Di questo ho parlato con l’autore, dialogando sui temi trattati nel suo libro. Un dialogo utile ad analizzare l’ascesa della nuova destra nel mondo globalizzato, anche in Occidente, e a riflettere su un paesaggio contemporaneo nel quale la politica sembra avere abdicato al suo ruolo e la democrazia della de-globalizzazione ridursi a post-democrazia e democratura. La gestione neo-totalitaria dei popoli, privati del loro potere (demos) e confinati entro muri (acquari-mondo) “tecnologici” è il fulcro della destra tecnocratica oggi emergente, attiva nel demolire la democrazia.
“Una nuova rivoluzione reazionaria sta cercando di ridisegnare in profondità il sistema politico, socio-economico e istituzionale delle nostre democrazie occidentali.” (Alessandro Mulieri)
CM - In tempi nei quali i filosofi sembrano più impegnati a dialogare e a costruire le loro carriere con l’intelligenza artificiale, fino a diventare semplici divulgatori pop e influencer, i tecno-guardiani del tecnocapitalismo in ascesa nel mondo, lei sembra rinunciare a essere succube dei nuovi sovrani digitali (e non solo), focalizzando la sua sensibilità filosofica e attenzione interrogante, da filosofo, sul futuro di noi tutti, come esseri umani, incarnati, co-abitanti (non solo nel senso di habeo, avere, ma anche di essere, di esistere) di spazi (non virtuali) e territori fisici multietnici per definizione. Può essere stato questo a motivare la scrittura del suo libro più recente, unitamente alla sentita necessità di praticare forme di cittadinanza che il nuovo ordine mondiale emergente vorrebbe limitare e controllare? Come ha fatto anche Donatella Di Cesare (Tecnofascismo), nel suo libro lei non si limita a parlare dei tecnomonarchi in circolazione, ma richiama l’attenzione su nuove forme di totalitarismo, definite come tecnofascismo, rese possibili dalla volontà di potenza delle “tecnolog-IA”. Può descrivere in che cosa consiste concretamente questo concetto, e come si differenzia dal fascismo storico? Non crede possa essere una semplice rielaborazione di tendenze già viste nella storia in forma di autoritarismo, regimi tecnocratici, controllo tecnologico, ecc.?
AM - Comune al tecnofascismo dei tecnomonarchi e ai fascismi storici (così come ad altre forme di autoritarismo) è un’opposizione radicale all’immaginario dell’eguaglianza e della democrazia liberale, insieme a un ritorno a forme di gerarchia e di diseguaglianza naturale. Ci sono due differenze importanti tra il tecnofascismo e i fascismi storici. La prima è che, mentre i fascismi storici scimmiottavano e riutilizzavano — seppure in modo caricaturale — i metodi sperimentali della scienza moderna, per esempio attraverso la pseudo-scienza delle razze, il tecnofascismo contemporaneo guarda invece alla “scienza” premoderna, fondata su una diseguaglianza naturale e quasi “ontologica”, come proprio principio ispiratore. La seconda differenza è che il livello di controllo e di sorveglianza di massa auspicato dai tecnofascisti e garantito dalle nuove tecnologie social non ha precedenti, persino rispetto ai totalitarismi fascisti storici (e quelli a sinistra). In questo senso, credo che il tecnofascismo sia sì una filosofia della società basata sul modo in cui nuove tecnologie e nuove logiche algoritmiche possano rendere possibili forme efficaci di diseguaglianza grazie a strumenti di sorveglianza collettiva mai sperimentati prima, ma sia anche e soprattutto una “tecnica” del potere, un nuovo modo di governare.
CM - In un libro del 2014 per me fondamentale, Il capitale nel XXI secolo, Thomas Piketty ha analizzato le dinamiche che guidano l’accumulo e la distribuzione del capitale, gli effetti derivanti, in termini di ineguaglianza e concentrazione della ricchezza, spiegando come il motore principale dell’ineguaglianza minaccia oggi di generare disuguaglianze (precarietà, povertà, perdita di lavoro, ecc.) tali da esasperare il malcontento e minare i valori democratici. Nel suo libro lei parla molto di disuguaglianza, associandola alla visione (tipica di un “fascismo eterno” come descritto da Umberto Eco) della destra attuale e alla sua filosofia dell’esistenza e della società reazionaria. Una filosofia fondata su una gerarchia naturale, spesso razzisticamente e geneticamente fondata, nella quale giocano un ruolo chiave le nuove tecnologie per la sorveglianza e il controllo sociale. Come vede il potenziale aumento di malcontento sociale diffuso in relazione a idee di una nuova destra che evoca trasformazioni sempre più elitiste e oligarchiche delle società democratiche? Non potrebbe essere proprio questo scarto a limitare le pretese di dominio delle nuove destre o a generare, come sempre succede in ogni sistema complesso, nuove tendenze capaci di far emergere una reazione democratica capace di fermarle?
AM - Sono convinto che i temi della diseguaglianza sociale ed economica siano fondamentali in questo senso e rappresentino la chiave di volta per comprendere come reagire alle idee dei tecnomonarchi. Un altro modo di guardare al modo in cui nuovi oligarchi come Peter Thiel e Curtis Yarvin presentano le proprie idee all’insegna della diseguaglianza naturale è sostenere che tali idee costituiscano in realtà una copertura ideologica — nel senso marxiano di ideologia come ribaltamento della struttura della società — delle stesse diseguaglianze sociali ed economiche che hanno permesso il proliferare dei tecno-oligarchi. È forse qui che possiamo trovare il vero e unico modo di reagire alla rivoluzione reazionaria degli ideologi tecnomonarchi: combattere la diseguaglianza sociale ed economica, ritornare a una lettura sociale ed economica delle dinamiche di classe.
CM - Il tecnofascismo che stiamo sperimentando e si insinua con zampe di velluto, è biopolitico, interessa la politica ma anche la soggettività, le nostre identità, le percezioni, ci ruba i nostri immaginari, la nostra “nuda” vita. Inaugura una stagione storica caratterizzata da noia, depressione, nostalgia, malessere psichico, dalla percezione della catastrofe imminente in arrivo, da impotenza e spaesatezza, sfiducia, aspettative per il futuro colme di angoscia. Tutto questo mentre la narrazione omologata e conformistica di un wokismo di destra (vogliamo parlare della Cancel Culture di destra in azione?) spettacolarizza ogni cosa, brutalizza il linguaggio, cambia la semantica e il significato delle parole, impone la sua ideologia retrograda, reazionaria e pericolosa. Non crede che il tecnofascismo di cui lei parla non riguardi solo le strutture politiche ma anche il “chi siamo”, come viviamo e cosa pensiamo? Mi riferisco ad esempio al tema della sicurezza (controllo, sorveglianza e repressione) e delle nostre esistenze oggi intrise di ansie, paure, incertezze e insicurezze. C’è in tutto questo un ruolo per la filosofia? Non crede che l’affermazione della destra attuale sia anche una conseguenza della perdita di cultura (non si legge più!)?
AM -Assolutamente! In un capitolo del libro ho deciso di raccontare il caso di Musk richiamando anche alcuni temi tipici della filosofia di Foucault. Trovo, ad esempio, particolarmente importante l’idea foucaultiana secondo cui la soggettività e la libertà sono costruite anche attraverso il modo in cui si sviluppano le logiche del desiderio e dei sentimenti: un’intuizione decisiva per comprendere come si articolano oggi i meccanismi di sorveglianza collettiva resi possibili dai social network. Quando Musk racconta di aver comprato X per sdoganare “la libertà di parola assoluta”, o quando assistiamo al potere ipnotico delle nuove tecnologie soprattutto su alcuni giovani, è evidente che ci troviamo davanti a un corto circuito tra la retorica della libertà e quella del potere. Lungi dall’essere concepita come un antidoto al potere, la libertà diventa un meccanismo di governo e di gestione del sé che ci omologa alle logiche dei like e degli algoritmi.
CM - Nel descrivere la nuova destra dei tecnomonarchi in azione, siano essi tecnocrati, tecnocapitalisti o politici, lei insiste molto sulla loro violenza esplicita, sulla loro capacità di mentire e di manipolare la realtà con uno storytelling (propagandistico) che ha normalizzato nuovi codici di comunicazione (sui social e non solo), sulla loro mancanza di vergogna. Chi non si ferma alla semplice informazione, chi ha conoscenze e conoscenza, chi sa ancora ricorrere alla riflessione lenta e al pensiero critico, chi sa coltivare (tecno)consapevolezza e senso di responsabilità, può ancora reagire, manifestando il proprio stupore, la difficoltà a capire, il rigetto, e poi suggerire di spostare l’attenzione del discorso pubblico su temi quali la disuguaglianza, la guerra, la democrazia in crisi, la libertà, la verità, ecc. Oggi però moltitudini (ben diverse da quelle evocate d Toni Negri) di persone sono priv(vat)e di queste capacità, si ritrovano a essere complici della loro “servitù volontaria”, target perfetto di una destra che le vuole semplicemente ignoranti e rese schiave. L’analisi della destra dei tecnomonarchi non può prescindere dal pensare a cosa fare per evitare la torsione autoritaria della democrazia. Ma per farlo bisogna cambiare linguaggi, metodi e categorie della politica diverse. Qualche suggerimento?
AM - Credo che qui ci siano due temi diversi ma entrambi importanti di cui tener conto. Il primo riguarda il rapporto con le “verità di fatto”. Dopo l’ubriacatura del postmoderno, credo sia arrivato il momento di interrogarsi nuovamente su quale debba essere il rapporto tra verità di fatto e potere. Proprio Hannah Arendt, la filosofa del totalitarismo, ci ricorda quanto fondamentale fosse la manipolazione delle verità di fatto nel favorire la propaganda dei regimi totalitari. In un bel saggio intitolato “Verità e politica”, emerge chiaramente l’esigenza, da parte della filosofa, di ristabilire un legame con l’idea di verità di fatto senza ridurla a una mera accettazione del presente. Per ribadire qualcosa che può sembrare ovvio, qualche anno fa comparve sulla CNN una pubblicità che mostrava l’immagine di una mela accompagnata dalla semplice frase: “Questa è una mela”, accompagnata da una scritta che diceva qualcosa del genere: anche se molti provassero a convincervi che questa mela fosse una banana, essa rimarrebbe comunque una mela. Il secondo tema riguarda l’importanza di definire le parole, tenendo conto della loro storicità. Scrivendo tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40, Simone Weil insisteva molto sulla necessità di definire i termini, di restituire loro un senso storico, soprattutto in momenti di estrema polarizzazione politica. In un’epoca di fake news e social network, credo sia fondamentale tornare a sottolineare l’importanza di definire le parole e di non lasciarle semplicemente in balìa degli shitstorm dei social.
CM - Da lettore di Douglas Rushkoff, e non solo, ho dimestichezza con i tecnomiliardari impegnati nel costruirsi vie di fuga alle apocalissi di cui parlano, nel tentativo di esorcizzarle e farci paura, lasciandoci qui mentre loro saranno (forse, ibernati) su Marte. Nel suo libro Rushkoff descrive quello che è il mindset, di questi personaggi anacronistici ma reali, vincenti, che li ha convinti di essere al di sopra dei comuni mortali. Parla però anche della loro follia e della necessità che si inizi a lavorare per evitare la (nostra, di tutti) catastrofe incombente. Di questi tecnomiliardari vincenti parla anche lei citandoli per nome e definendoli Tecnomonarchi (Pieter Thiel, Elon Musk, Curtis Yarvin, ecc.). Lo fa spiegando la loro filosofia, ideologia e visione (spirituale e religiosa) del mondo, cultura, riferimenti autorali e concettuali storici e filosofici (Aristotele, Girard, Land, Mansfield, Hayek, Hoppe, Nietzsche, ecc.). Quanto sono credibili questi personaggi e quanto potranno contribuire a far finire la democrazia? E se fossero soltanto dei sovrani che ballano sul Titanic di una società occidentale all’ultimo atto (citazione del recente libro di Luciano Canfora)? Lei cosa ne pensa?
AM - Credo che la vera questione non sia quanto siano credibili i nuovi oligarchi e i loro ideologi, ma come sia diventato possibile rendere di nuovo accettabili alcune delle idee da loro sostenute, idee improntate a forme reazionarie e autocratiche di esercizio del potere e dell’autorità. Il fatto che queste idee siano sostenute anche da ricchi milionari che, per esempio nel caso di Thiel, sono associati ad aziende come Palantir — che gestisce infrastrutture cruciali per la difesa americana — è spaventoso e rende la minaccia che le loro teorie possano tradursi nella pratica piuttosto concreta. Il rischio non sta soltanto nel contributo che i tecnomonarchi possono dare al pensiero reazionario che auspica l’abolizione della democrazia, ma soprattutto nel modo in cui il possesso e il controllo delle nuove tecnologie possa arrivare a convincere un numero sempre crescente di persone che questa sia la giusta soluzione alle debolezze delle democrazie liberali.
CM - Infine, se ha tempo per un’altra domanda, mi piacerebbe che lei potesse condividere con i naviganti della STULTIFERANAVIS una sua prima impressione sul progetto. Stanchi delle piattaforme, nostalgici del WEB dei suoi inizi, convinti del disincanto crescente verso la tecnologia (e non solo), noi siamo convinti che la soluzione sia nell’investire sulla lettura e sulla scrittura, sulla conoscenza (basta con la semplice informazione!), sulla (tecno)consapevolezza e sulla responsabilità, senza visioni apocalittiche ma puntando sul principio speranza (Hans Jonas). Per noi un modo per contrastare l’individualismo e l’egoismo imperanti sta nel riscoprire, non la Grecia ma la comunità, la cooperazione e la solidarietà. A oggi la nave contiene più di mille contributi. Se della nave ha una buona percezione, la invito a salire a bordo. Grazie per questa opportunità offertami per questa intervista.
AM - Mi sembra una bellissima iniziativa. Grazie a lei per l’intervista, è stato un vero piacere!