Ricevo stamani un messaggio di Filippo Varanini (mio nipote, fisico teorico). "Ti citano". Allegato un articolo apparso ieri 31 maggio sul Magazine del Foglio.
E' domenica mattina, più che in altri momenti ci si sente disposti alla sincronicità, alle coincidenze che per fortuna capitano, liberi da attaccamenti al compito, da stupidi vincoli autoimposti al libero vagare del pensiero.
Maurizio Stefanini parla di Miguel Ángel Asturias. Abbastanza interlocutoriamente arriva a ricordare che il Canto General di Neruda, sorta di cronaca enciclopedica in versi della storia latinoamericana, fu preso in giro da Borges nell'Aleph. Scrive infatti Borges che il mediocre poeta Carlos Argentino Daneri pretende di “mettere in versi tutta la rotondità del pianeta”.
"Nel 1941 sin era già fatto qualche ettaro dello stato del Queensland, più di un chilometro del corso dell'Ob, un gasometro a nord di Veracruz, le principali ditte commerciali della parrocchia di Concepción, la villa di Mariana Cambaceres de Alvear in via Undici Settembre, a Belgrano, uno stabilimento di bagni turchi posto non lontano dal ben noto acquario di Brighton".
Ricorda ora Stefanini che Francesco Varanini notava nel Viaggio letterario in America Latina che entrambi, Borges e Neruda, pur nelle enormi differenze di stile, e di modi di porsi in quanto autore, "si rifanno a Whitman, le sue Foglie d’erba intese come testo protostorico, catalogo, enumerazione, prima e mitica descrizione dell’universo americano, ovvero della nuova nazione, della nuova società".
Un articolo che sto scrivendo
Descrizione dell'universo, enumerazione caotica. Proprio di questo avrei dovuto scrivere stamani, stando al compito che mi ero autoassegnato, per terminare un testo che ho iniziato a scrivere giusto un mese fa, in risposta ad un acuto commento di Danilo Taglietti. Commento apposto ad un post dove presentavo un mio articolo sul presente ed il futuro del lavoro umano. Suggerendo che in qualche modo la scomparsa del lavoro umano possa essere intesa come scomparsa dell'essere umano.
Taglietti, nel pormi domande a questo proposito, chiama in causa, senza citarne esplicitamente il nome, Foucault. Anzi, senza citarla esplicitamente, chiama in causa un'opera di Foucault: Les mots et les choses. Ed anzi, chiama in causa un luogo preciso di Les mots et les choses, la conclusione, dove si allude all'umano che scompare come un volto sulla sabbia.
Danilo Taglietti non sa ancora che il mio tentativo di rispondergli, o almeno di proseguire l'esplorazione indicata dal suo commento, verte su una lettura 'archeologica' di Les mots et les choses. Foucault, infatti, è esplicito nel dire che il saggio è scritto sull'onda della lettura di Borges.
Quindi, conoscendo l'opera di Borges in modo più intimo, più profondo di quanto conosca l'opera di Foucault, sto scrivendo del Foucault autore di Les mots et les choses attraverso una lettura dello strato borgesiano del suo testo.
Mostrerò così come Foucault lasciando spazio al mistero, e all'ondeggiare della memoria - atteggiamento tipicamente borgesiano, non esplicita più di tanto le sue fonti borgesiane, il suo vagare tra le pagine di Borges. Eppure conoscendo i testi di Borges si possono individuare con buona approssimazione i luoghi attraverso i quali Foucault transita.
Da questi attraversamenti emerge, a me pare, una chiave di lettura che permette di leggere Les mots et les choses. Punto focale di questa lettura è l'Epilogo dell'Hacedor. Anzi, la frase finale dell'Epilogo, che colgo come pregnante anticipazione della frase finale di Les mots et les choses. Borges inizia la frase parlando di un uomo "che si propone il compito di disegnare il mondo". E conclude con l'apparire dell'"immagine del suo volto".
Di come Foucault e Borges ci indirizzino nel ragionare a proposito di questo tentativo di disegnare il mondo, fino al tentativo oggi presente di disegnare un mondo virtuale, digitale, un ciberspazio o metaverso dove l'essere umano potrebbe addirittura scomparire, o essere assente, parlerò nell'articolo con il quale darà seguito alla domanda di Taglietti.
Qui mi limito a tentare di stringere qualche filo della rete di connessioni nella quale mi sto muovendo.
Enumerazione caotica
Nell'incipit di Les mots et le choses, lì dove per l'unica volta cita esplicitamente Borges, Foucault cita un brano di Borges, brano che a suo dire, altamente lo meravigliò.
Brano che secondo me invece non dovrebbe in nessun modo stupire i lettori fedeli di Borges: non è, infatti, che un esempio delle enumerazioni caotiche che Borges con dovizia ci fornisce.
Nello scrivere l'articolo in risposta a Danilo Taglietti ero rimasto fermo proprio al punto in cui intendevo esplicitare il concetto di enumerazione caotica, concetto e modo di scrivere che da Borges passa a Foucault.
La memoria non è mai precisa, solo per via della citazione di ieri di Maurizio Stefanini mi torna in mente che in realtà avevo già scritto anni fa quello che mi trovo ora a dover scrivere. Ne avevo scritto proprio parlando delle differenze che separano Borges da Neruda. Ne avevo scritto parteggiando evidentemente per Borges.
Scrivevo appunto nel Viaggio letterario in America Latina, che in Neruda l'"enumerazione, retta da un disegno strategico, finalizzata a intenti apologetici, non è più caotica. (...) E' scrittura asservita a un rigoroso progetto, a una pedagogia delle masse".
Mentre Neruda pretende di imporsi "come guida intellettuale, maestro di indiscutibile autorità letteraria e morale", "Borges si propone come Autore vicario di testi altrui. Autore forse inesistente, presenza ambigua". "Il rapporto di cooperazione interpretativa instaurato da Borges con i suoi lettori si basa sul chiamare questi ultimi a riempire i vuoti di un testo di cui sono proposti solo l'ossatura e la sintesi". Borges suggerisce che sia impossibile tentare di attingere a immagine complessiva del mondo. Suggerisce anche che ogni struttura è lacunosa, incapace di precisione.
Di qui la letteratura come enumerazione caotica. Raccolta di dati esemplari, ma anche casuali, lontanissimi dalla completezza e dalla chiarezza. Associo, come fautori di questo atteggiamento, Borges e Philip Dick, che scrive ad un certo punto della sua sterminata Esegesi: "sono come un corvo dalla vista aguzza, che spia ogni cosa che luccica & la afferra, per aggiungerla al proprio mucchietto".
Enumerazione caotica, lista aperta, accumulazione disordinata. in fondo oggi sia il Web, sia i dati triturati, sminuzzati, dati in pasto al Machine Learning ci tengono vicini a questa immagine.
L'Autore
Concludo con un cenno a come oggi, su questa scena, si può intendere il ruolo dell'autore, di fronte come siamo non solo a macchine per scrivere, ma a macchine che, almeno in apparenza, scrivono. So che Danilo Taglietti considera a questo proposito stimolante l'immagine del Distant Writer proposta da Luciano Floridi.
Ho molti motivi per ritenere fertilissima, a questo proposito la figura di Borges, il suo porsi come meta-autore, Autore vicario di testi altrui, autore inutile.
Il senso di questa apparente assenza, e cioè il senso della presenza dell'autore oggi possibile, o anzi necessario, sta, secondo me, nell'Epilogo dell'Hacedor.
Ne parlerò nell'articolo che devo finire di scrivere. Basta qui dire due cose.
La prima è che Foucault aveva avuto buon occhio a fissare l'attenzione su questo punto, perché credo sia il luogo centrale dell'opera di Borges.
La seconda è che il titolo El Hacedor può essere tradotto in molti modi. In italiano è tradotto L'Artefice, in inglese è The Maker. Ma ci sono molti motivi per ritenere che la traduzione del titolo più fedele sia quella della prima edizione francese uscita il 18 giugno 1965: L'Auteur. Les mots et les choses esce, presso lo stesso editore: Gallimard, l'8 aprile 1966.