Questo è il mondo in cui viviamo. Un mondo dove una "ditta di servizi web" statunitense decide cosa si può dire e cosa no, dove la critica documentata viene silenziata con un click, dove il pensiero critico viene soffocato dall'algoritmo. Come ai tempi che Leonardo Sciascia raccontava, quando la mafia decideva chi poteva parlare e chi doveva tacere. Solo che oggi la mafia ha cambiato nome e metodi: si nasconde dietro le piattaforme digitali, si chiama censura preventiva, si chiama controllo del discorso pubblico.
Il post che ho scritto parlava di fatti. Fatti documentati da una delle più importanti sociologhe viventi, Eva Illouz, che nel suo libro descrive l'emergere di quello che lei stessa definisce un "fascismo ebraico" incarnato da figure come Itamar Ben Gvir, oggi Ministro della Sicurezza Nazionale israeliana. Illouz, ebrea, israeliana, docente all'Università Ebraica di Gerusalemme, analizza come Netanyahu abbia trasformato il suo paese in "un pioniere del modello di purezza etnica" che ispira i leader populisti di tutto il mondo.
si può ancora citare un libro, un autore, riportare citazioni delle loro parole, senza essere censurati dall'algoritmo delle piattaforme?
Ma evidentemente citare un libro, riportare le parole di una studiosa israeliana, costituisce oggi un crimine di pensiero. Evidentemente questo social americano ha deciso che certe verità non devono circolare, che certi libri non devono essere promossi, che certe idee non devono essere discusse. La stessa Eva Illouz che può scrivere e pubblicare le sue analisi in Israele, non può essere citata su certe piattaforme senza conseguenze per chi osa farlo.
Non sono il solo. Moshe Zuckermann, sociologo israelo-tedesco e professore emerito dell'Università di Tel Aviv, ha subito analoghi attacchi per aver affermato che "Israele è diventato sempre più fascista, più razzista, è diventato uno Stato di apartheid". Il governo tedesco lo ha ufficialmente definito "antisemita" - un ebreo israeliano accusato di antisemitismo per aver criticato le politiche del suo paese. L'assurdo è diventato norma, il paradosso è diventato metodo di controllo.
Anche Gideon Levy, giornalista veterano di Haaretz, viene sistematicamente attaccato per i suoi reportage dai territori occupati, per i suoi libri come "The Punishment of Gaza" che documentano quello che lui definisce il "declino verso il fascismo" di Israele. Tre intellettuali ebrei israeliani, tre voci che parlano dall'interno, tre testimoni scomodi che vengono silenziati o delegittimati.
Va detto, per onestà intellettuale, che non tutti i cittadini israeliani sono Netanyahu, non tutti sono criminali di guerra, non tutti sostengono le politiche di genocidio. Ma è altrettanto lecito pensare che in Israele, come ovunque esistano regimi autoritari, le cose vengano raccontate in modo manipolatorio, che l'informazione venga filtrata e distorta per mantenere il consenso. È lo stesso meccanismo che vediamo operare sui social americani: si controlla la narrazione controllando l'informazione, si manipola il pensiero manipolando i dati. Come queste piattaforme chiudono improvvisamente gli account di chi gli pare e piace, così in Israele si costruisce una realtà parallela dove l'oppressore si presenta come vittima e l'aggressore come aggredito.
Eppure, anche ammettendo questa manipolazione dell'informazione, rimane inspiegabile come sia possibile che nello stesso momento in cui a Gaza muoiono di fame bambini innocenti sotto le bombe, ai confini della Striscia si sia sviluppato un macabro turismo bellico. Reportage giornalistici hanno documentato come israeliani paghino tra i 150 e gli 800 dollari per tour organizzati che li portano sulle colline di Sderot, armati di binocoli e sedie pieghevoli, per osservare da vicino i bombardamenti su Gaza¹. Operatori turistici pubblicizzano su TripAdvisor questi "Tour del patrimonio e dell'eroismo al confine di Gaza" dove i partecipanti possono assistere in diretta alle esplosioni, esprimendo "sentimenti di vendetta o giustizia" mentre guardano la distruzione di case e ospedali². È il "turismo dell'orrore", dove la sofferenza umana diventa spettacolo a pagamento, dove la morte di innocenti si trasforma in intrattenimento per spettatori che applaudono dalle tribune dell'odio.
Il meccanismo è sempre lo stesso: chi critica le politiche israeliane viene automaticamente etichettato come antisemita, indipendentemente dalla sua origine, dalla sua religione, dalla sua nazionalità. È un ricatto morale perfetto, una trappola intellettuale che rende immune da critica uno stato che i suoi stessi cittadini descrivono come autoritario e razzista. È il nuovo maccartismo, dove al posto dei comunisti ci sono i critici di Israele.
Particolarmente doloroso è assistere al comportamento di alcuni ebrei italiani che, richiamando la memoria dell'Olocausto, oggi giustificano quello che Eva Illouz stessa non esita a definire un sistema di oppressione sistematica dei palestinesi. È il rovesciamento perfetto della memoria: chi discende dalle vittime del genocidio nazista che diventa apologeta di politiche che i più lucidi intellettuali israeliani definiscono genocide. Come se la sofferenza subita desse licenza di infliggere sofferenza, come se la persecuzione vissuta autorizzasse la persecuzione di altri.
La stessa Illouz, nel suo lavoro, analizza questa perversione della memoria storica: "la memoria dell'Olocausto in Israele viene usata in modo teleologico rispetto al sionismo, nel senso di dire che il sionismo è la risposta all'Olocausto". Un utilizzo strumentale che tradisce la memoria stessa delle vittime, trasformando il "mai più" in un "mai più a noi, ma agli altri sì". È il tradimento più profondo della lezione di Auschwitz: dalla sofferenza dovrebbe nascere compassione, non indifferenza verso la sofferenza altrui.
Ma c'è qualcosa di più profondo in questa censura sistematica. Qualcosa che riguarda il ruolo degli Stati Uniti e del loro avamposto mediorientale nella strategia di dominio globale. Perché dalla nascita dell'egemonia americana, il mondo ha assistito a un'escalation di conflitti senza precedenti nella storia umana. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti non hanno vissuto un singolo anno senza essere coinvolti in operazioni militari. Oltre 250 conflitti armati, interventi diretti in 84 paesi, milioni di morti civili.
Israele è l'estensione militare e politica degli Stati Uniti nel cuore del Medio Oriente. Non è un alleato: è una succursale armata dell'impero americano. 38 miliardi di dollari garantiti in aiuti militari, oltre 260 miliardi dal 1948, tecnologie militari avanzate, copertura diplomatica sistematica all'ONU. Tutto questo per mantenere il controllo dell'area più strategica del pianeta per le risorse energetiche.
La devastazione è sistematica: Iraq ridotto da paese sviluppato a stato fallito, Libia annientata dall'intervento NATO, Siria devastata da una guerra per procura, Libano costantemente destabilizzato, Yemen distrutto dalla guerra saudita sostenuta militarmente dagli USA, Iran sottoposto a sanzioni che costituiscono una forma di guerra economica. Ogni paese che ha tentato di sottrarsi all'egemonia americana è stato distrutto o messo sotto assedio.
Paradossalmente, le critiche più lucide a questa strategia imperialista provengono proprio da intellettuali israeliani che denunciano il ruolo del loro paese come strumento dell'egemonia americana.
Eva Illouz, nel suo libro "Emozioni antidemocratiche. L'esempio di Israele" (2024)¹, analizza come Netanyahu abbia trasformato Israele in "un pioniere del modello di purezza etnica" che serve da modello per i leader populisti mondiali sostenuti dagli Stati Uniti. Illouz descrive l'emergere di quello che definisce un "fascismo ebraico" che opera come avamposto dell'imperialismo occidentale.
Moshe Zuckermann, nel suo "Il destino di Israele. Come il sionismo porta avanti il proprio declino" (titolo originale tedesco: "Israels Schicksal. Wie der Zionismus seinen Untergang betreibt")², afferma senza mezzi termini: "Israele è diventato sempre più fascista, più razzista, è diventato uno Stato di apartheid" funzionale agli interessi geopolitici americani nella regione.
Gideon Levy, nel suo "The Punishment of Gaza" (2010)³, documenta come le politiche israeliane rappresentino l'estensione diretta della strategia americana di controllo attraverso la devastazione sistematica dei popoli resistenti. Levy descrive Israele come un "regime razzista" che implementa le direttive imperialiste americane.
E ora l'escalation verso l'Iran rischia di trascinare il mondo in un conflitto globale. Un attacco all'Iran coinvolgerebbe Russia e Cina, provocherebbe la chiusura dello Stretto di Hormuz, scatenerebbe una guerra regionale dalle conseguenze imprevedibili. Ma evidentemente per l'impero americano e il suo avamposto israeliano, questo rischio è accettabile pur di mantenere l'egemonia.
La strategia geopolitica americana rivela una logica di controllo energetico: destabilizzare le regioni ricche di risorse per costringere l'Europa ad acquistare gas dagli Stati Uniti. Per realizzare questo disegno, Washington corteggia leader europei spesso privi di esperienza significativa in politica internazionale, figure cresciute in contesti ideologici marginali e improvvisamente catapultate a gestire crisi geopolitiche complesse. Questi dirigenti, facilmente influenzabili da promesse di prestigio internazionale, si trovano spesso a implementare politiche che servono gli interessi americani piuttosto che quelli dei propri paesi.
Di fronte a tutto questo, le piattaforme digitali censurano chi cita libri scomodi. Le multinazionali americane che controllano il discorso pubblico globale decidono che certi argomenti non devono essere discussi. Non importa che si tratti di libri pubblicati regolarmente, di studiosi riconosciuti, di analisi documentate. L'importante è mantenere il silenzio, preservare la narrazione ufficiale, impedire che la verità circoli liberamente.
Ogni guerra americana viene presentata come "intervento umanitario" per proteggere popolazioni oppresse, "lotta al terrorismo" per la sicurezza globale, "esportazione della democrazia" per la libertà dei popoli. La realtà dei fatti dimostra sistematicamente il contrario: ogni intervento americano ha peggiorato le condizioni di vita delle popolazioni "liberate".
Ma la preparazione del consenso non avviene solo attraverso i media tradizionali. Hollywood rappresenta forse il più sofisticato strumento di propaganda mai concepito, capace di raggiungere miliardi di persone attraverso l'intrattenimento. L'industria cinematografica americana ha sistematicamente costruito un immaginario bellico dove gli Stati Uniti sono sempre dalla parte giusta, i loro soldati sempre eroici e invincibili, mentre i nemici sono invariabilmente rappresentati con stereotipi razziali degradanti.
È difficile non provare una sensazione di disgusto mista ad amarezza di fronte alla rappresentazione palesemente artefatta di certi film americani: super eroi della CIA o militari USA sempre intelligentissimi e preparatissimi, che non muoiono mai nonostante decine di kalashnikov sparino contro di loro, mentre l'eroe americano con una pistola da 15 colpi spara ininterrottamente per cinquanta minuti eliminando tutti i "cattivi" - ora mediorientali, ora di fattezze latino-americane, sempre caratterizzati secondo gli stereotipi funzionali alle guerre del momento.
Avendo lavorato per diversi anni accanto a militari americani, posso testimoniare che la realtà è drammaticamente diversa dalla finzione hollywoodiana. La preparazione culturale media del personale militare statunitense è, mi dispiace dirlo, poco superiore a quella di un partecipante ai reality televisivi dove individui privi di qualsiasi competenza vengono celebrati per la loro ignoranza. Il contrasto tra l'immagine cinematografica del soldato americano super-addestrato e la realtà di uomini spesso culturalmente limitati, guidati da una propaganda che li convince della propria superiorità morale, è straniante.
Già allora, da militare, non mi fidavo degli americani e delle loro presunte capacità di difendere noi "alleati", né sul campo né in generale. La crisi di Sigonella del 1985, quando i militari della Delta Force americana circondarono con le armi in pugno i carabinieri e gli avieri italiani che stavano arrestando i terroristi dell'Achille Lauro su territorio italiano, pretendendo la consegna dei prigionieri alle autorità statunitensi, dovrebbe essere sufficiente a chiarire di che pasta sono fatti i nostri "protettori"⁴. Figurarsi ora, con la consapevolezza acquisita attraverso anni di analisi geopolitica: l'idea che gli Stati Uniti possano rappresentare una garanzia di sicurezza per l'Europa appare sempre più come una pericolosa illusione. La realtà è che siamo sudditi travestiti da alleati, con la nostra sicurezza subordinata agli interessi americani del momento.
Questa propaganda cinematografica non è casuale: prepara psicologicamente le masse ad accettare le guerre reali, costruisce il nemico ideologico prima ancora che quello militare entri in azione, abitua il pubblico globale a vedere come normale e giusto l'interventismo americano. Quando poi scoppiano i conflitti veri, l'opinione pubblica è già stata condizionata a riconoscere gli "eroi" e i "cattivi" secondo copioni già assimilati attraverso decenni di indottrinamento cinematografico.
Come già osservava Sciascia nei suoi racconti, la mafia siciliana legittimava il proprio operato presentandosi come sostituto efficace di uno Stato inefficiente e inaffidabile. Allo stesso modo, l'impero americano giustifica la propria egemonia globale spacciandosi per garante di un ordine internazionale che, senza la sua presenza, cadrebbe nel caos. Le piattaforme digitali utilizzano la medesima retorica: si presentano come guardiani necessari contro la "disinformazione", mentre in realtà decidono arbitrariamente cosa è vero e cosa è falso, chi può parlare e chi deve tacere.
È la stessa logica che Sciascia denunciava quando raccontava di come la mafia controllasse il territorio attraverso il silenzio e l'omertà. Solo che oggi il territorio è globale, la mafia si chiama Big Tech, e l'omertà è algoritmica. Non servono più le intimidazioni fisiche: basta un account bloccato, un post cancellato, un'ombra virtuale calata su chi osa pensare liberamente.
Ma la verità ha una forza propria. I libri di Illouz, Zuckermann e Levy continuano a circolare, le loro analisi continuano a essere lette e discusse. La censura delle piattaforme non può fermare il pensiero critico, può solo rendere più evidente la sua natura totalitaria. Può solo dimostrare che quando si colpisce nel segno, quando si tocca il cuore del sistema, la reazione è immediata e sproporzionata.
Pubblicare questo articolo è un atto di resistenza. È dire che non ci faremo intimidire dalla censura, che continueremo a parlare di quello che non si dovrebbe dire, che continueremo a citare libri che non si dovrebbero leggere. È dire che la libertà di pensiero non si negozia, che la verità non si cancella con un algoritmo, che il coraggio intellettuale non si compra con i like o si vende per paura di un account bloccato.
La mafia del silenzio che oggi si nasconde dietro algoritmi e piattaforme digitali può bloccare i nostri account, ma non può bloccare la storia. E la storia, prima o poi, presenta sempre il conto.
Note bibliografiche
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Illouz, Eva, Emozioni antidemocratiche. L'esempio di Israele, Castelvecchi Editore, Roma 2024, Collana "Eliche", pp. 212, ISBN: 978-88-6826-715-5. Edizione originale: Émotions antidémocratiques, co-autrice Avital Sicron.
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Zuckermann, Moshe, Israels Schicksal. Wie der Zionismus seinen Untergang betreibt, Promedia Verlag, Vienna 2020, ISBN: 978-3-85371-474-1. Zuckermann è professore emerito di Storia e Filosofia all'Università di Tel Aviv e firmatario della "Dichiarazione di Gerusalemme" sull'antisemitismo.
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Levy, Gideon, The Punishment of Gaza, Verso Books, London 2010, ISBN: 978-1-84467-417-2. Levy è giornalista e columnist del quotidiano israeliano Haaretz e membro del suo consiglio editoriale dal 1982. Tra le altre opere: Twilight Zone - Life and Death under the Israeli Occupation 1988–2003, 2004.
Fonti sui tour bellici ai confini di Gaza
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"Il turismo dell'orrore ai confini di Gaza, la guerra diventa spettacolo", Eco Internazionale, maggio 2025. Reportage basato sul lavoro della giornalista Laura Escudero di Cuatro TV España, gennaio 2025.
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"Il macabro turismo del dolore intorno a Gaza", RSI (Radiotelevisione Svizzera), aprile 2025. Documentazione di tour pubblicizzati su TripAdvisor e siti come Abraham Tours, con prezzi tra 150 e 800 franchi svizzeri.
Riferimenti storici
- Crisi di Sigonella, 11 ottobre 1985: Episodio documentato in cui militari americani della Delta Force circondarono con le armi militari italiani su territorio italiano, pretendendo la consegna dei terroristi palestinesi dell'Achille Lauro. Fonti: "Sigonella, 11 ottobre 1985: l'ultimo scampolo di sovranità nazionale" (Filodiritto.com); "Crisi di Sigonella" (Wikipedia); "Quella volta che a Sigonella Craxi rese l'Italia un Paese sovrano" (The Vision, 2021).