L'indagine di Giorgio Griziotti è finalizzata a fornire strumenti conoscitivi utili alla comprensione dell'insieme dei fenomeni complessi generato nel nuovo contesto e paesaggio quotidiano, definiti dalla diffusione delle IA. L'obiettivo è di gettare le basi per un discorso più ampio, proponendo un approccio specifico da svilupparsi solo su alcune direttrici con linee di indagine centrali.
Con Griziotti ho dialogato "stultiferamente", e il risultato lo trovate nel dialogo che ne è seguito e che qui è pubblicato.
(Il saggio da cui è nato questo dialogo verrà pubblicato su AHIDAonline, una sintesi è già disponibile su EFFIMERA (Critica e sovversioni del presente).
Carlo Mazzucchelli: Lo storytelling dominante sulle IA è asfissiante, manipolatorio, (pre)dominante, ma non riesce a impedire il confronto dialettico, spesso acceso, tra sostenitori e detrattori di una tecnologia definita intelligente, ma spesso descritta in modo riduzionistico come semplice macchina algoritmica o anticipazione della catastrofe umana prossima ventura. Per un'analisi più accurata della rivoluzione dell'IA proponi un approccio che adotti uno sguardo d'insieme e porti ad affrontare politicamente, socialmente ed economicamente il salto tecnologico determinato dalla IA. La prospettiva suggerita è quella della fisica quantistica come quadro reale della natura, superando il modello newtoniano ancora molto in uso, pur nella sua inerente illusorietà. In questo approccio si rifugge dalla visione antropocentrica degli esseri umani come entità già costituite e portatrici di una loro soggettività, mentre le macchine sono considerate come ingovernabili e dotate di una loro autonomia. Si sostiene che il mondo reale non è governato da leggi meccanicistiche ma si muova secondo dinamiche di indeterminazione e reti complesse. Nel tuo saggio scrivi che uomo e macchina non esistono come entità separate, ma si co-costituiscono nella loro interazione. Ci vuoi spiegare cosa intende e descriverci l'approccio "quantistico" adottato?
Giorgio Griziotti: Quando parlo di approccio quantistico non mi riferisco a una metafora suggestiva, ma a un cambio radicale di paradigma nella comprensione della realtà. La fisica quantistica ha mostrato che la materia non è composta da entità separate e pre-costituite, ma da relazioni che si determinano nell'atto stesso dell'osservazione. Non esiste un "prima" della misurazione: è l'apparato di misura che co-produce il fenomeno osservato. Questo modo di “essere” della natura ha portato Niels Bohr a formulare una nuova epistemologia: ciò che osserviamo dipende sempre dall’apparato che rende possibile l’osservazione. Su questa base, sia Carlo Rovelli con la sua interpretazione relazionale della meccanica quantistica che Karen Barad con il suo realismo agenziale, secondo cui umani e nonumani incluse le macchine ed il resto di Gaia non preesistono alla relazione, ma si co-costituiscono attraverso le loro interazioni (o intra-azioni per Barad) — processi in cui le entità stesse prendono forma.
Questo ha implicazioni decisive per pensare il rapporto tra umani e, adottando il tuo arguto neologismo, la tecnolog-IA. L'errore fondamentale delle narrazioni dominanti – sia quelle tecno-ottimiste che quelle apocalittiche – è presupporre che esistano da un lato soggetti umani già costituiti, portatori di una soggettività autonoma, e dall'altro macchine separate, dotate di una loro autonomia minacciosa o di una neutralità strumentale.
Non c'è un "io" che usa una IA come strumento esterno: c'è un assemblaggio materiale-discorsivo in cui soggettività, cognizione, desiderio, potere si producono insieme. Quando usi ChatGPT, non sei "tu" che interroghi una "cosa": sei parte di un apparato che ti sta configurando tanto quanto tu lo interroghi.
Questo non significa cedere a un determinismo tecnologico. Al contrario: se umano e macchina non sono entità fisse, allora sono aperti alla trasformazione politica. La questione non è "controllare" l'IA dall'esterno, ma modificare gli apparati materiali-discorsivi che producono sia l'IA che noi stessi. Questa prospettiva non è affatto apolitica: le IA generative contemporanee incorporano e riproducono visioni politiche, gerarchie e rapporti di potere che entrano direttamente in gioco nelle intra-azioni con gli umani, contribuendo a modellare soggettività, desideri e campi del possibile.
Con l’intelligenza artificiale (IA) la dinamica cambia: non siamo di fronte a una catastrofe possibile, ma immersi in una catastrofe già in corso.
Carlo Mazzucchelli: Citando Simondon sostieni che le macchine non sono oggetti fissi ma processi in divenire, definiti dalle reti di relazioni in cui si intersecano. Le macchine-IA che oggi tutti utilizziamo, in base a questa intuizione, possono essere viste come il risultato di pratiche concrete e di discorsi umani, che si portano appresso scelte politiche e responsabilità precise, sempre che queste scelte, secondo me, siano oggi ancora possibili e le responsabilità fatte proprie con un atto di volontà. Di questo ragionamento mi interessa la tua affermazione che nega l'opposizione tra IA e utente umano come entità separate per sottolinearne l'intreccio di relazioni. Gli effetti concreti e simbolici di queste relazioni non sono necessariamente positivi, in particolare nell'ottica di quello che poi nel saggio definisci tecnofascismo, inteso come nuova forma di autoritarismo reso possibile da nuove forme di sorveglianza e controllo grazie alla tecnolog-IA. Il tecnofascismo dei "tecnotitani" sta mostrando tutta la sua volontà e capacità di potenza e la resistenza non ha ancora compreso quali strategie e strade intraprendere. Se ho capito bene ritieni la riflessione critica necessaria ma non sufficiente, il rispecchiamento da superare, l'aprirsi a nuove interferenze l'approccio adeguato. Per questo suggerisci di rifarsi alla teoria della diffrazione di Karen Barad. Ci spieghi meglio cosa intendi e a cosa la teoria si riferisce?
Giorgio Griziotti: Barad introduce una distinzione fondamentale tra riflessione e diffrazione. La riflessione – tipica di molta critica sociale – presuppone uno specchio che riflette fedelmente una realtà esterna. È il paradigma rappresentazionalista: c'è un mondo "là fuori" e una coscienza critica "qui dentro" che lo rispecchia, lo analizza, lo denuncia.
La diffrazione funziona diversamente. Quando un'onda incontra un ostacolo, non lo riflette semplicemente: genera pattern di interferenza, crea nuove configurazioni, produce differenze. La diffrazione è un modello di conoscenza che non si limita a rappresentare il reale, ma lo attraversa, lo modifica, genera nuove possibilità. Non è la certezza dell’immagine riflessa dallo specchio, ma l’indeterminazione della luce scomposta dalla proverbiale sfera di cristallo.
Per questo dico che la riflessione critica è necessaria ma non sufficiente. Denunciare il tecnofascismo, smascherare la sorveglianza algoritmica, analizzare lo sfruttamento cognitivo – tutto questo è indispensabile. Ma rischia di restare intrappolato in un gesto speculare: "loro" i tecnoligarchi, le Big Tech, il capitale producono la realtà distorta, "noi" la riflettiamo criticamente per svelarla.
La diffrazione suggerisce invece di attraversare gli apparati, di interferire con essi, di aprire linee di fuga che producano configurazioni alternative. Non si tratta di "resistere" dall'esterno, ma di sperimentare tagli agenziali differenti, di aprire fratture negli assemblaggi dominanti.
Nel contesto dell'IA, questo significa: non solo criticare gli algoritmi di sorveglianza, ma hackearli, sabotarli, riprogrammarli. Non solo denunciare l'espropriazione cognitiva, ma costruire infrastrutture alternative di intelligenza collettiva. Non solo rifiutare la Tecnologia Mondo, ma praticare forme di riappropriazione tecnologica che aprano mondi differenti.
Carlo Mazzucchelli: Da tempo sostengo che la Internet (metafora dei tanti mondi tecnologici e metaversi che oggi abitiamo) libera, democratica e comunitaria di un tempo non esiste più. Oggi dominano piattaforme, IA e loro Chatbot, tecnocrati e tecnomonarchi (riferimento al libro di Alessandro Mulieri), tecnotitani (Loretta Napoleoni) e tecnofascisti (Donatella Di Cesare). Come scrivi anche tu, la Internet di ieri (e di oggi) non è "soltanto un prodotto dei grandi centri di ricerca delle corporation" o degli "apparati militari della Guerra Fredda", ma anche l'espressione dell'energia creativa e cooperativa di una rivoluzione, situata storicamente negli anni 60/70 del Novecento, di natura anti-capitalista e anti-imperialista. Oggi quella fase creativa è finita, finite sono anche le illusioni di democratizzare il sapere e di contribuire all'intelligenza collettiva. A prevalere è la percezione che qualcosa sia andato storto e che le storture nelle quali siamo imprigionati non abbiano soluzione. Il tecno(neuro)capitalismo secondo alcuni ha vinto e i suoi effetti si vedono soprattutto a livello cognitivo. Nel saggio però a questo pessimismo tu opponi l'idea che le molte situazioni materiali di malessere e sofferenza stiano incrinando il conformismo della "servitù volontaria" praticato da molti, creando delle crepe e degli interstizi dai quali possono emergere tensioni sistemiche emergenziali difficili da comprimere. Che ruolo giocherà la IA nella gestione di queste contraddizioni da parte del tecno(neuro)capitalismo?
Giorgio Griziotti: Hai ragione: la fase iniziale creativa e utopica della rete come eredità dei movimenti mondiali degli anni 60/70 è definitivamente chiusa. Ma questo non significa che il tecno(neuro)capitalismo abbia vinto definitivamente. Al contrario, le sue contraddizioni si stanno intensificando proprio mentre cerca di gestirle attraverso l'IA.
L'IA sta diventando il principale strumento di governance delle crisi sistemiche: crisi climatica, crisi sociale, crisi cognitiva, crisi della democrazia liberale. Attraverso algoritmi predittivi, sorveglianza biometrica, automazione militare, il capitale cerca di anticipare, contenere, reprimere le tensioni che la sua stessa logica genera. Non si tratta di semplice automazione o efficienza: l'IA è un apparato che struttura soggettività, desideri e comportamenti, monitorando e modulando le tensioni sociali prima ancora che diventino politicamente significative.
Questa governance, sempre più infiltrata dai tecnoligarchi / tech bros — termini che preferisco al meno politico "tecnotitani" della Napoleoni —, cerca di ridurre lo spazio delle crepe e degli interstizi di resistenza, agendo a livello cognitivo ed emotivo per neutralizzare forme di dissenso emergenti. Ma questo metodo è destinato al fallimento quando le condizioni di vita delle classi subalterne peggioreranno oltre un limite accettabile. Ed è qui che emerge la dimensione propriamente repressiva dell'IA: le sperimentazioni nei teatri di guerra e nei massacri delle popolazioni — da Gaza ad altri fronti — mostrano con chiarezza che le tecnologie predittive e gli algoritmi di targeting stanno già trasformando interi territori in laboratori per un apparato di controllo letale e automatizzato.
Tuttavia, questo tentativo tecno-totalizzante è destinato a restare incompiuto. Le tensioni materiali, i malesseri, le disuguaglianze producono fenomeni emergenti che sfuggono al controllo centralizzato. L'IA può amplificare la conformità, ma l'eccedenza umana — la capacità di agire in modi non previsti, di creare interazioni inattese — produce scarti e disallineamenti. È proprio in questi interstizi che possono nascere pratiche di resistenza e sperimentazioni collettive capaci di aprire linee di fuga.
Non si tratta dunque di opporre l'IA all'utente umano come due entità separate: ciò che conta è l'intreccio di relazioni che coinvolge persone, algoritmi, infrastrutture materiali, logiche economiche e assetti politico-sociali. È in questo spazio che emergono le dinamiche decisive per comprendere come l'IA agisca e venga agita.
Carlo Mazzucchelli: Da quando la IA è diventata mainstream, tutti sono diventati esperti di Intelligenza. Al di là delle possibili definizioni, a te sembrano interessare di più le configurazioni differenti, le ibridazioni, le nuove relazioni che emergono dall'incontro dell'intelligenza umana con quella artificiale. Per questo introduci i termini di meta-tecnica e meta-automazione. Ci puoi spiegare cosa intendi con questa terminologia in relazione a come le IA generative oggi lavorano? Centrano in questo contesto le allucinazioni di cui le IA sono piene?
Giorgio Griziotti: La metatecnica è "l'abilità cognitiva di creare nuove tecniche o migliorare quelle esistenti, coinvolgendo la capacità di riflettere criticamente sulle tecniche, identificare i loro punti di forza e debolezza, e sviluppare nuove modalità di pensiero e approcci per affrontare i problemi complessi". Tratto dal mio Cronache del Boomernauta ( 2023, Mimesis).
Non è semplicemente l'uso di tecniche, ma la speculazione sulla tecnica stessa — la capacità di creare non solo strumenti, ma sistemi per pensare e generare gli strumenti. È una facoltà per ora esclusivamente umana, che distingue la nostra specie da altri agenti biologici: altri animali usano strumenti, ma non hanno mai oltrepassato la soglia critica che separa l'uso della tecnica dalla riflessione critica su di essa.
D’altro canto il machine learning rappresenta una forma avanzata di automazione, una sorta di “automazione dell’automazione” e quindi meta-automazione nel senso indicato da Matteo Pasquinelli in Nell’occhio dell’algoritmo (Carocci, 2025). Segna una soglia critica perché non si limita più a svolgere mansioni o a sostituire porzioni del lavoro cognitivo umano, ma tende ad assorbire e ampliare il processo stesso di progettazione. In altre parole, non automatizza solo i compiti: automatizza la capacità di inventare nuovi strumenti e nuovi procedimenti.
Non bisogna però farsi ingannare dalla sua apparente adattabilità: l’IA non ha vera capacità di azione autonoma. Non è in grado di ridefinire i propri scopi, creare valori indipendenti o generare contesti veramente nuovi. Ciò che viene chiamata “meta-competenza” — la capacità di produrre soluzioni e procedure innovative — resta confinata all’interno dei dati a disposizione. Al contrario, la metatecnica umana agisce attivamente sui limiti del possibile, introducendo elementi radicalmente nuovi che eccedono il sistema dato. Ed è per questo che ho portato un esempio nel cinema fra tanti altri: l’intelligenza artificiale può analizzare enormi quantità di film e produrre sceneggiature o storie, ma non può effettuare i salti di paradigma del Neo-Realismo italiano del dopoguerra o della susseguente Nouvelle Vague francese.
Le allucinazioni dell'IA sono sintomatiche: tutto ciò che produce un chatbot è tecnicamente un'allucinazione, poiché genera testi plausibili statisticamente ma senza percezione della realtà. In pratica stiamo usando uno strumento probabilistico per compiti deterministici.
"Alla mostruosa singolarità tecnologica di Kurzweil & C non possiamo che opporre la singolarità che da Spinoza a Deleuze e Negri non coincide con un mito tecnicista e individualista: ma si manifesta come plurale intreccio di relazioni, come eccedenza che appartiene al comune di Gaia, sempre già più-che-umano." (Giorgio Griziotti)
Carlo Mazzucchelli: Il potere delle macchine è tale da far prefigurare, se non una loro singolarità in divenire, una centralizzazione crescente del potere di chi le mega-macchine controlla. Uno degli aspetti forse più inquietanti, effetto della diffusione delle IA, è l'espropriazione delle facoltà cognitive e la messa in discussione dei lavori ad esse associati. Il tecnocapitalismo sembra avere trovato nuove forme di sfruttamento che porteranno alla sparizione del ceto medio, alla proletarizzazione dei lavoratori dei colletti bianchi, alla radicalizzazione dell'individualismo. Lo sfruttamento non sarà solo lavorativo ma interesserà anche le vite individuali nella loro sfera affettiva e relazionale. Tutto questo è reso possibile dalla complicità, dalla delega di moltitudini (diverse da quelle celebrate da Toni Negri) che hanno accettato di vivere dentro caverne e labirinti senza cercare vie di uscita. Come si può spiegare questa passività e quanto potrà servire la percezione della propria precarietà, povertà crescente, malessere, perdita di prospettive, per spingere a cercare alternative o a creare le fratture necessarie per trovarle?
Giorgio Griziotti: Piuttosto che il termine di “moltitudini”, che Negri ha ripreso da Spinoza, mi sembra più appropriato, rispetto alla situazione che tu descrivi, utilizzare il termine di masse, aggiornando le tematiche di un ormai lontano saggio di Wilhelm Reich: Psicologia (algoritmica) di massa del fascismo.
Comunque la passività delle masse che osserviamo non è naturale né definitiva. È il risultato di decenni di cattura neoliberale: individualizzazione, precarizzazione, frammentazione delle forme di solidarietà e organizzazione collettiva. La “Tecnologia Mondo”, in cui queste masse sono sempre più immerse ha intensificato tale cattura attraverso piattaforme che privatizzano la cooperazione sociale e algoritmi che governano i desideri.
Ma proprio l'intensificazione della precarietà, del malessere, della perdita di futuro sta generando nuove forme di soggettività antagoniste.
Quello che manca ancora è la capacità di tradurre questa consapevolezza in pratiche organizzative, in infrastrutture alternative, in sperimentazioni di vita comune che sottraggano risorse – cognitive, affettive, materiali – al comando capitalista.
La percezione della propria precarietà può essere paralizzante o può diventare il punto di partenza per riconoscerla come condizione comune, non come fallimento individuale. Quando la precarietà smette di essere vissuta come vergogna personale e diventa rabbia collettiva, si aprono spazi di lotta.
Il modello neurocapitalista ha a lungo garantito forme efficaci di controllo, plasmando soggettività e comportamenti attraverso dispositivi digitali e reti di influenza. Oggi, tuttavia, rivela i propri limiti. La sua capacità di produrre consenso si incrina necessariamente quando le moltitudini si trovano immerse in un degrado materiale crescente, sullo sfondo di una crisi ecologica e sociale sempre più profonda. Il controllo “soft” non basta più: le tensioni diventano sistemiche.
Carlo Mazzucchelli: Tu sostieni che la questione oggi non è tanto interrogarci su quanto potente sia diventata la tecnolog-IA, ma quali fenomeni genera in un contesto contemporaneo caratterizzato da crisi emergenti, guerre, trasformazioni paradigmatiche, e diffuso deterioramento. Interrogarsi è una prima forma potente di resistenza a quello che si sta manifestando in molte parti del mondo nella forma di tecnofascismo, in primo luogo in un paese come gli Stati Uniti, ma anche in Israele, Cina e altre nazioni che sulla tecnologia sono da sempre all'avanguardia. Le recenti rivolte associate alla Gen Z (Madagascar, Nepal, Marocco, Indonesia, Tanzania, Perù, ecc.) sembrano indicare che stia crescendo la consapevolezza su quanto si sia tutti anestetizzati, tenuti al caldo dentro placente tecnologiche, alimentati attraverso acquari-mondo dalle pareti trasparenti ma dure e insuperabili. E se la rottura con questo mondo irreale e lontano dalla realtà delle persone avvenisse proprio attraverso l'appropriazione delle tecnologie di IA? Potrebbe essere (ancora) possibile? Con o senza IA una scelta va fatta: lo richiede l'aumento della disuguaglianza ma anche la situazione climatica e ambientale, oltre che la fase attuale di crisi del capitalismo, diventato tecnocapitalismo in azione per uccidere la democrazia e dare tutto il potere a poche oligarchie di "tecnotitani" o "tecnomonarchi".
Giorgio Griziotti: Le rivolte della Gen Z - termine che ho usato nel saggio come semplice etichetta descrittiva, consapevole del suo carattere mediatico e non come nome di un soggetto politico omogeneo - non sono rivolte "contro" la tecnologia in senso luddista, ma esprimono una consapevolezza diffusa: il sistema non funziona più, le promesse sono vuote, la catastrofe è già qui.
La riappropriazione delle tecnologie di IA è possibile, ma non sarà facile né pacifica. Non si tratta di "umanizzare" l'IA o di renderla "etica" attraverso regolamentazioni dall'alto. Si tratta di costruire infrastrutture tecnologiche alternative, controllate dal basso, orientate a finalità comuni e non alla valorizzazione capitalista.
Esistono già sperimentazioni in questa direzione: modelli di IA open source, cooperative digitali, pratiche di data commons, forme di automazione orientate alla riduzione del tempo di lavoro anziché all'espulsione di lavoratori. Ma queste pratiche restano marginali, mentre le Big Tech consolidano il loro monopolio.
La scelta è ineludibile, come dici. Ma non può essere solo una scelta "etica" o "politica" nel senso tradizionale. Deve essere una scelta onto-politica: quale mondo vogliamo produrre? Quali apparati vogliamo costruire? Quali tagli agenziali vogliamo praticare?
La crisi climatica, il regime di guerra che ci viene imposto, il collasso della democrazia liberale non lasciano tempo per gradualismi. O si costruiscono adesso forme di organizzazione capaci di contrastare il tecnofascismo, o la spirale accelererà verso configurazioni sempre più autoritarie e distopiche.
La scommessa è che proprio la Tecnologia Mondo, nella sua fragilità sistemica, nelle sue dipendenze infrastrutturali, nelle sue contraddizioni interne, offra punti di leva per pratiche di sabotaggio, sottrazione, riappropriazione. Non dall'esterno, ma attraversando e trasformando gli apparati stessi che ci costituiscono.
Come negli entanglement quantistici, dove stati distanti si influenzano istantaneamente, emerge una connettività che sfugge alle logiche deterministiche del controllo centralizzato. L'intelligenza artificiale, in questo senso, è uno dei campi di battaglia su cui si gioca la possibilità di reindirizzare il tempo storico. Prima che sia troppo tardi.