisione online non è più associabile al profilo digitale o all’account ma al suo creatore e proprietario, fatto di carne e ossa, capace di pensare e agire in solitudine, di cambiare comportamento e agire diversamente. Come scrive Alain Berthoz, Professore in Fisiologia della percezione al Collège de France: “La decisione è una proprietà fondamentale del sistema nervoso fondata su meccanismi di simulazione interna del corpo e del mondo che si sono fatti più complessi di pari passo con l’evoluzione”. La decisione umana non è mai solo razionale ma anche emotiva, nasce da una combinazione, cooperazione e a volte competizione tra le aree razionali ed emozionali del cervello umano. Nel processo decisionale il corpo gioca un ruolo importante. Viene attivato il cervello cognitivo e i suoi centri della percezione, le strutture della memoria come l’ippocampo, l’amigdala per la componente emotiva e per l’attribuzione dei valori, la corteccia orbitofrontale, il cui ruolo è stato oggetto di studio e riflessione nel libro L’errore di Cartesio di Antonio Damasio.

Nulla nel processo decisionale è facile, anzi può essere anche complicato, fastidioso e faticoso. Su queste difficoltà operano in modo intelligente e furbo le tecnologie. Non potendo decidere per noi, si attivano nel creare ambienti nei quali gli spazi soggettivi della scelta e della decisione siano ridotti o percepiti come tali, i tempi siano sempre rapidi e binari, privati del pensiero lento e della lentezza, le motivazioni siano sempre condizionate emotivamente e con gratificazioni varie, non si possa esercitare alcuna forma di dissenso ma ogni decisione rientri comunque all’interno del conformismo omologato che tanto fa comodo a chi della nostra vita onlife e nel Metaverso aspira a prendere il controllo. Chi sviluppa le tecnologie moderne sa perfettamente che ogni decisione è condizionata da motivazione, cognizione ed emozione, che non sempre si decide per ciò di cui si ha voglia ma per qualcos’altro, si prendono decisioni in funzione di ricordi, bisogni del momento e spesso ci si ritrova a essere semplici spettatori delle decisioni prese. È quello che succede in molte situazioni online nelle quali molte decisioni sembrano essere predeterminate, automatizzate, non coincidere con l’interesse, gli obiettivi e i valori dell’individuo che le ha prese o subite.

Sta a noi prendere consapevolezza di questi meccanismi, approfondire la conoscenza di come essi vengono usati e automatizzati online, attivarsi con il dubbio e la riflessione critica, operare delle scelte utili a decisioni diverse da quelle che altri vorrebbero artatamente imporci.


Note 

[1] Renato Curcio, Identità cibernetiche - Dissociazioni indotte, contesti obbliganti e comandi furtivi, Edizioni Sensibili alle foglie, 2020, Pag. 69

[2] Gustavo Zagrebelsky, Mai più senza maestri – Il Mulino, Bologna 2019, Pag. 62

[3] Ibid, pag. 65

[4] Spunto raccolto in un articolo scritto da Pietro del Soldà in un articolo pubblicato dalla rivista Sotto il vulcano del mese di marzo 2023.

StultiferaBiblio

Pubblicato il 25 maggio 2025

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – Co-fondatore di STULTIFERANAVIS

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