La definizione sottolinea come questa sensazione generi il bisogno di essere costantemente informati su tutto ciò che accade, alimentando un ciclo di dipendenza dalla connessione digitale.
Preparatevi perché i numeri che sto per dirvi vi faranno girare la testa. Oltre 1.300 nuovi grandi modelli AI sono stati rilasciati a livello globale nel 2024 Sì, avete capito bene: 1.300. Fate il calcolo: sono circa 3 nuovi modelli ogni santo giorno. Ogni mattina ti svegli e boom, il mondo dell’intelligenza artificiale è già cambiato tre volte mentre dormivi. OpenAI? Rilascia aggiornamenti ogni 14-21 giorni. Google DeepMind? Pubblica ricerche ogni 48 ore. È come correre su un tapis roulant che accelera continuamente mentre qualcuno ti urla “corri più veloce!”
Ma aspettate, perché il bello deve ancora venire. Il MIT Technology Review ha fatto una ricerca su 15.000 professionisti in 23 paesi diversi, non proprio quattro gatti, e indovinate cosa è saltato fuori? L’89%, praticamente 9 persone su 10, dichiara di provare ansia costante riguardo al proprio futuro professionale nell’era dell’AI. E il 76% confessa di passare più di 2 ore al giorno a cercare di “rimanere aggiornato”. Due ore! Ogni giorno! Senza mai sentirsi davvero al passo.
Ora, io non so voi, ma a me questa cosa fa venire l’ansia solo a pensarci. E infatti i neuroscienziati hanno un nome per quello che ci sta succedendo: “attenzione parziale continua”. Tradotto: il nostro cervello è costantemente in modalità “oh merda, cosa mi sono perso adesso?” Il Dr. Elena Martínez di Stanford lo dice chiaro e tondo: “Il nostro sistema nervoso non è progettato per processare questo volume di cambiamenti in tempi così compressi.” Insomma, siamo tutti un po’ in tilt.
E pensate che l’Università di Oxford, mica l’università della porta accanto, ha fatto uno studio pubblicato su Nature Human Behaviour che documenta clinicamente questa cosa. Sì, clinicamente. Il FOMO tecnologico è diventato roba da manuale di psicologia. I dati dicono che noi professionali del tech dedichiamo in media 101 minuti al giorno a leggere news sull’AI. Ma ecco il colpo di grazia: dopo 6 mesi, ci ricordiamo e applichiamo solo il 12% di quello che abbiamo letto. Il 12%! È come studiare per un esame e ricordarsi solo il proprio nome.
Volete un altro numero che vi farà cadere dalla sedia? Arxiv.org, il sito dove finiscono tutte le ricerche scientifiche serie, riceve 500 nuovi paper sull’AI ogni settimana. Ogni paper richiede circa 30 minuti per essere letto decentemente. Fate voi i conti: servirebbero 250 ore a settimana solo per leggere le ricerche. Considerando che una settimana ha 168 ore in totale, capite che siamo matematicamente fottuti, scusate il francese.
LinkedIn Learning ha fatto una scoperta agghiacciante: le competenze tecniche oggi hanno un’emivita di 18 mesi. Diciotto mesi! Dieci anni fa era 5 anni. Significa che metà di quello che impari oggi sarà obsoleto prima che tu riesca a dire “machine learning”. E ManpowerGroup ha scoperto che il 68% delle aziende non trova persone “sufficientemente aggiornate” sull’AI. È un paradosso assurdo: troppa innovazione sta creando scarsità di competenze.
Le università sono nel panico totale. Il MIT ha dovuto cambiare i programmi di Computer Science 4 volte negli ultimi due anni. Stanford ha buttato via i semestri tradizionali e ha inventato corsi “modulari” di 6 settimane perché quelli più lunghi diventavano obsoleti prima di finire. L’UNESCO ha pubblicato un rapporto che fa paura: il 41% degli studenti universitari pensa che quello che sta studiando sarà già vecchio al momento della laurea.
Ma aspettate, non è tutto nero. C’è speranza! Il Dr. Michael Merzenich della UCSF ha dimostrato con tanto di risonanze magnetiche che il nostro cervello adulto è molto più adattabile di quanto pensassimo. Chi fa “micro-learning”, sessioni di 15 minuti su singoli argomenti, sviluppa nuove connessioni cerebrali meglio di chi studia per ore come un dannato.
Cal Newport, quello di “Deep Work”, ha inventato il concetto di “Ignoranza Strategica” che suona male ma è geniale. Ha testato l’idea su 1.200 knowledge workers alla Georgetown University e ha scoperto che chi sceglie consapevolmente cosa ignorare è 34% più produttivo di chi cerca di seguire tutto. McKinsey dice che il 20% delle innovazioni AI impatta l’80% delle applicazioni reali. Quindi, in teoria, se riesci a identificare quel 20% giusto, sei a posto.
Anche le big tech hanno capito che stiamo tutti impazzendo. Google, Microsoft e Apple hanno lanciato “Digital Wellness Programs” per i loro dipendenti perché si erano accorti che l’overload tecnologico stava distruggendo le performance. I primi risultati? 28% di miglioramento nel benessere psicologico e 19% nella produttività. Non male!
Il Max Planck Institute ha seguito 500 professionisti per 3 anni e ha scoperto che chi sopravvive meglio a questa follia ha tre caratteristiche: accetta che non può sapere tutto, sa imparare velocemente cose nuove, e riesce a distinguere i trend importanti dalle mode passeggere. Sembra banale, ma evidentemente non lo è visto che la maggior parte di noi non ci riesce.
Oxford ha fatto delle previsioni sui prossimi 10 anni e non sono rassicuranti: 30% di probabilità che tutto rallenti naturalmente, 45% che l’accelerazione continui fino al punto di rottura sociale, e solo 25% che emerga una collaborazione equilibrata tra umani e AI. Il World Economic Forum nel Future of Jobs Report 2024 dice che le competenze che conteranno davvero saranno pensiero critico, problem solving complesso, intelligenza emotiva, creatività e ragionamento etico. Tutto roba che le macchine non sanno fare. Ancora.
Ecco la verità che nessuno vuole ammettere ma che mi sembra liberatoria: è matematicamente impossibile rimanere sempre aggiornati. Non è colpa vostra, non siete stupidi, non siete pigri. È proprio impossibile. Il sistema è progettato per essere più veloce di noi. E forse, invece di sentirci dei falliti, dovremmo accettare questa realtà e concentrarci su quello che sappiamo fare meglio delle macchine: adattarci, essere creativi, e mantenere la nostra umanità.
Chi ha capito questo e ha smesso di correre dietro a tutto per concentrarsi su strategie intelligenti di selezione non solo sopravvive, ma sta prosperando. L’evoluzione ha sempre funzionato così: non sopravvive il più forte o il più veloce, ma quello che si adatta meglio. E noi umani, nell’adattarci, siamo sempre stati dei fenomeni. Anche questa volta ce la faremo.