Sebbene la sua opera, marcatamente autobiografica, ci presenti solo protagonisti incredibilmente magnanimi e forti, Frederick William Serafino August Lewis Mary Rolfe (1860-1913) visse in realtà di espedienti; non ultimo la scelta di scomparire dalla scena con il suo nome per riapparirvi con pseudonimi (con il più noto dei quali, Baron Corvo, finirà con l'identificarsi).
Inglese, convertito al cattolicesimo, in gioventù credette fortemente alla propria vocazione al sacerdozio. Tentò in seguito di convincersi delle proprie doti di pittore. Infine si dedicò alla scrittura. Lontano da ogni modello, Frederick Rolfe fu sopratutto vittima di se stesso. Vittima di tremende pulsioni autodistruttive, del senso di colpa per le proprie tendenze omosessuali, e di un narcisismo che lo spingeva a un insano atteggiamento di rivalsa e di vendetta nei confronti di chiunque gli era vicino. Cosicché le sue opere, quale che sia l'argomento, hanno un unico doppio tema, che l'autore non riesce a controllare (e anzi: che alla fin fine non vuole controllare): l'esaltazione sfrenata della persona di Rolfe, ed al contempo l'esercizio della massima cattiveria possibile nei confronti di amici e conoscenti dai quali, tutti, si sentiva tradito.
Si capirà come questo atteggiamento non abbia facilitato Rolfe nel raggiungimento della fama, ed anzi abbia condannato la sua opera alla rimozione ed all'oblio, fino a vari anni dopo la sua morte.
Così si puniva Rolfe: cercava il successo, ma faceva al contempo tutto per negarselo, offendendo in modo inverecondo (per via epistolare, ed anche attraverso riconoscibilissimi personaggi dei suoi romanzi) chi avrebbe potuto o voluto aiutarlo. Era un circolo vizioso: perché più si allontanava dalla meta ambita -mantenersi con il lavoro di scrittore-, più doveva ricorrere al sostegno economico di mecenati o agli anticipi di editori, e più sentiva il bisogno di vendicarsi piegando a questo fine la sua forte vena di artista.
La maggior parte della sua produzione è di tipo semi-storico; come lui stesso scrive: "la storia, cioè, come non era stata, ma come sarebbe potuta benissimo essere". Ma in due opere ambientate in epoca contemporanea Rolfe raggiunge, nel bene e nel male, il massimo. In Hadrian the Seventh (1904) per giudicare la Chiesa cattolica, che gli aveva rifiutato il sacerdozio, si fa -né più ne meno- Papa. Un Papa, naturalmente, geniale e riformatore. In The Desire and Pursuit of the Whole. A Romance of Modern Venice (scritto attorno al 1909, pubblicato postumo) racconta con poesia e felicità descrittiva, ma anche con straordinario livore, i suoi anni veneziani, che furono gli ultimi. Riesce perfino a inventarsi un incredibile riscatto per la sua vicenda umana, che si concluse invece in modo squallido ed anche sordido.
Il profondo senso dello sport
All'inizio del secolo lo sport è ancora una stravaganza da inglesi. Solo alla fine del primo decennio i dizionari italiani (vedi Panzini, ed. 1908) iniziano a registrare l'espressione: "per passione, per capriccio, per isvago. Oggi dicono: per sport".
Ma non è un caso che nella seconda metà dell'Ottocento si affermino contemporaneamente in Inghilterra il macchinismo industriale e lo sport. La macchina obbliga ad un uso insano delle proprie membra: ritmi dettati dalla macchina, movimenti ripetitivi, non liberi, slegati dal pensiero. Ed in prospettiva, libera l'uomo dall'esigenza di fare uso della forza fisica. Lo libera, virtualmente, del corpo.
Del resto, l'equilibrio della persona e dello stesso sistema sociale esigono uso del corpo, esercizio fisico all'aria aperta, in grado di garantire un uso equilibrato della muscolatura. Così il gentleman si trasforma in sportsman; così l'Inghilterra, contemporaneamente con il modello di fabbrica fondato sull'uso delle macchine a vapore, esporta tennis e football. E così nascono le Olimpiadi (fatte innanzitutto di sport 'corporali': atletica, boxe, lotta, canottaggio).
Potremmo dire: ciò che non si farà più per necessità, si farà ora per diletto. Ma a a ben guardare lo sport è la risposta a un bisogno ancestrale, più profondo: esprime, in modo mediato, la sopravvivenza del mestiere, o quantomeno la sua nostalgia. Del mestiere, permangono nello sport la centralità dell'abilità manuale, l'uso finalizzato della forza, il rapporto codificato con attrezzi, la necessità di una addestramento specifico.
Acquista così senso il comportamento apparentemente stravagante dell'"inglese matto che si sforza di sembrare veneziano". Perché far di tutto per sembrare un veneziano significa, innanzitutto, remare come un gondoliere. Lo sportsman può così conoscere la città in un modo negato al turista: Venezia può essere veramente guardata e conosciuta nella stessa prospettiva di chi esercita il mestiere che più tipicamente riassume la storia della città. Dal pelo dell'acqua, sotto sforzo, canale dopo canale, isola dopo isola, la laguna appare diversa.
Morire con Venezia
La città, nel 1700, persi i possessi "da mar", declinata da un punto di vista produttivo, mercantile e militare, si era trasformata nella capitale delle feste e dei teatri. Un turismo che porterà a Venezia tra gli altri Byron, Ruskin, Proust, Ezra Pound, Lawrence, Mann. Tutti guarderanno morire Venezia - ma dal palco della Fenice, dalla finestra dell'albergo, dal tavolino di un bar di Piazza San Marco o al massimo dalla poltroncina della gondola.
Diverse inevitabilmente le loro pagine veneziane da quelle di questo inglese che tenta il gioco impossibile di farsi veneziano (impossibile: perché le differenze culturali restano invalicabili, e perché lui stesso resta comunque consapevole della sua diversità di sportsman, di gondoliere dilettante, di straniero a Venezia).
Gioco impossibile, destinato a concludersi drammaticamente, e però giocato fino in fondo: qui perlomeno l'intellettuale rema davvero; apprende a conoscere le imbarcazioni come macchine perfettamente adeguate al loro ambiente ed al loro uso produttivo; legge con acume il sistema lagunare, complesso e delicatissimo. Un equilibrio millenario che sotto i suoi occhi si va irrimediabilmente spezzando.
Rolfe non mette in scena a Venezia morti letterarie. Sceglie veramente di morire a Venezia. Di morire con Venezia.
Imbarcazioni
Occorreva una certa accortezza per sottrarsi alla curiosità nelle lunghe e luminose sere. Tutta Venezia è fuori di casa a quell'ora del giorno e in quella stagione dell'anno. Imbarcazioni a quattro e a otto e barchette dei circoli di canottaggio si aggiravano per tutta la città. Le gondole passavano a sciami. (p. 413)
Sciami di barconi, di "topi", di valesane, di pupparini, di barchette, di cavalline, passavano davanti ai gradini della terrazza. (p. 174).
Il topo, il buranello e la moschereta
Il "topo" è una imbarcazione da carico, coperta da un ponte soltanto a poppa e a prua. (p. 29). E'un barcone (...) dall'aspetto sgraziato ma assai capiente costruite dagli squeraroli di Chioggia o di Castello per la navigazione nella laguna o nel vicino Adriatico. (p. 28)
...i più piccoli sandoli chiamati buranelli, che il rematore spinge con un energico movimento di due remi incrociati, o di un sol remo. (p. 393)
... era una minuscola moschereta, lunga circa tre metri, spinta da due sottili remi incrociati; verniciata in nero. (p. 415)
La gondola e il pupparin
Aveva venduto la gondola per millecinquecentoquattordici franchi. Il solo ferro della gondola era stato acquistato da un inglese che abitava sulle Zattere, perché si trattava di un ferro antichissimo e flessibile come la gomma. (p. 71)
Il pupparin è un'imbarcazione più piccola della gondola, lunga da sei a otto metri invece di undici e senza la prua e la poppa incurvate e irrobustite con acciaio. E' a fondo piatto, come la gondola; ed ha la stessa curiosa ma ben calcolata curva nel senso della lunghezza, è ugualmente appesantita sulla destra per equilibrare il peso del gondoliere in piedi sulla sinistra. La prua è a becco acuto; la poppa, dalla quale prende il nome, si allarga a ventaglio ed è inclinata come la coda di un merlo in determinati momenti. (p. 107)
Descrizioni di specchiata chiarezza, esattissime. Lo staniero curioso coglie la ricchezza secolare del 'saper fare' degli squeraroli (squero dal greco eschárion, 'cantiere'): in una civiltà fondata sull'acqua, una diversa imbarcazione per ogni scopo e per ogni occasione.
Il pupparin di Crabbe
Si compiacque dell'aspetto di questa esile imbarcazione. Era nera, elegante, ben lucidata (...); inoltre l'aveva attrezzata con assi di un bianco splendente sul fondo, con remi nuovi di zecca e con forcole ben lubrificate e brunite. Mancavano i tappeti spiegazzati, le unte rifiniture in ottone, i cuscini polverosi e i drappi funebri tanto cari ai veneziani; conteneva soltanto una poltroncina di vimini molto bassa che poteva essere spostata qua e là e adoperata e no. In alto sulla prua si levava una sottile e lucente bacchetta d'ottone, sormontata da una sfera cava con un vessillo in miniatura del Circolo della Reale Società dei canottieri Bucintoro, in seta rossa e oro. Per il resto l'imbarcazione era nuda, fatta per essere adoperata e snellita allo scopo di ottenere la massima velocità possibile. (pp. 107-108)
Crabbe -il protagonista del romanzo, l'alter-ego di Rolfe- usa le imbarcazioni per diporto. Come il suo "topo", il "pupparin" è perciò una barca rivisitata; privata degli orpelli tradizionali e degli accessori che ne facevano un mezzo di trasporto commerciale. Nasce così l'imbarcazione sportiva.
Gondolieri (I)
Suo padre (Bastian, il padre di Zildo, il giovane gondoliere di Crabbe, ndr) era stato gondoliere e gastaldo del traghetto della Trinità, a Venezia, così come i suoi genitori prima di lui. (...) Bastian, era stato massacrato (per due soldi) dal rasoio di un "bancal" dello stesso traghetto (subito rifugiatosi in Argentina). (p. 66).
Bastian, doveva riconoscerlo, era un uomo molto savio, molto coraggioso, con ben diciannove bandiere e diciassette medaglie vinte alle regate, senza parlare del primio municipale conferito alla sua gondola. (p. 68)
Vivo "da venti o trenta generazioni", il mestiere si è andato codificando in precise gerarchie di ruoli e in sistemi di valutazione condivisi.
Gondolieri (II)
Il palmo della mano era voltato all'insù (...); aveva il pollice immensamente spaziato, con l'inequivocabile callosotà sulla giuntura. (p. 41)
"E come mangia un gondoliere?"
"Sior, (risponde a Crabbe Zildo, ndr) un piatto unico, con un bel po' di pane o di polenta, e un quartino di vino con acqua a piacere. E dopo, più niente." (p. 182)
"Sior, non c'è nessun canale attraverso questa laguna e rimarremo incagliati." (I gondoleri sono timorosissimi di lasciare le vie d'acqua segnate per attraversare, seguendo la via più breve, distese d'acqua tentatrici ma prive di indicazioni.) (p. 309)
La mano di Zildo è, inequivocabilmente, la mano di un gondoliere. Il mestiere esige una disciplina, anche alimentare, e richiede comportamenti precauzionali orientati a garantire sicurezza: mai avventurarsi in vie d'acqua non segnate. (Crabble obbliga Zildo a violare questo tabù: è uno dei tanti 'giochi relazionali' che legano i due. Ma sul loro inverosimile rapporto non diremo qui niente di più: potrà addentrarsi nel mistero il lettore che vorrà avventurarsi nella lettura del romanzo).
Ai remi
I due attraversarono rapidi la città, entrando per il rio di Canonica e saettando lungo stretti canali, mentre Zildo lanciava i suoi rimbombanti avvertimenti simili a rintocchi di campana alle voltate: "A-oel" e "Premi" o "Stali": ed uscirono, per il rio dei Mendincanti, sulla laguna nord. Si lasciarono indietro, a tutta velocità, le isole-cimitero di San Michele edi San Cristoforo, poi, passando per il canale Ordello accanto all'isola di Murano, dei soffiatori di vetro, entrarono nella lunga distesa del canale di Giustizia. All'isoletta di San Giacomo nella Palude, ove la Madonna sta nel suo altarino sul molo, Nicholas ordinò una sosta. (p. 301)
A Venezia, nota Rolfe "tutti nuotano sin dalla culla" e quasi tutti, dopo i cinque anni, remano. In un modo peculiare: "in equilibrio e spingendo più che esercitando una una forza di trazione". "Un movimento che richiede oltre all'equilibrio una forza di spinta in avanti e un incessante adattamento alle circostanze più mutevoli".
Per sport
Crabbe attraversò la laguna fino a San Giorgio Maggiore; e di là fino ai pescherecci e ai canestri in rio del Ponte Lungo a Spinalunga; quindi su e giù per tutti i canaletti di quell'isola, fino al traghetto di Sacca San Biagio; poi di nuovo attraverso la laguna tra il porto della Marittima e la terraferma, sotto il viadotto, lungo più di tre chilometri, della ferrovia e al di là del pubblico mattatoio, al termine di Cannaregio; su e giù per i lunghi canali paralleli di San Gerolamo e della Sensa e di Sant'Alvise per cercare il Palazzo del Camello: intorno all'aperta laguna al nord, intorno al giardino americano gelosamente custodito e alla Sacca della Misericordia; lungo tutte le Fondamenta Nuove e l'Arsenale; per due volte intorno all'isoletta Olivolo (la cui chiesa, appena un secolo fa, era la cattedrale di Venezia), con il suo bel campanile, e la flottiglia estremamente pittoresca di pescherecci all'ancora; attraverso il canale di Sant'Elena e davanti ai giardini pubblici, fino al bar del Belvedere accanto al pontone della Veneta Marina: l'intero periplo della città, con parecchie e lunghe deviazioni. (pp. 445-446)
Ma Crabbe, nonostante la sua furia agonistica, resta un dilettante. Le sue non sono vere mani da gondoliere, e "a furia di maneggiare il remo" le dita perdono l'elasticità necessaria alla scrittura - che resta il suo vero lavoro.
Venezia segreta
Giunsero a Venezia in un mirabile tramonto di striature color lilla orlate d'argento su uno sfondo fulvo, intorno a un disco di sangue ribollente. (p. 316)
Questa non era che una delle miriadi di notti diverse a Venezia... una mirabile notte intensamente blu di calma vellutata, dall'odore fresco, dall'ampiezza e dall'altezza magnfiche, chiazzata dalle macchie ancora più blu della Basilica, del Palazzo Ducale e del campanile, trapunta e striata da puntini e da strisce di luce color limone sulle rive e sui traghetti, balenante di torce e stellata di lanterne che scivolano su acque nero-azzurre. (...)
La placida e trascendente bellezza della scena era rasserenante. La barca scivolava con leggera dolcezza. (p. 183)
Solo dal pelo dell'acqua sono visibili questi spettacoli. Spettacoli alla portata del veneziano, o dello sportivo, non del turista che si affida al gondoliere.
Venezia come spettacolo turistico
Il piroscafo austriaco Metcovich stava riversando turisti teutonici in uno sciame di fameliche gondole. (p. 417)
Se soltanto i gondolieri di Venezia avessero saputo di quella galleria di quadri, quali montagne di quattrini avrebbero potuto guadagnare! In che modo? Semplicissimo. Così quando i ricchi inglesi e americani andavano a vedere le merlettaie di Burano, i loro gondolieri, per intrattenerli, avrebbero detto: "Ma qui c'è anche un'altra piccola cosa, preziosissima". Il sior Ermenegildo avrebbe mostrato le sue tele. I foresti naturalmente le avrebbero acquistate (...) (p. 314)
Le aspettative dei foresti sono banali. E' abbastanza facile intuirle e soddisfarle. Ma non si chiede niente di più al gondoliere.
Venezia moderna
"A dritta", ordinò.
Zildo voltò a destra, lungo la riva deturpata dalla pubblicità di un produttore di pizzi. (p. 308)
Spesso vagabondava nel porto della Marittima, osservando il carico e lo scarico dei piroscafi, e la lunga fila di gagliardi scaricatori carichi di sacchi di fumento che danzavano con leggerezza a piedi nudi giù per lunghe assi dai vapori del molo. (p. 459)
Ormai rive deturpate dalla pubblicità, e non solo "le chiatte istriane cariche di legna da ardere lungo le Zattere", non solo imbarcazioni a vela, ma grandi navi cariche di turisti all'ancora nel bacino di San Marco, e vapori che trasportano carbone, e cotone, e frumento...
Venezia come sistema vivente
E le consuete vibrazioni del fango, sul quale la miracolosa città poggia in equilibrio, non un vero e proprio terremoto, ma una dolce ondulazione, come di gelatina smossa (...), gli davano un'idea mirabilmente chiara dell'instabilità sempre in moto delle cose umane. (p. 298)
Il precario, caotico, instabile, ma efficace sistema idraulico della laguna è colto con estrema finezza da Rolfe. Anche nel suo aspetto di grande metafora.
Venezia come sistema antropizzato
L'aggiunta di nuove isole alle centodiciotto che compongono Venezia continua lentamente ma immancabilmente. I nuovi argini di fango vengono rinforzati con duplici file di pali di legno conficcati in profondità; lo spazio intermedio viene colmato con cemento e, dalla parte del mare, si costruisce un muro di pietra; la distesa melmosa così racchiusa viene poi prosciugata con pompe, e riempita con macerie compresse fino a una certa misura di compattezza. Con l'andare del tempo, nuove case sorgono per la crescente popolazione, il che rende necessario conficcare nuovi pali come fondazioni dei muri maestri. (p. 456)
E nemmeno sfugge a Rolfe il senso profondo e contraddittorio della domanda: cosa vuole dire salvare Venezia? Non esiste una astratta Venezia equilibrata e ferma nel tempo. La laguna è stata costruita come artificio nel corso dei secoli, e mantenuta dai reggitori dello Stato a prezzo di continue, spesso contraddittorie, sempre discusse opere artificiali.
I segni della fine
Verso la metà dell'ultimo mese dell'estate, si accorse inorridito che la sua resistenza fisica andava diminuendo. (...) Alla curva grande del canale, accanto al rio di Ca' Foscari, venne a trovarsi tra due vaporetti; questi battelli smuovono sempre l'acqua in modo sconcertante, specie nei punti in cui occorre inoltre tener conto dei gorghi delle correnti trasversali. Egli fu sufficientemente padrone di sé per mantenere l'equilibrio sulla poppa maestosa e per guidare l'imbarcazione lunga e leggera con abili colpi di remo mentre essa balzava con tonfi risuonanti da un'onda all'altra; e i passeggeri dei vaporetti osservarono divertiti la severa imbattibilità dell'inglese tra sommovimenti che inducono i veneziani a invocare a gran voce Maria Vergine. Tutto si stava svolgendo come sempre, e Crabbe si difendeva benissimo quando (alle sue spalle) sopraggiunsero sfreccianti due motoscafi, il grosso battello che trasportava i clienti di un albergo del Lido e il pericoloso motoscafo da corsa, a forma di sigaro, di Palazzo Contarini, aggiungendo le onde delle loro scie a quelle dei vaporetti. Lo prese una momentanea vertigine; e, per non cadere nel canale, egli discese dalla poppa. E' il genere di cose che ogni gondoliere è costretto a fare di quando in quando; ma fu proprio questo il motivo per cui il movimento con il quale egli abbandonò la poppa per il fondo della barca turbò la serenità di Crabbe. Egli aveva perduto la fiducia nelle proprie possibilità fisiche; e, per amore delle apparenze, smise di esporsi a rischi pubblicamente, là dove potevano determinarsi difficoltà. (pp. 452-453)
Si racconta che in realtà quella volta Rolfe non solo dovette scendere dalla poppa, ma cadde clamorosamente in acqua; e tuttavia riemerse subito nuotando, perfetto gentleman, con la pipa in bocca.
Nel romanzo invece Crabbe è ormai "ridotto alla monotona e rigorosa dieta di un panino secco al giorno". La sua "spavalda audacia" lo spinge ancora a "remare su e giù per il Canalazzo con l'aspetto di uno che si limita a divertirsi nelle ore d'ozio" - ma l'uomo si sente svuotato, prossimo alla fine.
Niente ci appare casuale in questa scena: la volontà dell'artista che vuole inventarsi una vita cozza contro invalicabili vincoli economici e sociali; la capacità dello sportsman di controbilanciare con l'impegno accanito l'esperienza di chi domina il mestiere mostra il proprio limite.
La Venezia vissuta al pelo dell'acqua, del resto, è veramente cambiata: Zildo, veneziano, gondoliere, inveisce con ancora più rabbia di Crabbe contro "quei cinque volte maledetti e screanzati vaporetti"; e contro gli ancor più pericolosi motoscafi.
Da mezzo secolo a Venezia arriva la ferrovia. Il nuovo porto della Marittima è in piena attività. Sulla riva degli Schiavoni e al Lido sono sorti i grandi alberghi. La città costruita su "file di pali di legno conficcati in profondità", forse, non era fatta per questo. Un equilibrio millenario -equilibrio di mestieri e di sistema ecologico- è rotto. Parlare di Venezia che muore è forse vuota retorica. Ma certo la civiltà della gondola e del remo è soppiantata da quella del motore.
Così come l'eccentrico inglese, ogni gondoliere è costretto a scendere dalla poppa maestosa.
Riferimenti bibliografici
The Desire and Pursuit of the Whole. A Romance of Modern Venice, scritto per la maggior parte nel 1909, è stato pubblicato a Londra nel 1934. Citiamo dalla trad. it. di Bruno Oddera (Il desiderio e la ricerca del tutto. Un romanzo di Venezia moderna, Milano, Longanesi, 1963), cui rimandano anche i numeri di pagina. L'edizione del romanzo, lagamente postuma, va a merito di A.J.A. Symons, autore anche della fondamentale The Quest of Corvo. An experiment in biography, 1934,; trad. it. Alla ricerca del Baron Corvo, Milano, Longanesi, 1969.
Nota
Questo testo è apparso sulla rivista Sviluppo & Organizzazione, marzo-aprile 1995, nell'ambito della rivista da curata Il Principe di Condé.