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In un’epoca segnata dall’irruzione dell’automazione nei gangli più profondi della vita economica e sociale, ciò che muta non è solo la tecnologia, ma la nostra stessa immagine del reale. Lungi dall’essere un fenomeno tecnico, l’automazione rappresenta un principio generativo che ridefinisce lavoro, valore e pensiero. Questo articolo propone una critica radicale sia al protezionismo economico di matrice americana che alla riduzione computazionale dell’esperienza umana, avanzando una visione europea fondata su interdipendenza, senso e responsabilità. L’ecologia dell’automazione, così intesa, non è una teoria delle macchine, ma una politica della forma e una cura del possibile.


Il mondo contemporaneo si riorganizza attorno a nuove forme d’intelligenza, nuove dinamiche produttive, nuove configurazioni di vita. L’automazione, infatti, non è più il semplice prolungamento della forza lavoro, né la mera meccanizzazione di gesti ripetitivi. È divenuta un principio generativo. Alimentata da reti neurali, vaste infrastrutture digitali, protocolli distribuiti e raffinati modelli predittivi, essa modula il reale ancor prima di rappresentarlo. Le macchine, oggi, non si limitano più a eseguire: osservano, apprendono, e infine decidono. E nel farlo, ridisegnano i contorni stessi di ciò che da sempre chiamiamo esperienza, valore, persino responsabilità.

Non si tratta, dunque, di una rivoluzione meramente tecnica, quanto piuttosto di una profonda "trasformazione del pensiero". E tuttavia, proprio nel momento in cui questa mutazione si manifesta con chiarezza, assistiamo al riaffiorare di una cultura economica che si dimostra incapace di comprenderla. Da un lato, il protezionismo reazionario — emblematicamente incarnato dal sistematico ritorno ai dazi da parte di certe amministrazioni statali — tenta di arrestare la mobilità del valore, illudendosi di poterlo confinare entro barriere fisiche e confini nazionali. Dall’altro, una visione tecnocratica del mondo, nutrita dall’ideologia della Silicon Valley, riduce ogni complessità a mero calcolo, ogni decisione a fredda previsione, ogni forma di conoscenza alla pura estrazione di pattern.

La rivoluzione tecnologica non è solo tecnica, ha messo in moto una profonda trasformazione del pensiero umano

In entrambi i casi, ci troviamo di fronte a risposte che non interrogano la trasformazione in atto, ma la negano. Il dazio è il gesto muscolare di un pensiero che ha smarrito il senso dei processi e crede ancora di poter governare il futuro per decreto. Il culto del dato è, al contrario, il riflesso lucido e inquietante di una razionalità senza volto, che alla comprensione profonda preferisce la semplice correlazione, alla cura la mera misura. Entrambe queste posizioni, seppur apparentemente distanti, condividono un unico, radicato presupposto: l’idea che il mondo sia ancora governabile attraverso il controllo. Ma il mondo, oggi, non si lascia più contenere. Scorre e si modula, si replica e si opacizza, oltre ogni argine e ogni pretesa di dominio.

Pensare l’automazione significa allora non rincorrere affannosamente la macchina, ma interrogare ciò che essa ci mostra, sia nella sua trasparenza che nella sua ombra. Essa ci rivela che la produzione non è più un fatto localizzato, ma un processo diffuso. Che il valore non risiede più nell’oggetto in sé, ma nella densità delle relazioni. Che il lavoro non è più un’azione sequenziale, ma una funzione ecologica. Per accogliere queste intuizioni, però, è indispensabile sradicare categorie ormai vuote: impresa, mercato, proprietà, merito, tutte intese come forme statiche e autoreferenziali. È necessario dotarsi di una grammatica nuova, capace di articolare interdipendenza, processualità e trasformazione continua.

È qui che l’Europa può ancora pronunciare una parola decisiva. Non per supposta superiorità, ma per un’eredità storica che la distingue. Perché è proprio in Europa che sono nate le domande più radicali sul senso della tecnica, della soggettività, del potere. È in Europa che si è tentato, talvolta con esiti tragici, di pensare il rapporto intrinseco tra libertà e automatismo, tra sapere e dominio. Oggi, in questa ricca tradizione, sopravvive una riserva di pensiero critico che non ha ceduto né all’entusiasmo ingenuo del progresso né al rifiuto sterile della modernità. È da qui che può partire una nuova "ecologia dell’automazione": non una mera teoria delle macchine, ma una profonda "politica del senso".

La questione non è se l’intelligenza artificiale sostituirà l’uomo, ma quale immagine dell’uomo viene prodotta quando lasciamo che siano le macchine a definirne i confini. La questione non è come rendere il lavoro più efficiente, ma come preservarne il significato profondo. La questione non è come adattarsi alla rivoluzione dei dati, ma come rifiutare l’idea che tutto ciò che è misurabile sia anche, per ciò stesso, desiderabile. Una società che confonde la previsione con la verità, la performance con il valore, e l’efficienza con la giustizia, è una società che si sta privando, inconsapevolmente, degli strumenti essenziali per comprendere se stessa.

La questione non è se l’intelligenza artificiale sostituirà l’uomo, ma quale immagine dell’uomo viene prodotta quando lasciamo che siano le macchine a definirne i confini.

In questo scenario complesso, l’opera di Cosimo Accoto rappresenta una delle elaborazioni più lucide e coraggiose del nostro tempo. Nei suoi libri, quali "Il mondo ex machina" e "Il pianeta latente", Accoto non si limita a descrivere la tecnologia, ma la pensa in modo radicale. Non la celebra, ma la interroga senza sosta. Egli dimostra come l’automazione non sia una semplice fase, ma un nuovo principio di costituzione del reale. Come il dato non sia un fatto neutro, ma una forma. Come la macchina non sia un oggetto inanimato, ma una soglia verso l'ignoto. E, soprattutto, come il compito della filosofia, oggi, non consista nel proteggersi difensivamente dal nuovo, ma nell'esporsi ad esso con lucidità e indomito coraggio.

Contro il dazio, perché nessun confine può più contenere la complessità del valore, che si genera e si propaga ben oltre le logiche del possesso e dello scambio materiale. Contro il dato, perché la conoscenza non si esaurisce nella correlazione e la verità non si lascia ridurre a previsione. Ma, soprattutto, a favore di un’ecologia dell’automazione che non contrapponga uomo e macchina, ma interroghi la forma del mondo che insieme contribuiscono a produrre. Non per arrestare la storia, ma per orientarla con discernimento. Non per temere ciò che verrà, ma per imparare ad abitarlo con intelligenza, misura e senso.

Pubblicato il 15 luglio 2025

Calogero (Kàlos) Bonasia

Calogero (Kàlos) Bonasia / omnia mea mecum porto