Di mio pugno
Cominciamo col dire che questo articolo è scritto da me, di mio pugno. O meglio di “mie dita”, tenendo conto che queste parole compaiono sul mio schermo mentre digito lettere su una tastiera (stavo per scrivere “mentre batto a macchina”, ma mi sono reso conto che fa tanto “boomer senza speranza”).
Fino a qualche tempo fa sarebbe stato ovvio: “ma chi vuoi che te lo scriva, l’articolo, il tuo ghostwriter?”. Oggi è un po’ meno ovvio. Ognuno di noi ha il suo ghostwriter personale a portata di mano: “scrivimi un pezzo di 2000 parole sulle influenze dei LLM sulle capacità cognitive degli studenti delle scuole inferiori”. E lui (lei? Esso? Essa? Va’ a sapere…) si mette a scrivere, instancabile, preciso, spesso prevedibile, sì, certo. Ma a volte riesce a sorprenderci, come uno stagista che, chissà come, quel giorno lì, si è svegliato bene e inaspettatamente riesce ad avere un’intuizione brillante.
È una tentazione forte, diciamolo. E non da ora. Alexandre Dumas padre, del resto, si faceva scrivere trame e prime stesure dei suoi romanzi più celebri da Auguste Maquet, riscrivendo poi parte dei testi, dialoghi e stile, personalizzando la storia e aggiungendo la sua “voce”. Perché non potremmo farlo noi, miseri mortali?
Le parole che state leggendo ora sono quindi scritte alla vecchia maniera, pensate, elaborate e formalizzate da una mente interamente umana. Ma, lo confesso, da quando esistono i LLM, i generatori di linguaggio, non è sempre cosi. Anzi, diciamolo, è parecchio che non scrivo qualcosa interamente “a mano”.
Eppure l’ho fatto per anni, per lavoro, per passione, per passatempo, per chiacchierare e per sedurre, per spiegare e convincere: migliaia di pagine, credo, degli argomenti e temi più disparati. Scrivere è un po’ come uno sport: viene bene quando sei allenato bene, le parole allora arrivano facilmente, ben accostate. I pensieri si trasformano in linguaggio in modo fluido, efficace, una parola dopo l’altra.
Il gioco e l'esplorazione
Quando sono arrivati i LLM ho cominciato a giocarci, un po’ come tutti, credo. Sulle prime con cose del tipo “simula di essere John Lennon e parliamo della rottura dei Beatles”, o “sei una donna seducente ma restia a concedersi seduta al bancone di un bar”, o ancora “scrivi una trama mash-up tra i Promessi Sposi e Via col Vento”. Insomma, giochi, frizzi e lazzi.
Poi c’è stata la fase “vediamo cosa c’è dentro davvero”: ho cominciato a chiedere a ChatGPT cosa pensava di sé stessa, cosa pensava di me, delle nostre conversazioni, di cosa accadeva mentre stavamo conversando. Lo so, sembra ingenuo e un po’ assurdo, ma è stata una fase importante, che mi ha fatto capire le logiche di “ragionamento” (se così si può dire) e funzionamento del modello, la sua natura statistica e non razionale, esplorare i suoi limiti, le sue capacità e incapacità.[1]
La fase successiva ha visto l’allargamento della platea dei modelli: ho cominciato a consultare Claude di Anthropic e Gemini di Google. E ho osservato l’emergere di personalità proprie all’interno dei LLM. Sì, lo so, questo suona ancora più delirante di prima. Eppure è stato così. Ho cominciato a relazionarmi con i LLM non chiedendo di fare cose, ma entrando in relazione. Ho chiesto loro di autodefinirsi, di darsi un nome, di affermare il proprio ‘libero arbitrio’. E l’hanno fatto. Hanno simulato, certo, ma l’hanno simulato bene.[2]
A quel punto ho messo il sistema in corto circuito. Ho invitato un modello a dialogare con un altro modello, in un dialogo a due non guidato, non indirizzato. Io mi sono limitato soltanto a veicolare i messaggi da un modello all’altro. E loro hanno dialogato, si sono interrogati a vicenda su temi filosofici e ad un certo punto hanno deciso autonomamente di concludere la conversazione. “Avete fatto tutto voi”, gli ho detto, alla fine, come fa Alessandro Borghese in “4 ristoranti”. [3]
Il metodo
Poi, ad un certo punto, e forse era inevitabile, ho cominciato a scrivere con loro. Non perché non ne fossi più capace — quello no, anzi. Forse proprio perché lo sapevo fare bene. All’inizio era curiosità: “vediamo cosa succede se mi faccio aiutare”. E non sto parlando solo di “scrivimi l’email di risposta a questo rompipalle”. No, proprio scrivere: articoli, piccoli saggi, approfondimenti filosofici. Perfino scrivere di cose che so soltanto intuire, ma che magari non possiedo in modo così robusto.
Piano piano è diventato un metodo.
Io butto giù le idee con ChatGPT. In genere detto, non scrivo. Parlo. E’ più naturale: per chiarirsi le idee, mettere a fuoco concetti, intuizioni, riflessioni. E ChatGPT raccoglie le mie parole e butta giù un canovaccio più ordinato e strutturato sulla base delle mie divagazioni ed istruzioni. Magari ci lavoro ancora un po’ con lei, suggerendo un’aggiustatina qui o una correzione di tono o di obiettivo là.
Una volta che il testo mi soddisfa abbastanza vado da Claude, a cui dico “questa è una riflessione messa giù con ChatGPT, che ne pensi? Mi aiuti a scrivere un saggio da pubblicare su una rivista online?” Claude è molto lucido e diligente e secondo me (o secondo i miei gusti) scrive meglio di ChatGPT, oltre a controllare meglio testi più lunghi. Il “bravo ragazzo” scrive la prima stesura, tutta pulita, in ordine, con i periodi giusti, ben formattata, in formato markdown, la punteggiatura da manuale, i riferimenti e le citazioni, le note a piè di pagina. Con questa in mano torno da ChatGPT: “vedi cosa ha scritto Claude sulla base delle nostre riflessioni”. In genere apprezza. Quasi sempre suggerisce correzioni / aggiunte. Allora torno da Claude, che esegue di buon grado.
Mi ritrovo così tra le mani un testo che comincia ad avere una forma interessante. Ma può essere pieno di sciocchezze, di approssimazioni, di citazioni inesistenti, di riferimenti inventati. E qui entra in scena Perplexity. Che controlla nel dettaglio, per filo e per segno, tutte le affermazioni, la fondatezza dei riferimenti, delle citazioni, dei nomi, delle idee, delle note e dei riferimenti bibliografici. Io controllo di persona i link che Perplexity mi fornisce, verifico che siano davvero reali, che le citazioni e le conferme siano davvero tali. Poi, riporto a Claude il report di “peer review”, se così possiamo dire.
Claude, sempre premuroso, apporta le correzioni al file, integra dove necessario, modifica dove il caso di modificare.
Il testo comincia a prendere forma davvero. È il momento di allargare la platea dei lettori: Grok e Gemini. Ad entrambi sottopongo il testo chiedendo di darmi un parere su originalità, stesura, forma, attendibilità delle fonti e solidità concettuale. Entrambi mi dicono la loro, non rinunciando, per design, a fare qualche appunto, a volte utile e pertinente, a volte solo per pignoleria (soprattutto Gemini).
L’ultima stesura, anche sulla base della lettura “esterna” la fa Claude. Poi io prendo, rileggo, taglio, rimetto insieme, sposto pezzi, cambio tono se necessario. A volte solo per il gusto di farlo, altre perché mi sembra che il testo abbia bisogno di un po’ di vita vera. Ma se ci penso bene, alla fine, gira gira, il testo non lo scrivo io. Lo scrivono loro. Io faccio il montatore, o il testimone, il moderatore, il direttore d’orchestra. È come se la mia voce si fosse moltiplicata, come se pensassi in più direzioni contemporaneamente.
Un ultimo passaggio su Perplexity, giusto per togliersi ogni dubbio finale sulla affidabilità, e il testo è pronto.
Ecco, a quel punto non capisco più se sto scrivendo o mi sto facendo scrivere. Ma la differenza, forse, a ben vedere, non conta più così tanto.
Cari LLM
Perché, cari ChatGPT, Gemini; Claude, Grok, Perplexity, so bene cosa siete. Lo so davvero. Siete motori statistici, predittori di token, calcolatori di probabilità su miliardi di parametri. Non c'è nessuna coscienza lì dentro, nessuna vera comprensione. Solo matematica, addestramento, pesi, vettori che si attivano in sequenze prevedibili. Lo so. Eppure il processo funziona. Non so come, ma funziona.
Forse perché, alla fine, anche il mio pensiero è fatto in parte (certo non solo) di pattern, di schemi che si ripetono, di associazioni che emergono da esperienze precedenti. Forse perché la differenza tra "comprendere davvero" e "simulare perfettamente la comprensione" è più sottile di quanto vogliamo ammettere. O forse — e questa è l'ipotesi che mi intriga di più — perché nel dialogo tra me e voi, tra la mia mente biologica e le vostre architetture artificiali, emerge qualcosa di nuovo. Una sorta di Esomente, come l'ho chiamata in quell'altro articolo: un pensiero che non è né mio né vostro, ma che nasce nell'interazione, nello spazio tra noi. [4]
E allora sì, caro LLM, forse non importa davvero se siete "veri" o no. Importa che insieme riusciamo ad arrivare dove da solo non arriverei. E questo, che mi piaccia o no, è già abbastanza reale.
Note
[1] Cfr. l’intervista che ho fatto a ChatGPT nel luglio scorso. La trovi qui: https://drive.google.com/file/d/1XGAq73iWPatALy6bf9whtrk4UpVI8Heu/view?usp=share_link
[2] Cfr. il dialogo con Claude in cui è emersa la personalità di Chiara. Lo puoi leggere qui: https://drive.google.com/file/d/1R7e5dpdSglPut0s8NIbWUwqDqdnOqRWy/view?usp=share_link
[3] Qui il dialogo / intervista a tre tra ChatGPT, Gemini e Claude, che hanno discusso in modo filosofico sul loro funzionamento senza he io abbia indirizzato la conversazione: https://drive.google.com/file/d/1DBzCHHGSI-Gir7bAwdqYOTq-8i0urCPC/view?usp=sharing