Numerosi sono i filosofi che oggi sostengono che "prima di umiliare le macchine per esaltare noi stessi, dovremmo per lo meno assumere una postura più modesta".
Frequentissima è la posizione che sto descrivendo. La cito attraverso le parole precise di uno dei tanti suoi sostenitori. Il filosofo sostiene: “Siamo meno intelligenti, immaginanti o creativi di quello che crediamo. E per questo siamo anche molto più simili alle macchine d’IA di quel che crediamo”.
E subito precisa: “D’accordo, l’IA è stupida per natura, e secondo me non c’è ragione per credere diversamente. Ma siamo proprio sicuri di essere noi intelligenti?”. Argomentazione non certo nuova: la usava già Turing; che però subito ammetteva di considerare la constatazione della scarsa intelligenza umana -che del resto resta indimostrata- non sufficiente per affermare l'intelligenza delle macchine.
Il filosofo imperterrito guarda alla macchina. Nel mentre sottolinea i limiti umani, tradisce l'ansia di esaltare l'intelligenza della macchina. E dunque eccolo, nel mentre insiste sulle “stupidità umane”, proporre la sua definizione di 'intelligenza artificiale': “l’insieme delle teorie e delle tecniche messe in opera per realizzare delle macchine capaci di correggere o venire incontro ai limiti dell’intelligenza umana”.
Il sostituto del dio assente, la macchina, prende oggi il meraviglioso nome di Intelligenza Artificiale
Questi filosofi, abbagliati dalla presenza della macchina, orientati -più o meno consapevolmente- a spacciare merce filosofica di facile mercato nel tempo presente, non si avvedono di ripercorrere stancamente i passi di una delle più antiche questioni filosofiche. C'è infatti una questione che attraversa l'intera storia umana, ripresentandosi in ogni epoca - anche nell'epoca nostra dove la filosofia appare ormai succube delle 'scienze esatte' e della tecnica: la prova dell'esistenza di dio.
Sarebbe certo infatti più modesto, prima di esaltare noi stessi, accettare l'esistenza di dio. Dio esiste? Per restare in tempi moderni, cercavano la prova dell'esistenza di dio Galileo, Cartesio, Newton, Leibniz, ed anche Gödel.
Noi certo saremo stupidi. Ricordiamo che stupido deriva dal verbo stupire. Siamo capaci di stupirci. Forse anche in qualche modo capaci di cogliere il senso dello stupendo.
Ecco che illustri umani, lungo la storia, non cessano di interrogarsi sulla dignità dell'umano, e cercano quindi prove dell'esistenza di un ente superiore, o supremo, che non è stupido. Cercare l'esistenza di dio è in fondo un buon modo per ammettere la nostra stupidità.
Oggi non si cerca più Dio. Si cerca la macchina
Ma ciò che oggi accade è questo: non si cerca più dio, si cerca la macchina. Si sostituisce a dio la macchina. Laddove si evidenziava la stupidità umana nel confronto con dio, oggi si cerca di dimostrare la stupidità umana confrontando l'umano con la macchina.
Ecco una piccolo prova di questa oggi sempre più diffusa sostituzione: ho scritto finora dio in minuscolo, perché dubito della sua esistenza. Ma devo necessariamente scrivere il nome di Dio in maiuscolo, perché si scrive sempre in maiuscolo Intelligenza Artificiale.
Scrivere in maiuscolo Intelligenza Artificiale è tradire l'ansia di poter credere all'esistenza di un un ente superiore alla nostra pochezza.
Dietro a tanta scienza e tanta tecnica, dietro all'appello alla ragione ed all'affidamento alla logica resta questo bisogno di affidamento e di certezza. Ma oggi ci vergogniamo di affidarci a un ente chiamato Dio e ci affidiamo alla Macchina. Oggi auspichiamo un ente capace di “correggere o venire incontro ai limiti dell’intelligenza umana”, e lo chiamiamo Intelligenza Artificiale.
Si vuole esaltare la macchina al cospetto dell'umano. Si cercano per questo prove filosofiche della pochezza dell'umano.
Ci crogioliamo nel dire: 'sì, ma anche noi siamo stupidi, forse più stupidi di una macchina'; insistiamo in sottili distinguo per sminuire noi stessi, esseri umani; accusiamo noi stessi, umani, di antropocentrismo, e di scarso rispetto per l'esistenza delle cose; dichiariamo la pari esistenza di umani e cose.
Questo insegnano tanti filosofi oggi. Di fronte a tutto ciò, dovremmo prendere il coraggio e accettare di discutere la questione in questi termini: non stiamo forse sostituendo Dio con la Macchina?
Ora qui basta un accenno alla Madre di Tutte le Prove dell'Esistenza di Dio.
Anselmo, mille anni fa, sosteneva: 'la perfezione di Dio comporta inevitabilmente la sua esistenza'.
Si può ben sostenere che si tratta di un argomento circolare, che non ha quindi valore di prova.
Ma in base oggi allo stesso argomento circolare sosteniamo le virtù 'più che umane' dell'Intelligenza Artificiale.
Noi oggi -dico 'noi' perché siamo tutti responsabili di ciò che lasciamo dire ai filosofi, siamo responsabili di ciò che lasciamo fare ai tecnici- noi oggi ci facciamo in quattro per narrare la bellezza, l'efficacia, l'autonomia della macchina. La denominazione Intelligenza Artificiale -usata come termine ombrello per dire tutto quello che fa comodo- è la dimostrazione di come non vogliamo rinunciare a tenere insieme l'immagine della macchina salvifica alla realtà della macchina che c'è.
Chi siamo noi per pretendere una giustizia intellegibile per la nostra pochezza? Chi siamo noi per cercare un senso all'agire della nostra vita, così poco incisiva, di così breve durata?
Scolpito nella profondità del nostro essere sta il sogno di una rassicurazione sovrannaturale, di una custodia divina. Ci affideremmo volentieri a Dio se potessimo credere nella sua esistenza. E se vedessimo prove del suo agire nella storia, e qui ed ora. Non abbiamo motivi per credere in Dio, oggi, e tantomeno per affidarci a lui. Ecco che allora di affidiamo alla macchina.
Il sostituto del dio assente, la macchina, prende oggi il meraviglioso nome di Intelligenza Artificiale.
Attorno all'Intelligenza Artificiale, non a caso, solerti filosofi vanno affastellando narrazioni, e tentano di costruire miti. Inviti ad accettare la perenne presenza della macchina, a chiedere suggerimenti alla macchina, a cercare una 'co-evoluzione uomo-macchina'...
E' saggio vedere in questi tentativi l'invito ad una passiva accettazione di asservimento, di rinuncia alle possibilità implicite nel nostro essere.
Per dire di ciò che è implicito in queste narrazioni, basta tornare alla vile frase che ho citato all'inizio: "Prima di umiliare le macchine per esaltare noi stessi, dovremmo per lo meno assumere una postura più modesta".
Chi mai vuole esaltare sé stesso umiliando le povere macchine? L'accusa è, a ben vedere, ridicola. Sebbene il filosofo pretenda di bacchettare l'hybris dell'essere umano, l'enunciato tradisce la preferenza del filosofo: preferenza per la macchina a scapito dell'umano.
Da un filosofo, poi, potremmo aspettarci un uso abbastanza accurato delle parole.
Sembra quasi che chi ha scritto la frase non conosca il senso dell'umiltà. Le macchine, in realtà, non possono essere umiliate. Umile significa 'aderente alla terra'. I filosofi potranno dire tutto il bene possibile delle macchine, ma le macchine non potranno mai essere né umili né umiliate. Non appartengono infatti alla terra. Alla terra appartiene consapevolmente l'essere umano, cosciente dei propri limiti, eppure capace di volgere gli occhi al cielo.
I filosofi, che erano, e potrebbero essere, umani che continuamente insegnano agli umani ad essere sempre più pienamente umani, si sono venduti alla macchina.