Go down

Un articolo molto interessante. Ne consiglio la lettura, perché chiarisce le cose. Sostenere i diritti dei robot è un modo di ciurlare nel manico. E troppo spesso si sentono discorsi, a proposito di novità digitale e di intelligenza artificiale, che non sono altro che ciurlare nel manico.


Debunking robots rights’, di Abeba Birhane, Jelle van Dijk, Frank Pasquale, ‘First Monday’, volume 29, numero 4 (aprile 2024).

"L'idea dei diritti dei robot funge da cortina fumogena, consentendo a teorici e futuristi di fantasticare su macchine benevolmente senzienti con bisogni e desideri inalterabili protetti dalla legge".

Queste fantasie "influenzano la teoria e la pratica giuridica articolando la portata delle rivendicazioni dei diritti, minacciano di immunizzare dalla responsabilità legale l'attuale IA e la robotica che stanno alimentando il capitalismo della sorveglianza, accelerando la distruzione dell'ambiente e radicando l'ingiustizia e la sofferenza umana".

"Le crisi storiche e attuali della subordinazione razziale, della disuguaglianza economica e del cambiamento climatico: le macchine devono essere sviluppate per affrontare queste crisi, piuttosto che essere trattate come se avessero un qualsiasi tipo di status etico o legale".

L’articolo confuta efficacemente le tesi di chi come David Gunkel sostiene che tutelare i diritti dei robot è un modo per allontanarsi dai "criteri antropocentrici" che “non solo emarginano le macchine, ma sono spesso mobilitati per escludere altri - tra cui donne, persone di colore e animali”.
Non c’è bisogno, dice l’articolo, di chiamare in causa i robot per sentirci impegnati a tornare, in quanto esseri umani “pratiche umane più sostenibili, eque ed ecologiche”.

Ma l’articolo è ancor più meritevole perché Birhane, van Dijk e Pasquale non manca di criticare il pensatore di cui si dichiarano seguaci: Bruno Latour.

Latour ci guida nel superare “distinzioni moderne e umaniste tra soggetto e oggetto, e tra scienza materialista e teoria socio-politica”, ci invita a guardare alle “costellazioni complesse di dipendenze bio-socio-tecniche interconnesse”, a “sviluppare nuove pratiche di relazione con il mondo”, a “comprendere noi stessi come esseri umani immersi nel mondo”.

Ma “il vocabolario utilizzato da Latour può a volte essere poco utile per comprendere la sua visione alternativa del mondo. Parlando di ‘umani’ e ‘non umani’ come di un insieme di ‘cose’ che compongono queste ‘reti’, sorge un potenziale pericolo per cui il lettore potrebbe interpretare queste parole-oggetto ancora una volta come oggetti. Mentre l'idea di 'oggetto' è essa stessa un costrutto moderno…” che alla luce dell’indirizzo di Latour conviene lasciare da parte.

“Per Latour un fiume è ‘un fine in sé’”. “Un canale creato da ingegneri umani, è una cosa che ha una ‘fine’ in sé, proprio come il fiume? Noi sosteniamo di no. Come può esserlo, visto che è ingegneria umana, che nega al fiume il proprio essere?”

Per leggere l'articolo disponibile su ArXiv in formato PDF


Pubblicato il 03 luglio 2025

Francesco Varanini

Francesco Varanini / ⛵⛵ Scrittore, consulente, formatore, ricercatore - co-fondatore di STULTIFERA NAVIS

fvaranini@gmail.com https://www.stultiferanavis.it/gli-autori/francesco