Cosa significa, in fondo, fare bene le cose?
Non è questione di sola buona volontà, né di impegno generico. Fare bene è altro: è attenzione, è cura, è il risultato di un metodo.
È una forma di rispetto. Verso il lavoro, verso chi ne sarà toccato, e verso sé stessi.
Il confine tra il fare bene e l’agire a caso — sperando che le cose vadano comunque a posto — è sottile.
E tende ad assottigliarsi ulteriormente quando ci si muove in contesti incerti, dove mancano obiettivi chiari, tempi realistici, risorse adeguate.
Per chiarire: è come se ti chiedessero di scalare una montagna. Ma non ti dicono quale, non ti indicano da dove partire, non ti concedono tempo sufficiente, e ti mettono in mano strumenti sbagliati. Ecco la metafora: la “montagna” è il compito da svolgere, il progetto da portare a termine.
Se manca la chiarezza su quale sia l’obiettivo, se gli strumenti sono inadeguati e il tempo insufficiente, ogni sforzo è destinato a fallire — non per mancanza di volontà, ma per carenza di condizioni.
In casi come questi, la domanda sorge spontanea:
“Siamo sicuri di voler arrivare nello stesso posto?”
Il metodo non è un dettaglio: una lezione dai briefing militari
Nel mondo militare, la vaghezza è pericolosa. Un briefing non è una formalità, ma uno strumento indispensabile per il successo di una missione.
Serve a chiarire, senza ambiguità, cinque domande fondamentali: cosa, dove, quando, come, e perché.
In ambienti ad alta pressione, come l’aeronautica, la sintesi non è una scelta di stile: è una necessità operativa. Il tempo è limitato, le decisioni devono essere rapide, e ogni errore può avere conseguenze gravi.
Un buon briefing comunica solo ciò che è necessario, con ordine e precisione. Nulla di più.
Nel mondo del lavoro — dove non si rischia la vita, ma spesso si rischia di perdere la direzione — questo rigore può sembrare eccessivo.
Eppure, da quella disciplina possiamo trarre una lezione essenziale:
fare bene le cose non significa adottare un pensiero militare, ma riconoscere che la chiarezza è un atto etico, e la concisione è una forma di rispetto per l’intelligenza e il tempo degli altri.
Ho visto progetti fallire non per colpa delle persone coinvolte, ma perché erano partiti male:
senza obiettivi condivisi, con strumenti sbagliati, con tempi assurdi.
E qui torno alla metafora della montagna: se ti assegnano la vetta sbagliata, ti danno scarpe inadatte e pretendono che tu arrivi in cima prima che sorga il sole, il fallimento non è solo possibile — è inevitabile.
Per questo, fare bene, pur non garantendo il successo, è sempre l’unico inizio che meriti rispetto.
Quando il metodo non basta: l’ombra che ci accompagna
Ma anche il metodo più preciso può fallire, se chi lo applica non ha fatto pace con sé stesso.
Ciascuno di noi porta con sé un’ombra: un insieme di esperienze non elaborate, dolori rimossi, insicurezze che affiorano proprio quando avremmo bisogno di lucidità.
Questa ombra è spesso invisibile, ma agisce.
Può sabotare il nostro agire, impedirci di decidere, farci dubitare nel momento cruciale.
Eppure, in essa risiedono anche intuizioni profonde, verità taciute, parti autentiche di noi.
Ci raccontiamo con fotografie: un successo, un traguardo raggiunto, un momento felice. Ma la vita vera non è fatta di immagini statiche, bensì di movimento continuo, trasformazione, contraddizione.
Fare bene significa anche questo: riconoscere che non possiamo compiere un gesto giusto, se lo facciamo contro la nostra verità interiore.
Accogliere l’ombra non è cedere al buio, ma riconoscerne la presenza e farne materia di consapevolezza.
Solo così il dolore può diventare compagno.
Solo così l’incertezza può smettere di bloccarci e diventare ricerca.
Due letture per orientarsi
Per chi vuole approfondire questi temi — il prendere decisioni in contesti complessi, l’ascolto profondo di sé — consiglio due testi che si parlano in modo silenzioso ma efficace:
– Annie Duke, Thinking in Bets: Making Smarter Decisions When You Don’t Have All the Facts
Un saggio brillante su come scegliere meglio, anche quando le informazioni sono parziali e il rischio è inevitabile.
– Roberto Morelli, Incontra la tua ombra (Sperling & Kupfer, 2023)
Un percorso pratico e riflessivo di shadow work, per chi vuole integrare le proprie zone d’ombra e trasformarle in forza vitale.
Fare bene le cose è un gesto complesso.
Richiede chiarezza di scopo, rigore metodologico, ma anche ascolto profondo.
È insieme un atto tecnico e un percorso umano.
È partire con consapevolezza, sapendo che il terreno sarà irregolare.
È dirsi: “Non posso controllare tutto, ma posso scegliere come cominciare.” E questo, forse, è già mezza strada percorsa.