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Chi è l'autore? Molto è stato scritto a proposito di ciò che può essere detto, pensato e accettato come definizione dell'autore. Più che proporre rassegne di ciò che hanno scritto a proposito dell''autore' autori ai quali attribuiamo la patente di grandi autori, mi pare opportuno che ognuno si sbilanci verso il dire chi è secondo lui l'autore. E ancor più opportuno mi pare invitare ognuno a scoprire in sé l'autore.
Un passo importante in questa direzione consiste nel criticare autori -come Italo C.- la cui autorità si dà di solito per scontata

Il giorno in cui fondò la FictFact Corporation, Italo C. si concesse, alla sera, un daiquirí. E si beccò gli sfottò di quegli stessi sodali la cui piaggeria alimentava la sua vanagloria. “Ma come, proprio tu che ti vergogni di essere nato a Santiago de las Vegas celebri la tua nuova vita di imprenditore con una bevanda tipicamente cubana”.

Dove doveva portarlo questa nuova vita, nessuno allora lo sapeva. Forse nemmeno lo stesso Italo C., così restio, del resto, a mostrasi, non solo a finanziatori, clienti, fornitori, ispettori del fisco, ma anche alle amanti nei momenti di abbandono.

Ma ora a noi, duecent'anni dopo quel giorno, risulta tutto più chiaro. Il mistero di Italo C., autore e poi imprenditore di planetaria fortuna, è svelato. Fu un imboscato prima che un partigiano, fu un raccomandato, uno snob scalpitante e rampante, un romanziere corrivo, un critico risentito, un editore con tendenze censorie.

Nel mentre godeva di una certa notorietà, era consapevole di quanto vacillante fosse la sua ispirazione. Ed ecco apparire nel 1972 Le città invisibili, romanzo che due anni dopo sarà finalista alla XXIIIa edizione dell'importantissimo Premio Pozzale per la letteratura. Un'opera meccanica, algida, brutta copia dei giochi oulipiens di Queneau e Perec. Eppure c'era un fascino segreto in quell'opera. Di quel fascino, oggi conosciamo la ragione: l'autore non è Italo C., ma una macchina.

Qui sta la segreta origine della FictFact Corp.: quattro discreti algoritmi e un software di tipo neuro-fuzzy sottratti con blandizie a un hacker spiantato; un server con qualche centinaio di giga di memoria; un po' di ram.

Italo C., al momento di fondare l'impresa, sapeva quel faceva. Prima, per lunghi anni, aveva sfruttato quella stessa attrezzatura per 'scrivere' i romanzi che pubblicava a suo nome. Così, ora lo sappiamo, nacquero non solo Le città, ma anche Il castello dei destini incrociati e Se una notte d'inverno.

All'inizio sembrava, forse era, una fabbrichetta, un laboratorio alla buona. Ma presto il progetto si rivelò in tutta la sua ambizione, e il business decollò. Si trattava, né più né meno, di scrivere romanzi da vendere ai loro autori. Si caricavano sulla base dati i testi che l'autore-cliente aveva scritto in gioventù, in quei felici e sognanti anni stendhaliani che perfino il cinico Italo C. confessava di aver vissuto. Poi il software lavorava.

Fu, come si sa, una impresa di enorme successo. Coprì d'oro il fondatore, ma soprattutto lo liberò dalla vergogna. Tutti i romanzi ormai uscivano dalla Fict Fact; e tutti erano livellati in basso, ricondotti ad uno standard di qualità che aveva un primo obiettivo: non far sfigurare i romanzi ed i racconti di Italo C..

Infatti, come è stato dimostrato, il software non lavorava in realtà sui materiali dell'autore, ma -ben taroccato- lavorava su una soglia, una zona d'ombra dove i testi dell'autore-cliente si mischiavano con i testi di Italo C.. Cosicché la letteratura stessa venne ad essere una enorme glossa, una infinita serie di varianti all'opera del nativo di Santiago de las Vegas.

Accadde così che la FictFact Corp. distrusse la letteratura, e permise a cani e porci di considerarsi -in forza di una facile meccanica- scrittori.

Di qui, come si sa, il movimento letterario dei Cani & Porci. Scrittori che pur consapevoli della propria pochezza, e anzi rivendicandola, scandalosamente si rifiutarono di usare macchine FictFact (nonostante il loro uso fosse nel frattempo divenuto obbligatorio per legge). Perché, sostenevano, l'estetica dell'imitazione, della conformità al modello, della regola, del puro e vano lavoro combinatorio è una fuga lontano da sé stessi.

Nota

Fiction Factory: testo che scrissi un po' di anni fa, come mio contributo ad un libro a più mani.1 Lo pubblico qui così come l'avevo scritto prima che fosse rifuso dal curatore dell'opera in modo adatto al testo collettivo.

Prima di passare a dire di ciò che qui mi interessa: la figura dell'autore, mi sembra opportuno dire del perché prendo ad esempio di 'autore fasullo' il noto scrittore Italo C.

Innanzitutto, una premessa: provo un grande rispetto per tutti coloro che lo considerano un maestro: ognuno di noi si nutre di opere lette in anni giovanili, opere che ci hanno formato. Rinnegarle, rinnegare il loro autore, sarebbe rinnegare noi stessi.

Eppure Italo C. resta per me il deprecabile esempio dell'autore che non dice nulla di nuovo, autore che costruisce la propria fama sul luogo comune, sull'imitazione. Credo si possano salvare solo alcune opere giovanili. Tutta la produzione del Calvino più noto non è che una rimasticatura di lavori svolti meglio da Borges, o da Perec o da Queneau. Opere scritte da una macchina, insomma, uscite dalla FictFact.

Mi spiace che tanti lettori e tanti critici piglino queste opere per originali: è comodo studiare opere così meccaniche: come i filologi che invece di esprimere una opinione sulla genesi di un testo si nascondono dietro l'accanita ricostruzione del sistema delle varianti, qui il critico ha buon gioco nel ragionare sul meccanismo, perdendo di vista sia l'operazione che l'autore. E il lettore ha buon gioco nel pensare di aver letto un'opera raffinatissima, quando invece non è che un freddo gioco di citazioni, privo di qualsiasi originalità, ben adagiate nel Mainstream, il grande fiume delle opere considerate degne di stampa e di recensione e di elogio e di chiacchiera letteraria.

Da simili autori nascono opere scolastiche, imitazioni chiuse dentro uno stile già codificato. Questa produzione e diffusione di Narrazioni Clonate avviene, tipicamente, per mezzo di quella pessima cosa che sono le Scuole di Scrittura Creativa. Ed oggi anche, come prefiguravo in questo scritto, tramite FictFact, ovvero, detto con parole di moda nei giorni che scrivo (parole che forse già tra qualche anno parranno obsolete, antiquate, vuote) per via delle meravigliose capacità che entusiasti neofiti attribuiscono alle cosiddette 'intelligenze artificiali generative'.

Gli anno passati da quando scrissi della FictFac, per la precisione, sono diciassette. Il chiedersi allora se una macchina avrebbe potuto scrivere un romanzo poteva forse sembrare una stramberia. Oggi si tende a dare la cosa per scontata.

Si fa infatti oggi un gran parlare di come la presenza di macchine-che-scrivono-romanzi cambi il modo di intendere la figura dell'autore. Ma in tutti i pomposi articoli e saggi che trattano oggi l'argomento -morte dell'autore, ultima parola scritta dagli umani, e simili fregnacce- non c'è proprio nulla di nuovo. Dietro il testo scritto dalla macchina c'è sempre un autore umano che cerca, usando per questo una macchina, il facile successo, o magari una comoda surroga alla mancanza di ispirazione, di cose da dire, di coraggio di scendere in campo.

Esalto forse, col dire questo, una astratta figura dell'autore? Cado forse nel vieto romanticismo? Chi è l'autore, in fondo?

L'autore è una figura convenzionale che si è manifestata in modi via via diversi, nel corso della storia della produzione artistica, e più nello specifico nel corso della storia della 'letteratura scritta'.

Ogni 'autore' interviene su una letteratura preesistente, aggiunge qualcosa, rielabora, rimaneggia. Anche lì dove magari si illude di aver scritto qualcosa di nuovo, è senza saperlo ritornato in luoghi già vistati. Temi già trattati. Parole già usate. Usa materiali 'tradizionali': “ Tradizione (...) è la trasmissione di conoscenze e pratiche di interessi sociale o collettivi (...) fatta in tutto o in gran parte oralmente, dai vecchi ai giovani, di generazione in generazione”,2 scriveva Ramón Menéndez Pidal.

L'eventuale valore artistico, poetico, dell'opera, infatti, come ci hanno mostrato i formalisti, sta nell'opera – nel risultato del lavoro. Non nel materiale usato, né tanto meno nella mente dell'autore.

Sostengo quindi l'idea di un'autore 'debole', un autore consapevole del fatto di essere niente di più di un rimaneggiatore.

Eppure penso che una persona, nel momento in cui si accinge a scrivere -proprio perché consapevole della difficoltà, forse dell'impossibilità, di dire qualcosa di nuovo- dovrebbe sfidare se stesso, cercando di portare alla luce il valore aggiunto, sia pur minimo, che può nascere dal suo pensiero. E vorrei che ogni lettore sapesse cogliere la cifra di originalità di un autore, apprezzasse gli autori che mostrano qualche sia pur lieve differenza.

Il mio testo che forse avete appena letto parla di questo.

1 Marco Minghetti & The Living Mutants Society, Le Aziende In-Visibili, con 190 immagini di Luigi Serafini, Scheiwiller, 2008.

2 Ramón Menéndez Pidal, Poesía juglaresca y orígenes de las literaturas románicas, Madrid, 1957, p. 364. (Sesta ed ultima ed. di Poesía juglaresca y juglares, Madrid, 1924).

Pubblicato il 14 novembre 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

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