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Nel 1967 Barthes pubblica 'La mort de l'auteur' (“l'autore è morto”; “La nascita del lettore deve essere pagata con la morte dell'autore”. E Derrida pubblica 'De la grammatologie' (“non c'è niente al di fuori del testo”) . In quello stesso anno moriva Giacomo Debenedetti. Da quarant'anni -a partire dal saggio che, ventiquattrenne, nel 1925, dedicò a Proust- aveva indagato sul romanzo. Nel 1965 il suo pensiero trova sintesi nella sua “commemorazione provvisoria del personaggio-uomo”. Debenedetti mostra come l'autore non è per nulla morto: scrive faticosamente per conoscere sé stesso; scrive in qualche modo sempre la propria autobiografia: attraverso la scrittura, scrive per conoscere la propria malattia, la scrittura è la cura. L'autore non è per nulla morto: scrive faticosamente per conoscere sé stesso; scrive in qualche modo sempre la propria autobiografia: attraverso la scrittura, scrive per conoscere la propria malattia, la scrittura è la cura. Proprio da questa autoanalisi nasce la proposta rivolta al lettore, il patto tra autore e lettore. Debenedetti ci invita ad osservare come in ogni pagina, in ogni parola di Proust, Joyce, Kafka, l'autore è sempre presente. Ed in ogni pagina in ogni parola, aggiunge Debenedetti, l'autore ci dice: “si tratta anche di te”.

Guru americani, filosofi tech e imprenditori, tutti coloro il cui successo dipende dalla 'cosiddetta intelligenza artificiale', si arrabattano per sostenere, in un modo o nell'altro, che un testo scritto dalla macchina vale tanto quanto un testo scritto da un essere umano. O almeno: è indistinguibile dal testo scritto da un umano.

In cerca di argomenti a sostegno, ricorrono al pensiero europeo di mezzo secolo fa. (Sono abbastanza patetici i guru americani: così lanciati in apparenza verso il nuovo, così bisognosi di scolastiche legittimazioni europee).

Era il 1967: Barthes pubblica, prima in inglese che in francese, La mort de l'auteur; Derrida pubblica De la grammatologie. Si può anche dubitare che i nuovi guru abbiano davvero letto i due testi. Quello che è certo è che citano sempre poche frasi di comodo.

Barthes: “l'autore è morto”; “La nascita del lettore deve essere pagata con la morte dell'autore”.

Derrida: “non c'è niente al di fuori del testo”.

In quello stesso anno moriva Giacomo Debenedetti. Da quarant'anni -a partire dal saggio che, ventiquattrenne, nel 1925, dedicò a Proust, aveva indagato sul romanzo. Nel 1965 il suo pensiero trova sintesi nella sua “commemorazione provvisoria del personaggio-uomo”.

Al contrario di quello che credeva Barthes, la nascita del lettore non è “pagata con la morte dell'autore”.

Debenedetti ci invita ad osservare come in ogni pagina, in ogni parola di Proust, Joyce, Kafka, l'autore è sempre presente. E' proprio la faticosa vita dell'autore, rappresentata nel romanzo, a mostrarci come nascere; a mostrarci la via dell'autoanalisi, la via della ricerca della consapevolezza.

Dall'autoanalisi dell'autore nasce il patto tra autore e lettore. In ogni pagina, in ogni parola, l'autore ci dice: “si tratta anche di te”.

Marx, Husserl, la fisica delle particelle, Freud e in special modo Jung guidano Debenedetti nell'indagine sul romanzo.

“Chiamo personaggio-uomo quell’alter-ego, nemico o vicario, che in decine di migliaia di esemplari tutti diversi tra loro, ci viene incontro dai romanzi e adesso anche dai film”.

I personaggi sono proiezioni del mondo psicologico dell'autore: riflettono le sue ossessioni, i suoi desideri e le sue ansie ansie.

Questo diviene più evidente nel romanzo del Ventesimo Secolo Proust, Kafka, Hermann Broch, Svevo, Joyce...

L'autore non è per nulla morto: scrive faticosamente per conoscere sé stesso; scrive in qualche modo sempre la propria autobiografia: attraverso la scrittura, scrive per conoscere la propria malattia, la scrittura è la cura.

Proprio da questa autoanalisi nasce la proposta rivolta al lettore, il patto tra autore e lettore. Debenedetti ci invita ad osservare come in ogni pagina, in ogni parola di Proust, Joyce, Kafka, l'autore è sempre presente. Ed in ogni pagina in ogni parola, aggiunge Debenedetti, l'autore ci dice: “si tratta anche di te”.

Debenedetti, così, ci insegna a vedere il testo -articolato, animato in personaggi- come un riflesso del mondo interiore e delle complessità psicologiche dell'autore e di noi stessi che siamo leggendo.

Proust, Joyce, Kafka, Svevo: non sono morti, non sono assenti. Vivono nel testo e ci parlano – leggere è seguire l'invito dell'autore: leggendo, il lettore pensa in piena libertà a te stesso.

Al contrario di quello che credeva Barthes, la nascita del lettore non è “pagata con la morte dell'autore”. E' proprio la faticosa vita dell'autore, rappresentata nel romanzo, a mostrarci come nascere; a mostrarci la via dell'autoanalisi, la via della ricerca della consapevolezza.

Potete forse condividere solo in parte l'invito di Debenedetti a considerare l'autore sempre presente nel romanzo, in cerca di sé stesso. E siete cero liberi di non seguire l'invito a cercare in ogni pagina qualcosa di segreto e di non detto. Potrete essere disinteressati a questo modo di leggere all'insegna del motto “si tratta anche di te”.

Ma spero sarete d'accordo con me nel dire che, per fortuna, l'autore non è morto.

C'è anzi oggi un motivo di più, oggi, per chiedersi, di fronte ad ogni testo: chi è l'autore? Chiedendocelo, potremo scartare i testi scritti da macchine.

Pubblicato il 16 agosto 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

fvaranini@gmail.com https://www.stultiferanavis.it/gli-autori/francesco