In uno dei suoi primi racconti, quando lo scrittore statunitense dilettava se stesso e il pubblico con i racconti egli introduce uno dei Grandi Antichi in persona del criptico Nyarlathotep. Tracciando quella che si potrebbe definire la visionaria immagine degli ultimi giorni. Leggiamo dal testo di Lovecraft:
"Non ricordo quando tutto ebbe inizio, forse mesi fa. La tensione era al massimo, spaventosa: a un periodo di sconvolgimenti politici e sociali si aggiungeva la strana, indefinibile sensazione d'un orrendo pericolo fisico. Un pericolo enorme, che gravava su tutto, come lo si può concepire negli incubi più angosciosi. Ricordo che la gente andava in giro con facce pallide e preoccupate, bisbigliando avvertimenti o profezie che nessuno osava poi ripetere consapevolmente o soltanto ammettere di aver udito. La terra era oppressa da un mostruoso senso di colpa e dagli abissi fra le stelle soffiavano gelide correnti che facevano rabbrividire gli uomini nei luoghi bui e solitari. Il corso delle stagioni aveva subito un alterazione catastrofica: il tepore dell'autunno indugiava ad andarsene e sentivamo che il mondo, forse l'universo, si era sottratto al controllo degli dei o delle forze conosciute ed era passato sotto il dominio di entità inimmaginabili".
Gli ultimi giorni secondo Lovecraft erano caratterizzati da un profondo senso di smarrimento. Le persone si sentivano abbandonate. Svuotate. Vagavano fra le numerosi altre genti, loro simili, che popolavano affollati deserti di anime chiamate città. Luoghi vertiginosamente brulicanti di pensieri scomposti. Caotici. Le persone deambulano prede silenziose di rituali la cui pedissequa ripetizione si era sostituita alla vita comune.
Gesti artificiosi. Osservati con religiosa serialità, come parte del rituale di giorni avulsi al lume della ragione. Uomini che sembrano macchine arrugginite e devastate dall'obsolescenza.
In questo contesto seppur placida sopravvive una mente esteriore la violenza alberga nel ventre dell'umanità. Partorita nella paura. Coltivata nel terrore della solitudine. Dell'incomprensione più' innominata. Che a tutti appartiene e che trasforma l'individuo attraverso i bassi istinti dell'egoismo, utilitarismo, ipocrisia e invidia. Lovecraft osservava la razza umana nel suo deteriorarsi. Mentre il buio si avvicina. Gelido e sconosciuto. Un vortice inarrestabile. Prima dell'avvento del profeta dell'ultima era. Che precede il ritorno dei Grandi Antichi.
L'Autore scoperchia il fallimento della razza umana con vivido manierismo. Scarnificando ciò che sta sotto la carne. Dissacrandone il mallo, l'involucro esteriore. E lasciando che la bestia ora libera e depravata faccia il resto. Tutto si consuma negli ultimi giorni. Perché c'è smarrimento. Inquietudine. Tensione. Desideri di contrasto per elevare le masse, che si genuflettono all'altare di falsi profeti. Miti costruiti per irretire.
Tutto é ambiguità. Trasmuta camaleontica da un "dove" alla promessa di un "altroquando" che non arriverà mai. Le genti vivono l'aspettativa. E la proiezione del loro "Io" nel futuro immediato, sfuggente e apatico di razionalità. L'uomo e la bestia si fondono e nasce l'ibrido che pur se somiglia all'uomo rappresenta lo stadio ultimo della sua evoluzione. L'individuo incosciente. Colui che cerca di dare un senso alla propria ricerca. Un esistenziale urlo silenzioso che lo porta a sposare molte cause nella disperata speranza di trovare la pace interiore della rettitudine. Il senso di pienezza che trasmette un ideale attraverso il calore umano o la mano materna. Costui spera di saziare un appetito che non comprende perché ormai é alieno a se stesso. Egli é incomprensione. Cerca la pace ma fa la guerra. Vuole essere così giusto da sterminare tutto ciò che ai suoi occhi non é tale. Porta il conflitto in ogni cosa che tocca.
Intorno a noi, oggi, proliferano forse le avanguardie di questa visione profetica?
Osserviamo con noncuranza e finta partecipazione morale il suprematismo delle disparità. L'elogio alla convinzione che si possa convivere con le differenze. Ovunque dilaga il predominio della distrazione nella tolleranza alle iniquità. Dove capitali e diritti raccontano storie diverse. Dove molti soffrono per il poco di tanti. La concentrazione di una degenerazione costante che dilaga inarrestabile in ogni terra.
Siamo di fronte a un declino progressivo? Perseverante e insisto, che ogni cosa abbraccia? Ambiente, risorse, sovraffollamento, energia, società civile, guerra, diritti umani. Ognuna di queste narrazioni sembra spingere per unirsi in un gran finale. Disastroso per il protagonista.
Disperso e naufrago l'uomo abbandonato a se stesso smette di sognare e i suoi desideri diventano gli incubi della ragione.
Questo articolo è nato dalla lettura dell'articolo "Droni o non droni" di Carlo Mazzucchelli, l'Autore cita il grande H.P. Lovecraft individuando nelle sue opere quel buio che rappresenta il declino della razza umana.