C’è qualcosa di rivelatore nel fatto che l’umanità abbia impiegato così tanto tempo a mettere delle ruote sotto una valigia. La ruota esisteva già. La valigia anche. Ciò che non esisteva era la legittimità del problema tra coloro che avevano il potere di cambiarlo. Per secoli, chi viaggiava con peso non decideva le forme del mondo: lo subiva. Chi decideva, semplicemente non portava valigie. Aveva schiavi, facchini, personale, tempo, forza delegata. Il punto non era la possibilità tecnica. Era: a chi dava fastidio?
Le valigie senza ruote non sono durate così tanto perché erano necessarie. Sono durate perché il disagio non colpiva chi stava in cima alla catena decisionale.
Passiamo ad Internet. Fine anni '90. Il modem a 56k non era solo una limitazione tecnologica: era il punto d’equilibrio tra ciò che era possibile e ciò che era consentito. I centri di ricerca, le università e le strutture militari avevano già infrastrutture più veloci. Ma l’accesso di massa venne distribuito in modo graduale, filtrato, ritardato. Non per caso. Ma perché le grandi aziende delle telecomunicazioni, i governi e i regolatori avevano tutto l’interesse a rilasciare la potenza a dosi controllate. Non si trattava solo di tecnica. Si trattava di governance.
Eppure anche allora, anche mentre il modem emetteva i suoi striduli schiamazzi, ci sembrava magia. Perché intravedevamo la possibilità di attraversare confini che prima non esistevano. Solo dopo anni abbiamo chiamato “rozzo” ciò che allora ci sembrava miracoloso.
Con l’intelligenza artificiale sta forse succedendo qualcosa di ancora più evidente. I sistemi esistenti sono più potenti di quanto l’esperienza quotidiana lasci intuire. Ma il loro utilizzo è vincolato. Non solo da limiti tecnici, ma dalle scelte di chi possiede e controlla tre elementi chiave: calcolo, dati, interfacce.
Queste scelte non sono diffuse. Sono prese da soggetti precisi: grandi aziende tecnologiche, fondi di investimento, governi, apparati di sicurezza. Non operano in segreto. Operano alla luce del sole, dentro consigli di amministrazione, regolamenti, policy pubbliche. Non chiedono: “Cosa sarebbe meglio per gli esseri umani?”. Chiedono: “Cosa possiamo distribuire senza perdere controllo?”
Un’intelligenza artificiale davvero pienamente accessibile potrebbe forse significare potere diffuso, nel bene e nel male: compressione delle gerarchie, accelerazione delle competenze, riduzione delle asimmetrie, diffusione di distorsioni. E il potere, storicamente, non accelera spontaneamente processi che lo rendono meno necessario.
Per questo oggi siamo così eccitati e stupefatti, nonostante aspettiamo con pazienza che un’LLM finisca di “pensare” e generare parole o immagini. Per questo stiamo lì, in attesa, guardando il testo apparire parola per parola, e ci sembra magia. La macchina potrebbe essere più veloce? Probabilmente sì. Ma l’accesso alla velocità è una scelta politica ed economica, non solo tecnica.
Lo stesso schema delle valigie. Lo stesso schema del 56k.
La tecnologia non avanza quando è pronta. Avanza quando chi la controlla decide che il rilascio di potenza non è più pericoloso di quanto sia utile.
Non è un complotto. È una struttura.
E guardando indietro, tra qualche decennio, rideremo del fatto che chiamavamo “intelligenza artificiale avanzata” un sistema che ci faceva aspettare dieci minuti per una risposta.
Non perché fosse stupido.
Ma perché era il massimo che era stato deciso potessimo avere in quel momento.
La Storia non è la storia delle invenzioni o del progresso tecnologico.
È la storia delle decisioni su chi può usarle, quando e quanto.