- Parole in forma di carezze [leggi qui]
- Il volto e le facce [leggi qui]
- Sempre connessi mai congiunti [leggi qui]
- Persi dentro schermi magnetici e luccicanti [leggi qui]
- Ambienti digitali e forza delle parole [leggi qui]
- La ricchezza delle parole [leggi qui]
- Parole inflazionate, parole ricche di significati [leggi qui]
- Le parole dell’etica [leggi qui]
- Una riflessione necessaria [leggi qui]
- Oltrepassare come azione etica [leggi qui]
- Serve uno sguardo diverso [leggi qui]
- Alla fine del viaggio dentro le parole [leggi qui]
- Siate cauti con le parole [leggi qui]
“Ci sono parole importanti, di uso quotidiano, il cui significato nel tempo si è dilatato fino a diventare incerto, fino a renderle vaghe e prive di contorno, così che oggi, come i liquidi prendono la forma dei recipienti che li contengono, possono essere adatte a contesti diversi senza però significare più nulla di sicuro.” – Massimo Angelini, Ecologia della parola
“Sì, pensare non basta. Le parole non pronunciate diventano briciole, ci saziano per un istante ma si dimenticano altrettanto in fretta. Solo quando escono dalla bocca rivelano il loro valore… Però possiamo scriverle. Sì, ma allora occorre qualcuno che sappia leggerle […]”– Cucinare un orso, Mikael Niemi
“Lasciaci oltrepassare la gioia e il dolore - Lasciaci oltrepassare l’astio e l’affetto - Lasciaci oltrepassare le parole dure e quelle vane, le parole vuote dell’amoreLasciaci oltrepassare.” -- Abbas Kiarostami
“Non voglio parole che mi spieghino e nemmeno che sgroviglino né chiariscano. Non voglio parole che mi riempiano e nemmeno che mi facciano sentire sciocca e con poca scuola alle spalle. Non voglio parole che complichino senza un cuore al centro. Non voglio parole che si diano arie. Ho bisogno di parole leggere eppure capaci di sfamare e dissetare, parole che mi domandino tanto, tutta la testa da mozzare e un cuore ingenuo da allenare al passo delle bestie nella foresta, vigile e sempre a casa, eppure sempre in pericolo. Voglio parole disobbedienti ma anche candide. Parole capriole e parole solletico, parole lampi, fulmini e tuoni, parole aghi che cuciono e parole che strappano la stoffa del discorso.” Chandra Livia Candiani - Salutare le parole - articolo della rivista Doppiozero
Le parole dell’etica
L’etica (dal greco ethos) richiama la parola morale (dal latino ciceroniano mos, moris) così come numerosi altri termini, principi e concetti che richiederebbero una riflessione alta, filosofica, filologica. Qui l’etica viene vista nella sua dimensione umana di realizzazione del sé, del vivere bene, che non prescinde dalla ricerca del bene degli altri, che da un piano personale trapassa in uno interpersonale, che vede l’identità individuale come strettamente collegata all’alterità dell’Altro. Dentro questa visione alcune parole assumono un significato particolare perchè inserite dentro un contesto nel quale la ricerca del proprio benessere si lega strettamente alla sollecitudine verso l’Altro e al tempo stesso prefigurano un ethos sociale fondato su istituzioni giuste, sulla libertà, sulla saggezza (phronesis) e sull’esperienza etica.
Le parole di cui parlo qui sono parole che fanno riferimento a virtù sociali, sono incarnate, Sono parole testarde, ricche di memoria, positivamente antiche ma mai antiquate
Le parole su cui siamo focalizzati, sono parole che fanno riferimento a virtù sociali, sono incarnate (“l’uomo è colui che parla”), strettamente connesse con gli orizzonti di valori personali, all’ethos, alle strutture e alle istituzioni nelle quali ogni individuo è inserito e conduce, nel suo ruolo di cittadino, la sua esistenza personale e collettiva, e la sua esperienza pratica quotidiana. Sono parole testarde, ricche di memoria, positivamente antiche ma mai antiquate, fatte per resistere a un presente che a molti appare intollerabile perché non concede scappatoie se non quella di accettarlo. Un presente di cui molti sembrano al contrario innamorati dimenticandosi che il presente è un tempo crudele che non risparmia nessuno, neppure i più giovani della generazione Millennial. Non potendo scappare non rimane che resistere. La resistenza è fatta anche di parole, che parlano di socialità, che gettano ponti, che accompagnano gesti accoglienti e gentili, che alimentano la memoria e continuino a farci viaggiare verso isole che non ci sono (“Seconda stella a destra, questo è il cammino - E poi dritto fino al mattino - Poi la strada la trovi da te - Porta all'isola che non c'è[70]”), e che non si dovrebbero volere solo per sé.
Sono parole note a tutti anche se da molti oggi disattese (E ti prendono in giro se continui a cercarla - Ma non darti per vinto, perché - Chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle - Forse è ancora più pazzo di te”), che attengono ai comportamenti e alle abitudini, al costume e al modo di agire, parole all’apparenza sovrapponibili ma ognuna con una sua propria caratura valoriale, profondità, qualità e spessore. Molte con una valenza implicita di anti-conformismo, dis-omologazione, determinato dalla conoscenza della realtà, dalla consapevolezza che non tutte le abitudini e le narrazioni correnti debbano essere assunte come tali, ma anzi possano e debbano essere eticamente e responsabilmente oggetto di critica e di resistenza. La loro carica (auto)critica deriva dalla capacità soggettiva riflessiva e valutativa, dall’attenzione dedicata alla cura del sé, che è poi anche cura degli altri da sé.
Sono parole alla pari, senza bisogno di essere prioritizzate anche se due di esse, bene (mai assoluto ma sempre relativo rispetto a ciò che è male) e virtù, alla base della saggezza, meritano di essere menzionate per prime. Sono parole normali, di (ab)uso comune, che contano pur nella loro ambivalenza etica, ed estetica. Parole che sentono il bisogno di essere abbracciate, rivalutate, restituite alla vita anche per contribuire a vivificare dialoghi, discorsi, narrazioni, pensieri, emozioni e azioni.
Tutte le parole sentono il bisogno di essere abbracciate, rivalutate, restituite alla vita, alcune di più
Le emozioni sono importanti perché legate a comportamenti dal carattere emotivo fortemente interallacciati al nostro modo di percepire e comprendere. La comprensione immediata delle emozioni degli altri, anche grazie al meccanismo dei neuroni specchio, è il passo preparatorio a quel comportamento empatico che trasforma le relazioni tra individui. Una capacità che fa risuonare il nostro cervello alla percezione dei volti, degli sguardi e dei gesti incarnati altrui e che, secondo alcuni studi neuroscientifici recenti sulla simulazione incarnata, produrrebbero una risonanza simile, da Nausica associata a un Nostroverso, anche dentro universi di realtà virtuale e piattaforme social, domani nei metaversi.
Le parole che compongono il linguaggio etico utili per la pratica dell’Oltrepassare sono parole che suggeriscono una maniera e una coscienza di esistere autenticamente nella "dimensione dell'altrimenti", che si traducono in comportamenti umani (“rimaniamo umani[71]”), riferimenti valoriali solidi e precisi, disponibilità generosa alla relazione e alla cooperazione, molta tenacia, pacatezza e coraggio, capacità di elaborare pensiero critico, non omologato ma creativo e alternativo, molta forza di volontà perchè i tempi sono difficili, caotici e confusi, tempestosi, percepiti da tutti come incerti, sull’orlo del caos.
Le parole dell'etica hanno come tratti distintivi l’affidabilità, la credibilità, la coerenza, la fermezza non autoritaria ma autorevole, la forza di carattere, l’ottimismo della volontà e della ragione, la riservatezza
Sono parole come: amore, amicizia, benevolenza[72], collaborazione, comunità, compassione (sentire per, diversa da empatia, sentire con), comprensione, (tecno)consapevolezza, cultura, democrazia, dono, educazione, equità, etica (intesa come preoccupazione per sé stessi, per gli altri e per le istituzioni di cui si è parte[73]) gentilezza, generosità, gratuità, giustizia, fiducia, felicità (nell’ambito del nostro libro intesa come cura, essere per l’Altro), informazione, libertà, onestà, ospitalità, partecipazione, prudenza, reciprocità, responsabilità, relazione, resistenza, rispetto, sapienza, scelta, solidarietà, sollecitudine, temperanza, tolleranza, umanità e altre ancora. I tratti distintivi di queste parole fanno riferimento a qualità e virtù interiori individuali di cui si sente la mancanza e una diffusa assenza. Da manifestare socialmente in forma di resistenza a pratiche, abitudini, visioni del mondo e etiche comportamentali contemporanee all’origine dello star male attuale.
Questi tratti distintivi li ha elencati in modo esaustivo Duccio Demetrio nel suo bellissimo libro (anche per le immagini che lo accompagnano) All’antica. Una maniera di esistere[74]: “[...] l’affidabilità, la credibilità, la coerenza, la fermezza non autoritaria ma autorevole, la forza di carattere, l’ottimismo della volontà e della ragione, la riservatezza, la discrezione, la generosità, la nobiltà d’animo, la cura degli altri”.
Tante parole, che si aggiungono ad altre parole, che si richiamano tutte l’una con l’altra, che stanno bene insieme, come le api dentro uno sciame, danzando e comunicandosi significati all’apparenza simili, ma in realtà pieni di sfumature, espressione di riflessioni, desideri e sentimenti diversi. Tutte parole oggi oscurate, tradite, semplificate e banalizzate dai media, dalla politica (sarebbe meglio dire dai politici che ci meritiamo), dall’uso abitudinario di moltitudini di persone intrappolate cognitivamente e semanticamente dentro gabbie tecno-linguistiche e cognitive, tutte impegnate a cinguettare segni e significati sempre uguali e ripetitivi. Parole che hanno attraversato secoli arricchendosi di nuovi concetti e nuove sfumature, accumulando complessità, allargando i confini semantici e polisemici, di apertura verso l’Altro, sono oggi ridotte a semplici elementi disgiunti che impediscono la comprensione della totalità, in qualche caso la offuscano. Da parole sono diventate tanti piccoli emoji, moltitudini di memi che circolano sull’onda dei trending topics della settimana, fanno da testo a promozioni e pubblicità continue, servono a influencer vari per tenere alto il livello della loro visibilità e presa sul pubblico che li ascolta e li celebra.
le parole etiche sono una forza fragile di parole che possono mutare la società intera
Le parole usate sembrano uscire dal famoso quadro (L’urlo – Il grido) di Munch richiamando tutti a ridare loro un senso e significati precisi, etici. Il quadro del pittore norvegese non è portatore di un messaggio univoco, si rivolge a tutti lasciando a chi lo guarda la responsabilità di trasformare la sua immagine in parole, non indispensabilmente urlate. L'urlo di Munch che, nel quadro coinvolge e trasforma la realtà, rappresenta la forza fragile di parole etiche che possono mutare la società intera se oltrepassate e incarnate.
Le parole scelte sono parole dai significati completi, lontani dalle improvvisazioni terminologiche e semantiche a cui ci hanno abituato gli strumenti del Web e le piattaforme tecnologiche sulle quali, mentre ci si parla, si interagisce come se in fondo non ci si parlasse veramente. Un parlarsi comunque impossibile a farsi, vista la virtualità dello scambio, sempre però possibile e verificabile dentro un abbraccio, un tenersi stretti tra innamorati, uno scambio di sguardi da vicino, un guardarsi negli occhi.
Lo scambio fuori dal virtuale non ha bisogno di tempo reale, non necessita di immediatezza, vive sulla durata, anche immaginata e desiderata, di eventi che maturano e si manifestano nella loro carica trasformativa ed emergenziale, sempre dentro avvenimenti più vasti che li contengono e li raccontano, obbligando a soffermarsi per cogliere ciò che di solito non si è riusciti a osservare, seguire e capire. La comunicazione online al contrario è veloce, binaria, sincronizzata, non prevede tempi differiti né ritardi, brucia ogni cosa, senza tempo e senza spazio, nell’attimo fuggente dell’evento. Un evento divertimento diventato ormai, nella sua ritualità, ripetitività e fabbricazione a catena, stereotipo di sé stesso, strumento mediale per catturare l’attenzione e l’interesse, per alimentare distrazione e rubare tempo all’informazione, alla conoscenza e alla comprensione.
Con l’effetto di far sparire intere categorie di parole e di svilirne altre, impedendo così di comprendere meglio la realtà, le sue trasformazioni invisibili e silenziose. Sapere è utile, capire, afferrare con la mente è necessario alla conoscenza ma comprendere, che spesso risulta impossibile come ha ben spiegato Primo Levi nel suo libro Se questo è un uomo, è fondamentale, perché unisce la riflessione alle emozioni, aiutando il cuore e a trasformare ogni esperienza.
Sapere è utile, capire, afferrare con la mente, è necessario alla conoscenza ma comprendere è fondamentale
La comprensione
Tra tutte le parole etiche che abbiamo citato, la parola comprensione (dal latino cum capere, procedimento mentale che prende e mette insieme, comprehendere) merita un’attenzione particolare. La comprensione serve a penetrare le cose, a comprendere le ragioni o per avere una chiara idea di esse, è espressione di tolleranza verso le ragioni o le motivazioni dell’Altro, è anche un’abilità linguistica, ma anche della lettura. È una parola che va oltre il significato di semplice spiegazione, interpretazione e intendimento, suggerisce significati più profondi quali umanità, disponibilità, generosità. Anche molta forza se il comprendere si esercita sulla conoscenza di fatti impossibili da capire come lo furono quelli generati dalle azioni dei nazisti nei campi di concentramento e sui quali è impossibile esercitare la comprensione se non per conoscere e capire dove così tanto odio sia nato e che potrebbe ancora nascere: «nell’odio nazista non c’è razionalità: è un odio che non è in noi, è fuori dell’uomo, è un frutto velenoso nato dal tronco funesto del fascismo, ma è fuori ed oltre il fascismo stesso. Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce, e stare in guardia. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».
Il discorso pubblico e privato online, le sue narrazioni e modalità dialogiche rendono complicata la comprensione reciproca, l’atto dell’intendersi. L’incomprensione dentro le relazioni umane ha sempre regnato sovrana, oggi è diventata onnipresente e planetaria, grazie alla globalizzazione digitale del mondo. In tempi nei quali tutti possono parlarsi e comunicare, l’incomprensione domina le conversazioni e le interazioni online. Si manifesta nelle varie forme del linguaggio e nei malintesi che da esso derivano, nelle espressioni di disprezzo e di odio di cui è frequentemente strumento e messaggero. Evidenzia quanto la comunicazione sia sempre ingannatrice, fonte di errori, portatrice di semplici interpretazioni, traduzioni e ricostruzioni, impossibilitata a favorire la reciproca comprensione. Gli strumenti del comunicare digitale facilitano condivisione e informazione, non necessariamente la conoscenza. Frequentando le echo chamber digitali i molti, fattisi moltitudini, tendono ormai a darsi ragione da soli, spesso adottando acriticamente e sposando in modo superficiale le ragioni degli altri, anche quando sono incomprensibili, non veritiere, sbagliate e pericolose.
L’adozione acritica e ancor meno autocritica, irrazionale, emotiva di ragioni e opinioni sbagliate aumenta la difficoltà a comprendere pensieri diversi, impedisce l’allenamento utile all’apprendimento di come comprendere la complessità che ci caratterizza come esseri dalle molteplici personalità, multidimensionali per definizione, e di comprendere l’Altro. Impedita è anche la comprensione reale dei contesti, culturali prima ancora che digitali, nei quali ci si muove, quella degli eventi e delle situazioni di cui si è protagonisti o semplici testimoni. Gli uni e le altre sempre da contestualizzare dentro esperienze esistenziali e umane condizionate e dominate da approcci cognitivi che fanno fatica a misurarsi con la complessità. Una prima conseguenza si traduce nella incapacità a comprendere, da un punto di vista culturale, politico e antropologico, oltre che linguistico, i fenomeni di distorsione del linguaggio e le costanti manomissioni tecno-linguistiche che osserviamo di questi tempi nella comunicazione online da parte di NoVax, populisti e complottisti vari.
Questa incapacità ha una valenza etica. Come ha scritto Edgar Morin nel suo testo Etica del 2004 “l’etica della comprensione ci chiede innanzitutto di comprendere l’incomprensione[75]”. Un invito a cercare le origini dell’incomprensione che oggi ci impedisce per esempio di capire la ragioni di chi si oppone al vaccino e al Green Pass, rinunciando a una visione riduzionistica e manichea, dogmatica del mondo. Unica maniera forse per meglio comprendere le ragioni della protesta, prestando maggiore attenzione alle parole attraverso cui si manifesta o dalle quali trova linfa e forza per affermarsi. Una parola su tutte, libertà!
Ascoltare queste parole, cercare di capirle e comprenderle serve ad aumentare la comprensione tra persone dalle opinioni contrastanti, ma anche a ripulire le parole usate dagli eccessi e dalle forzature semantiche a cui sono costrette recuperando loro senso e dignità. L’uso che della parola libertà viene fatto in molte manifestazioni politiche NoVax illustra molto bene la difficoltà di coloro che vi partecipano a comprendere quelli che sono schierati sul fronte del sì al vaccino e per il Green Pass (...e viceversa). Sono persone assolutamente convinte della bontà delle loro opinioni, disposte a mentire a sè stesse fino a diventare cieche nei confronti dei rischi che corrono, ad auto-giustificarsi, a essere indifferenti e insensibili rispetto ai danni che possono procurare ad altri. L’accecamento è diventato virale, come quello ben descritto dal premio Nobel portoghese Saramago nel suo libro Cecità. Un romanzo tanto citato, in realtà pochissimo letto! Proposto da molti a inizio pandemia come testo dal valore interpretativo della crisi sanitaria che l’ha caratterizzata e che andrebbe letto o riletto.
L’accecamento odierno è causa di un affievolimento, per non dire sparizione, dell’etica e della morale. Socialmente è testimoniato dalle violenze improvvise causate da gruppi di adolescenti che, ormai dipendenti dai molteplici metaversi che frequentano, non sanno più distinguere l’azione violenta del gioco elettronico con quella da essi compiuta nella realtà. Interrogati dai poliziotti che li fermano esprimono una cinica indifferenza verso la vittima, manifestano forme di auto-distruttività nichilista che li portano verso vite folli, intossicate, spezzate, le proprie e quelle degli altri. In tema di comprensione, questi adolescenti raccontano una difficoltà, forse una incapacità cronicizzata, a essere compresi e capiti da parte dei loro genitori dentro i contesti familiari che li ospitano. La comprensione, anche emotiva ed affettiva è il primo passo verso la salvezza. Non è un esercizio privato ma comunitario, fatto insieme ad altri perché da soli non siamo proprio niente.
L’accecamento dipende dagli effetti di pratiche digitali che hanno modificato a livello cognitivo la mente, è collegabile alla crisi della Politica, alle guerre per lobby (bande) da cui è stata soppiantata e al risorgente fanatismo che in occidente si presenta nella forma di sovranismi e fascismi vari, si manifesta socialmente in comportamenti di odio e disprezzo, in particolare verso ogni minoranza etnica, di genere (è recente il fenomeno sudcoreano di gruppi di maschi che agiscono come ‘uomini in solidarietà’ con la faccia da joker per attaccare i movimenti femministi con pistole ad acqua per ‘sparare a un po’ di mosche’), religiosa o politica, ha la sua cartina di tornasole nel linguaggio usato, ormai incapace di dare senso e verità alle cose, di trasformarle e di comprendere la complessità.
Se si vuole ridare senso alla parola comprensione è necessario riflettere soggettivamente sulle nostre paure, predisporci a comprendere le ragioni degli altri, senza il bisogno di giustificarle. Più di tutto serve però affrontare il tema della propria consapevolezza che, come diceva Karl Popper non inizia con la cognizione o con la raccolta di dati o fatti ma con i dilemmi che mettono in moto il pensiero, ma anche il tema della responsabilità individuale o, al negativo, della loro mancanza. La responsabilità va esercitata nei confronti di una politica oggi abbandonata alla irresponsabilità delle caste e dei clan così come dei singoli politici, e all’interno delle piattaforme digitali sulle quali abbiamo trasferito buona parte della nostra vita e sulle quali la viviamo spesso a nostra insaputa.
L’obiettivo è l'abbattimento delle numerose barriere erette, espresse fisicamente attraverso recinti spinati stesi ai confini tra gli stati, che tendono a escludere e a espellere. Bisogna sempre aprirsi al dialogo, accettando le argomentazioni degli altri, evitando di stigmatizzarle o scomunicarle a priori o sulla base dei propri pregiudizi e stereotipi. È necessario guardarci dentro per capire quanto della barbarie esterna sia stata introiettata impedendoci uno sguardo profondo, altro, complesso su noi stessi e sul mondo. Seguendo l’insegnamento di Edgar Morin per il quale la disponibilità a comprendere l’incomprensibile passa attraverso la responsabilità di lavorare a pensare bene. È un insegnamento da cogliere, individualmente così come società nel suo complesso.
(Tecno)consapevolezza, Responsabilità, …
Alcune parole dal valore etico, come consapevolezza e responsabilità, acquisiscono nel nostro parlare, nel nostro comunicare e raccontare, anche sulle piattaforme digitali, un’importanza particolare. Lo ha spiegato molto bene Vera Gheno nel suo ultimo libro Le ragioni del dubbio: “[…] gli attimi prima di parlare o di inviare un messaggio (in tutti i sensi) sono, in qualche modo, quelli durante i quali la fretta diventa più pressante. Ovviamente, però, il percorso per gestire la costruzione di ciò che vogliamo comunicare parte da molto prima, per l’esattezza da due parole chiave: consapevolezza e responsabilità”.
La prima parola da rileggere e Oltrepassare è (tecno)consapevolezza. In un’epoca nella quale tutto sembra essere cadenzato dai ritmi dettati dalle pratiche binarie online, dai “codici segreti”[76] degli algoritmi e dalle conversazioni che animano la vita sociale delle piattaforme, svilupparla è diventato esiziale, esistenziale, oltre che urgente e vitale. Bisogna essere consapevoli di quanto siamo inconsapevoli, ignari, persi dentro modalità di pensiero che ci hanno da tempo conquistato, forse anche colonizzato. Un pensiero abile nel trascinare con sé, costruito su una reazione semplificata e automatizzata, sulla sola contrapposizione di un sì e di un no, un pensiero binario, autoritario, frettoloso, rozzo, incapace di articolare argomentazioni e motivazioni complesse e spesso anche violento. Comodo per la rapidità di scelta che regala ma anche disastroso negli effetti che produce, su tutti la sparizione del dialogo e della pratica del dubitare. Un pensiero che secondo il filosofo Pier Aldo Rovatti “[...] è una cancellazione di pensiero [...] una caricatura della realtà dove sono sparite le sfumature e il pensiero viene bloccato in una totale assenza di dialettica”.
Siamo tutti coinvolti, forse intrappolati, da piattaforme come Facebook, Instagram, WhatsApp (tutte di proprietà di Meta) alle quali regaliamo gesti e parole, tempo e pensieri, sogni e immaginazioni, tutti felicemente coinvolti in un grande gioco, gratificante e di intrattenimento. Domani potremmo essere prigionieri nei molteplici Metaversi[77] dentro i quali, con motivazioni marketing legate al superamento delle esperienze online di oggi, verso realtà aumentate immersive di comunicazione e interazione che ci spingeranno a vivere società tecnologiche come Facebook (la sua soluzione di chiamerà Metaverse) e tutte le altre (Nvidia Corp, Epic Games produttore di Fortnite, Blizzard Entertainment produttori di World of Warcraft, Mojang Studios ora di Microsoft che commercializza Minecraft, Roblox Corp e molti altri) che sui videogiochi e sul gioco hanno costruito la loro fortuna.
Ma la vita non è un gioco e non può essere privatizzata come lo sarà il Metaverse di Facebook, pensato per “indirizzare, inquadrare e condizionare le esperienze di ogni essere umano[78]”. Anche i Metaversi prossimi venturi, pur aumentando la percezione della presenza, la ricchezza e la naturalità dell’interazione, non saranno mai abitati fisicamente. Lo saranno sempre da realtà e entità ologrammatiche ridotte a pura simulazione. Simulacri digitali che mai saranno in grado di dare la sensazione di quella presenza che sempre regala ogni esperienza umana sperimentata nella realtà fattuale offline, attraverso un corpo e un volto. Mai possibile attraverso semplici interfacce software che costruiscono mondi artificiali inesistenti. I metaversi prossimi venturi aggiungono ulteriore urgenza a una riflessione ampia sui cambiamenti in essere determinati dagli effetti delle tecnologie digitali, in particolare sul nostro essere liberi dentro i molteplici mondi virtuali che abitiamo e abiteremo o saremo obbligati ad abitare come il Cipriano della Caverna di Saramago. Questi mondi sono pensati, come quelli attuali delle APP social, per gratificare chi li abita, intrattenerli, conquistarne tempo e attenzione in modo che non ne abbiano da dedicare ai loro sogni e desideri, scelte e decisioni.
In questo contesto è utile recuperare la consapevolezza come un “habitus” in senso aristotelico, ovvero una stabile disposizione del soggetto verso un certo tipo di azioni, un’abitudine che però deve avere a che fare con la moralità. Affermare questo significa sostenere che la consapevolezza debba divenire una virtù contemporanea, capace di rappresentare sia un’armonica apertura e capacità di abitare il mondo in maniera nuova sia la volontà di “mettersi in gioco” da parte del soggetto. In questo modo la consapevolezza come virtù diviene anche una preziosa guida all’agire in quanto regolata e messa in moto dall’uso della ragione, del pensiero.
Acquisire maggiore consapevolezza del nostro essere nel mondo tecnologico attuale permette allora di diventare maggiormente consapevoli delle nostre abitudini online. Di imparare a misurarci con le nostre pulsioni ed emozioni, di conoscere dove si agita la nostra coscienza, dove si formano le parole, si sviluppano significati e analogie, di cogliere l’insufficienza e l’inadeguatezza di molti dei significati suggeriti dagli algoritmi dei motori di ricerca come Google Search e dalle spiegazioni abbreviate degli innumerevoli spazi web pensati per una lettura veloce, spesso senza alcuna garanzia delle fonti e della qualità delle informazioni offerte.
Google Maps, Realtà virtuali, occhiali e auto dotati di intelligenza artificiale ma anche Google Traslate sembrano pensati per privarci delle nostre dirette esperienze umane, capacità sensoriali, dettate da percezioni e sensazioni individuali, e guidate da scelte personali. Prendere coscienza di questa volontà di controllo di una tecnologia mai neutrale fornisce le conoscenze utili per una riflessione critica sulla nostra relazione e/o sudditanza con/alla tecnologia. Ad esempio potrebbe farci conoscere e apprezzare un altro tipo di intelligenza, quella corporea narrata da Howard Gardner che guarda al mondo non per scoprirlo ma per abitarlo.
La consapevolezza dettata dalla maggiore conoscenza facilita una riflessione sulle parole a partire da quelle con cui ormai tutti ci stiamo abituando a convivere senza approfondirne colpevolmente significati e concetti. Tra queste parole ci sono quelle che raccontano la tecnologia come progresso e cambiamento, come strumento neutrale al servizio dell’essere umano (Falso!), Internet e il Web come spazio libero (Falso!), i social network alla Facebook come mondi aperti e trasparenti (Falso!). Chiariti concetti e significati usati ci si mette nella condizione di capire quanto le nostre parole e i nostri gesti possano essere più consapevolmente e responsabilmente meglio utilizzati. Come ha scritto il poeta islandese Jòn Kalman Stefànsson, “[…] le nostre parole sono come squadre di salvataggio che non rinunciano alla ricerca, il loro scopo è riscattare gli eventi passati e le vite ormai spente dal buco nero dell’oblio, e non è compito da poco, ma può anche darsi che, chissà, magari sul cammino trovino intanto qualche risposta e che salvino anche noi, prima che sia troppo tardi[79]”. Non sarebbe male se ci salvassero, come cittadini oggi sempre più ridotti a sudditi, nella veste di semplici utenti e consumatori. Un’attenzione particolare alle parole può anche salvarci dalle manipolazioni semantiche che riempiono le narrazioni marketing delle tante chiese tecnologiche e new-age di proprietà di una élite tecnologica, ma anche economica e finanziaria, che sta cambiando con le sue azioni la realtà, costruendola in forme e modalità dalle quali sono esclusi coloro che non ve ne fanno parte. La testimonianza ormai più evidente di ciò è la piattaforma social di Zuckerberg che si è insediata dentro il nostro immaginario occupandolo con le sue fantasie e tarpando le ali alla nostra immaginazione.
La (tecno)consapevolezza, che nasce dal pensiero lento, dal prestare attenzione a sé stessi e agli altri, dal pensiero riflessivo e pigro, dalla capacità di elaborare e produrre pensiero e non solo parole e opinioni, aiuta a scoprire le ricchezze illimitate delle parole, riserve aurifere in attesa di essere trovate e valutate per la loro validità e verità. La consapevolezza potrebbe suggerire una dieta più salutare, in grado di aiutare a superare la bulimia e l’appetito patologico di cui oggi soffrono molti social networker e internauti, tutti presi a rispondere in modo compulsivo agli stimoli ricevuti online, sempre dentro i rettangoli luccicanti dei loro dispositivi. Tutti felicitariamente convinti di essere liberi delle proprie scelte e azioni, così come dei propri pensieri. Tanti soggetti dalla possibile ricca vita interiore, capaci di influenzare e presentare, attraverso le loro narrazioni, punti di vista originali, anche rivoluzionari, ma in realtà semplici pesci allevati dentro un acquario-mondo, privati della coscienza di essere imprigionati e, proprio per questo, sereni e felici, appagati.
Dire la propria su ogni cosa, con un MiPiace, una stellina, una bandierina, un cuoricino, un post o un cinguettio, non è espressione di libertà, è il contrario di pensare. Commentare immediatamente e spesso senza neppure avere fatto la fatica di leggere esclude lo spirito critico (a quanti sarà capitato di postare su Facebook una riflessione lunga e articolata su qualcosa e trovarsi quasi contemporaneamente gratificati di un Like?). Per mancanza di tempo ma anche per mancanza di scelta e incapacità di orientamento nell’individuare ciò che ha valore e ciò che non ne ha. E anche perché si lascia uscire, fuori da sé stessi, semplici opinioni, “appetiti rivestiti di parole” (Ortega y Gasset) e senza accettare le condizioni del pensare, parole o gesti in forma di emoticon e di immagini.
La seconda parola suggerita da Vera Gheno è responsabilità: “Dobbiamo sapere che siamo i soli e unici responsabili delle parole che scegliamo di pronunciare e di scrivere. Questo vuol dire anche assumersi la responsabilità di tutte le conseguenze del caso”. Sembra un messaggio gettato al vento, dentro lo spazio entropico dei bit delle piattaforme. Mondi virtuali abitati da scimmie intelligenti più che da homo sapiens digitali, che prima ancora di imparare a parlare fanno fatica a comprendere la differenza tra concetti tra loro diversi, seppure frequentemente usati, come dati, informazione, conoscenza e sapere/saggezza (“Information is not knowledge, Knowledge is not wisdom, Wisdom is not truth, Truth is not beauty, Beauty is not love, Love is not music. Music is the best[80]”.
Una volta compresa l’unicità delle parole, il loro significato, è possibile assumerne la responsabilità unitamente agli effetti delle proprie azioni linguistiche sugli altri, in particolare sulle persone più deboli. Essere uomini, anche nell’uso del linguaggio, significa essere responsabili di esistenza, custodi nell’accezione che Nausica Manzi nel suo libro Custode di esistenza ha dato al concetto. Un avere cura dell’Altro come scelta di vincere l’indifferenza e fare il bene conferendo senso alla vita, agito insieme agli altri, socialmente, per andare oltre sé stessi, alla ricerca di una figura terza che ha il ruolo di occuparsi responsabilmente di sé stesso e degli altri: un "terzo" che è immagine della comunità di cui si è parte e quindi della propria interiorità che si deforma e rinasce continuamente per mezzo di essa. Un "Terzo" che è quindi anche lo stesso linguaggio generato da un volto reclamante responsabilità perché cifra di un Oltre, un 'metaverso' inteso come Nostroverso, espressione di direzione e dimensione ulteriore con cui rileggere l'intera esistenza. Un Oltre che insegna a avere cura di sé, degli altri e di ogni parola incarnata che muove scelte, azioni ed essere.
Avere cura è infatti un modo di conoscere meglio noi stessi e gli altri, nel nostro essere insieme anima e corpo, due modi diversi di conoscere la realtà, attraverso le azioni, le parole, ma anche le emozioni che determinano le nostre relazioni, le nostre interazioni con il mondo esterno e il nostro modo di vivere il corpo.
Nell’era dell’informazione la responsabilità personale è diventata una vera e propria urgenza, per quanto la comunicazione online sia diventata maleducata e crudele, indifferente all’Altro, violenta, fondata sugli istinti più bassi e sulla semplice velocità di reazione, spesso semplicemente subita passivamente come risposta a uno stimolo algoritmico e funzionale. Ogni individuo è chiamato oggi a assumere la responsabilità dei suoi comportamenti e atti online rispondendo delle proprie azioni, scelte e decisioni. Deve anche farsi carico di vigilare sul comportamento degli altri.
Semplici azioni dal valore etico che raccontano come la responsabilità che ci si assume, anche nell’uso della comunicazione in presenza dell’Altro e dentro comunità di persone, non è senza effetti, ci può perseguitare, provocare ferite nell’animo umano: “La responsabilità non è se non la possibilità di prevedere gli effetti delle nostre azioni, e delle nostre parole, di modificarle, e di correggerle, in base a tale previsione[81]”.
Sentirsi responsabili è un’esperienza etica che opera uno scarto determinato da una scelta, genera timore e tremore[82], ma è proprio attraverso di essa che si riesce a scoprire cosa ci costituisce internamente e anche esternamente, cosa ci fa essere come uomini e cosa ci sprona ad agire. Da responsabili, anche online, si è chiamati a prestare attenzione alle parole scelte e alle attese di chi ci ascolta o ci legge, a ricercare parole gentili e umane in grado di aprire ponti invece che erigere barriere, a farsi costruttori di dialogo superando distanza, lontananza ma anche indifferenza e insensibilità.
Consapevolezza e responsabilità sono il primo passo per Oltrepassare altre parole a cui qui assegniamo un valore etico. Parole come gentilezza e generosità, solidarietà e ospitalità.
La gentilezza, oggetto di riflessione in un libro scritto insieme da Carlo Mazzucchelli e Anna Maria Palma[83], è declinabile nel trattarsi bene e trattare bene, anche dentro relazioni digitali, virtuali e tecnologiche. Il richiamo alla gentilezza e al recupero anche semantico dei suoi significati nasce dall’urgenza dettata dalla crescente difficoltà (psico)relazionale, al dialogo e di ascolto, dalla proliferazione in Rete di cattive pratiche che evidenziano carenza di sensibilità e di attenzione, di comportamenti odiosi e umanamente cattivi, dalla necessità di trattarsi bene.
La gentilezza è una pratica molto umana, oggi forse negletta e dimenticata, ma sempre molto utile per coltivare relazioni autentiche, assertive, compassionevoli, solidali e amicali. Una pratica oggi spesso mediata tecnologicamente, vissuta attraverso avatar prepotenti, alter ego narcisistici, con i quali si rincorre una felicità illusoria (Chi mai potrebbe oggi sostenere di avere raggiunto una simile condizione?) nelle molteplici vite virtuali che la tecnologia ci regala. La difficoltà a essere gentili come persone si somma a quella di una gentilezza digitale associata a profili digitali dalla vita propria e dei quali spesso abusiamo, con comportamenti che sono l’esatto opposto della gentilezza.
Praticare la gentilezza, anche recuperandone il senso legato alle sue radici relazionali, oltrepassarne i significati correnti è un passo necessario per liberarsi dalla sudditanza al mezzo tecnologico e dalle sue catene fatte da gratificazioni artificiali, risposte binarie e tante manipolazioni. Anche se non è necessario si può comunque staccare la spina ritornando a privilegiare l’incontro umano, faccia a faccia, come occasione di gentilezza.
Per farlo bisogna recuperare: la lentezza e il senso dell’attesa (chi non ha ricordi di quanto sia stato emotivamente bello aspettare il fidanzato o la fidanzata in ritardo a un appuntamento o il viaggio finalizzato a un incontro?); l’attenzione verso gli altri (dietro un profilo digitale c’è quasi sempre una persona) e verso sé stessi; forme di educazione dimenticate, le buone maniere, la capacità dialogica e comportamenti finalizzati a trattarsi e a trattare bene, ad avere cura di sé e a prendersi cura degli altri.
Generosità, ospitalità, solidarietà...
Un’altra parola dal significato etico è generosità (parola che deriva dal latino generositāte(m), generōsus, nel suo significato largo di dono, magnanimità, nobiltà d’animo), parola dal significato profondo, nella pratica una sfida che bisogna saper cogliere. Rimanda alla parola generare e alla genesi. Non è una virtù economica ma essenziale che quando germoglia è capace di lasciare un segno nel tempo. È legata alla gente che ci sta intorno, con l’ambiente nel quale cresciamo e impariamo a vivere.
La generosità unisce, facilita lo scambio con l’Altro, è origine di nuove esperienze e di affetti, di serenità e nuove narrazioni. La scelta di essere generosi è anticonformista, partigiana, combatte l’indifferenza e sostiene la piena cittadinanza così come l’impegno educativo continuo, verso sè stessi e le nuove generazioni.
Essere generosi non è una scelta isolata ma comporta numerose altre scelte: la scelta di rallentare smettendo di andare di fretta, rinunciando alla velocità e all’accelerazione; la scelta di prestare attenzione a quanto accade dentro sé stessi e agli altri, ai messaggi lanciati dagli altri da sé, cercando di interpretarne il sentire, le motivazioni e i bisogni prima ancora dei contenuti, dei linguaggi e dei mezzi utilizzati, ma anche predisponendosi a modificare comportamenti, modi di pensare e giudizi su sé stessi e sugli altri; la scelta di ascoltare così come di non ascoltare, di tacere e rimandare la reazione dopo avere raccolto informazioni, selezionandone qualità e fonti; la scelta di essere sé stessi e di accettarsi anche quando è difficile e doloroso farlo, evitando di far coincidere il Sé con le sue versioni edulcorate e migliorate dei profili digitali; la scelta di rifiutare ogni forma di comunicazione violenta e aggressiva facendo prevalere il cuore e l’empatia, i sentimenti di solidarietà e di compassione, i gesti di generosità e (com)partecipazione su quelli divisivi, conflittuali, dettati dai pregiudizi, dal senso comune e dal conformismo dilagante dal quale molti si fanno piacevolmente e passivamente schiacciare; la scelta di contribuire in modo proattivo alla felicità degli altri, non solo con le parole ma con piccoli gesti, attenzioni, disponibilità al dialogo e alla conversazione, apertura al contatto e a incontrarsi, condivisione; la scelta di contribuire all’affermazione di valori, non necessariamente quelli oggi prevalenti, valori come la centralità della persona, del reale rispetto al virtuale, dell’esperienza relazionale fisica rispetto a quella digitale, della lentezza rispetto alle velocità tecnologica, dei legami rispetto ai contatti, ed altri ancora; la scelta di abolire ogni tipo di muro, di barriera che impedisce di entrare in contatto e comunicare, di vuoti più o meno artificiali come quelli che oggi vengono eretti per separare l’occidente dal resto del mondo, il bianco dal nero e il normale dal diverso.
Le scelte che caratterizzano la generosità sono ben diverse da quelle oggi vissute dentro una cultura libertaria e liberista che alla libertà ha assegnato una valenza prevalentemente commerciale e utilitaristica. Libertà di scegliere tra i mille prodotti disponibili, tra una Marca e un’altra, tra marchi diversi. Mentre le scelte generose implicano impegno, consapevolezza e responsabilità, quelle commerciali seguono percorsi predefiniti dalle promozioni e dalle pubblicità, oggi anche dagli algoritmi delle piattaforme di commercio elettronico online. Non sono neppure scelte considerando quanto labile sia oggi diventata la differenza reale tra molti dei prodotti pubblicizzati e commercializzati. Ma mentre un ordine di Amazon può essere tranquillamente cancellato e la scelta che lo ha determinato rivista in un baleno e senza effetti, un gesto generoso, gentile e solidale ha effetti che non possono essere eliminati con un click. Una scelta generosa non è revocabile, genera effetti irrevocabili, sul destinatario del gesto generoso così come su chi lo ha compiuto.
Solidarietà (dal latino giuridico solidum che indicava l’obbligo a pagare il dovuto, un atto solidale strettamente vincolato a un legame di interdipendenza) e ospitalità (dal latino hospes, ma anche hostis, straniero, ξένος in greco, nel doppio significato di colui che ospita e colui che è ospitato, il forestiero) sono anch’esse parole che richiamano all’etica e alla moralità individuale, parole da rivitalizzare e ri-energizzare, entrambe dall’elevata significazione umana. L’una e l’altra si manifestano nella capacità di rapportarsi all’Altro come persone, un modo per sfuggire non soltanto ai richiami sovranisti dei populisti attuali ma anche alla logica spersonalizzante della società tecnologica. Semanticamente il concetto di solidarietà varia a seconda dei contesti nei quali è utilizzato, in base alle connessioni parentali con concetti simili.
Solidarietà e ospitalità sono parole che si incontrano nel concetto di relazione (parola alla base di questo nostro scritto): la relazione a cui l’Oltrepassare mira è solidale nel senso di “solida”, elemento che si trova alla radice della singola esistenza e ne è radice a cui tornare e con cui rileggere se stessi e l’intera realtà; solida perché la relazione conduce alla consapevolezza e alla responsabilità come virtù che conducono a pensare e a agire “altrimenti”. Infine, la relazione a cui Oltrepassare mira è ospitale perché apre gli orizzonti delle anime per condurre ad un ampliamento, e quindi oltrepassamento, dell’intera società: solo essendo ospitali, quindi aperti alla “dimensione dell’altrimenti”, potremo essere custodi e carezze d’esistenza, testimoni e costruttori dell’oltre in ambito tecnologico, linguIstico e necessariamente etico.
A noi quindi interessa la parentela con i concetti di gratuità, fratellanza, ospitalità, condivisione e dono che richiamano il senso di responsabilità, l’attenzione all’appello che ci viene rivolto dal volto dell’Altro, il sentirsi parte di un tutto dentro la comunità umana. Il contesto che fa da sfondo è dominato dall’Altro come persona al quale viene riconosciuto il diritto di essere, agire, lavorare, stare bene e dal quale deriva per ognuno l’impegno etico e civile a favorirne la possibilità concreta.
Note
[1] Parola deriva dal termine latino paraula, dalla fusione del dittongo au in ‘o’. Paraula a sua volta è un’evoluzione di parabola, dal greco para+ballo. Para è un prefisso che indica vicinanza, ciò che sta accanto, mentre il verbo ballein significa gettare, porre.
[2] Chandra Livia Candiani
[3] Anna Maria Palma e Lorenzo Canuti, Vuoi parlare con me? Dialogare nell’esistenza, Edizioni Tassinari
[4] Kornei Chukovsky ha coniato il concetto di genialità linguistica per raccontare il passaggio dalla lingua parlata alla lingua scritta, uno sviluppo della comprensione delle parole e dei loro molteplici impieghi da parte del bambino, prima nel discorso e poi nella scrittura.
[5] Dante, Paradiso, canto XVII, versetto 58-60
[6] Il concetto di infosfera senza aggettivi a cui si fa riferimento è quello usato da Berardi Bifo che correttamente usa il concetto sia per descrivere l’epoca alfabetica (infosfera alfabetica) sia quella digitale (infosfera digitale)
[7] Umberto Galimberti “Se le nuove tecnologie rendono inutile comunicare”, pubblicato nel libro Il primato delle tecnologia -Guida per una nuova iperumanità
[8] Berardi Bifo: La sollevazione – Collasso europeo e prospettive del movimento, Edizioni Manni, 2011 Pag. 104
[9] Il motion capture (conosciuto con l'abbreviazione mocap, in italiano, "cattura del movimento"), è la registrazione del movimento del corpo umano (o di altri movimenti) per l'analisi immediata o differita grazie alla riproduzione. È principalmente utilizzato nel campo dell'intrattenimento, militare, sportivo o medico. (Wikipedia)
[10] La performance capture è una tecnologia cinematografica utilizzata per catturare movimenti ed espressioni facciali di un soggetto/attore reale per poi applicarli a un personaggio virtuale. La tecnica è stata usata in numerosi film ma per la prima volta da Robert Zemeckis nel film 'Polar Express'. Il film più famoso costruito sul perfezionamento della performance capture è stato sicuramente Avatar di James Cameron.
[11] “Dietro l’immagine non c’è nulla se non l’immagine stessa […]: essa si moltiplica sempre in modo identico” – Marc Augé
[12] Wilhelm Reich, il padre della psicoterapia corporea moderna.
[13] Miguel Benasayag Funzionare o esistere, Vita e Pensiero, 2019
[14] Intesa come lo spazio nel quale esercitiamo la nostra esperienza esistenziale della vita nel mondo, dalla semplice osservazione e contemplazione, all’attività tarsformativa, sempre in bilico tra esistenza ed essenza.
[15] Totalità e Infinito, Saggio sull'esteriorità, Edizioni Jaca Book, dodicesima ristampa 2021
[16] Edgar Morin, Lezioni da un secolo di vita, Mimesis, 2021. Pag 55
[17] Emmanuel Lévinas (1906-1995), Epifania del volto
[18] Definizione dello scrittore tedesco Thomas Macho
[19] Uno spunto tratto da un articolo di Umberto Galimberti
[20] Un giorno credi di Edoardo Bennato: “metti tutta la forza che hai nei tuoi fragili nervi/Quando ti alzi e ti senti distrutto fatti forza e vai incontro al tuo giorno”
[21] Termine usato da Pier Aldo Rovatti per un suo libro pubblicato nel 2019 da Elèuthera
[22] Ernst Bloch, Il principio speranza
[23] C'è una breccia in ogni cosa ed è da lì che entra la luce
[24] La setta degli uomini senza volto conservano i volti di coloro muoiono nel loro santuario. Li appendono alle pareti come maschere macabre da usare durante le loro attività criminali. Le maschere tuttavia sono molto più di semplici maschere, chi le indossa, assume l'aspetto della persona a cui il volto apparteneva.
[25] Emmanuel Lévinas: Totalità e infinito, Edizioni Jaka Book
[26] Il termine è stato coniato da Wilhem Reich per descrivere l’energia vitale, o energia pre-atomica, di cui sarebbe pervaso l'universo e che nell'uomo si manifesterebbe come energia sessuale e libido.
[27] Termine coniato da Carlo Mazzucchelli nel suo libro I pesci siamo noi - Prede, pescatori e predatori nell'acquario digitale della tecnologia, pubblicato da Delos Digital
[28] Marc Augé, Cuori alle schermo – Vincere la solitudine dell’uomo digitale. Pag. 114
[29] Francesca Rigotti, L’era del singolo, Einaudi Editore, 2021, Pag. 4
[30] “Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa.”
[31] Andrea Colamedici e Maura Gancitano, L’alba dei nuovi dei. Da Platone ai Big Data - 2021, Pag 42
[32] Da un articolo di Walter Siti sul quotidiano Domani: Nella società dello spettacolo diventiamo attori di noi stessi
[33] Umberto Galimberti: Il libro delle emozioni, Feltrinelli Editore, 2021
[34] Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon Comunità di Bose, Pag 44
[35] Il termine persona è scelto intenzionalmente per marcare la differenza con la parola individuo. A considerare individui i propri membri è la società moderna. Una società nella quale, come ha ben raccontato nei suoi libri sulla liquidità moderna Zygmunt Bauman, è sempre l’individuo che decide cosa sia buono o cattivo, lecito o illecito. Una società individualista nella quale è l’individuo ad attribuire valore alle cose.
[36] Jean Baudrillard: Il delitto perfetto – La televisione ha ucciso la realtà?
[37] Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito - Saggio sulla esteriorità, Jaka Book, prima edizione 1971, ristampa 2021, Pag 211
[38] Franco <<Bifo>> Berardi, La Congiunzione, NERO Edizioni, 2021
[39] Vanni Codeluppi, La vetrinizzazione della vita sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, 2007
[40] Anagramma di One, eletto
[41] Ugo Foscolo, Sonetti
[42] Federico Campana, Magia e tecnica - La ristrutturazione della realtà - Edizioni Tlon, 2021,Pag. 161
[43] Autore del libro Oralità e scrittura - Le tecnologie della parola
[44] Silvia Ferrara, Il Salto. Segni, figure, parole: viaggio all’origine dell’immaginazione - Feltrinelli Editore, 2021, Pag. 192
[45] Da un articolo su NOVA di Piero Dominici
[46] Cosimo Accoto, Il mondo dato, cinque brevi lezioni di filosofia digitale, EGEA, 2017, Pag. 113
[47] L’uomo è antiquato (Die Antiquiertheit des Menschen), Primo volume pubblicato nel 1956, il secondo nel 1980
[48] “Il linguaggio è la dimora dell’Essere”. Gadamer, Verità e metodo, Pag. 524
[49] Donatella Di Cesare, Utopia del comprendere, da Babele ad Auschwitz, Edizioni Bollati Boringhieri, 2021, Pag. 40
[50] Montaigne: Saggi, Edizioni Giunti/Bompiani, 2019, Pag. 863
[51] Ibid Pag 863
[52] “Le manifestazioni No Vax sono organizzate da persone che parlano di libertà, ma si rendono schiave delle proprie idee non mettendole in discussione. Gli antivaccinisti non scendono in piazza per manifestare un’opinione diversa, ma corrono il rischio di diffondere il virus diventando un pericolo per gli altri: i dati dei contagi del Friuli Venezia Giulia lo dimostrano. È un fenomeno che deriva ancora una volta dal collasso della nostra cultura e della nostra scuola, non più in grado di formare menti critiche. È il prodotto della mancanza di buona educazione e di dialogo: elementi in assenza dei quali si resta bulli che si nutrono di informazioni infondate”. Umberto Galimberti
[53] Il riferimento è al capolavoro di Elias Canetti Massa e potere
[54] Edgar Morin, La testa ben fatta
[55] “[…] la parola significato si può definire così: il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio” Ludwig Wittgenstein
[56] Il riferimento è al team di social media manager che affiancano il leader della Lega, Salvini, nelle sue attività di comunicazione social
[57] Leonardo Sciascia, Processo per violenza in Il mare color del vino
[58] Douglas Hofstadter e Emmanuel Sander: Superfici ed essenza. L’analogia come cuore pulsante del pensiero
[59] “L’autocoscienza è in sé e per sé in quanto e perchè è in sé e per sé per un’altra: ossia essa è soltanto come qualcosa di riconosciuto” - Hegel, Fenomenologia dello spirito, traduzione di E,de Negri, 1963, Pag. 153 vol.1
[60] E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza
[61] Ornella Castellani Pollidori: La lingua di plastica
[62] Ivano Dionigi: Parole che allungano la vita. Pensieri per il nostro tempo. Edizioni Cortina, 2020
[63] Vittorio Coletti, accademico della Crusca. La frase è contenuta in un suo articolo sull’Italiano della politica pubblicato sul sito dell’Accademia della Crusca
[64] Marc Augé: Cuori allo schermo, vincere la solitudine dell’uomo digitale
[65] Ludwig Wittgenstein
[66] Quando si parla di anglicismi tutti dovrebbero riflettere sulla quantità di parole che rientrano in questa categoria e delle quali non si ha più alcuna percezione della loro provenienza straniera. Ne è un esempio la parola sport (da cui sportivo, sportivamente). Ma l’elenco è lungo: marketing, hobby, party, bar, film, baby, e-mail, manager, partner, convention, wi-fi, backstage, auditing, endorsement, fake news, leggings, sexting, cyborg, ecc.
[67] L’esempio è stato fatto dallo psicologo Luciano De Gregorio
[68] Cory Doctorow
[69] Edgar Morin, Per un'educazione al pensiero complesso
[70] Edoardo Bennato, L’isola che non c’è
[71] Lo slogan di Vittorio (Vik) Arrigoni, attivista rapito e ucciso in Palestina
[72] Edgar Morin: “La benevolenza permette di considerare gli altri non solo per i loro difetti e le loro mancanze, ma anche per le loro qualità, nello stesso tempo nelle loro intenzioni e nelle loro azioni”.
[73] Il riferimento è alla concezione dell’etica di Paul Ricoeur
[74] Duccio Demetrio, All’antica- Una maniera di esistere, Raffaello Cortina Editore, 2021, Pag. 23
[75] Edgar Morin, Il Metodo 6 Etica, edizioni Cortina, 2005, Pag. 111
[76] Definizione usata da Francesco Varanini nel suo libro: Le cinque leggi bronzee dell’era digitale. E perché bisogna trasgredirle.
[77] Metaverso (Metaverse) è un termine coniato da Neal Stephenson in Snow Crash (1992), libro di fantascienza cyberpunk, descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Quella di Stephenson è una visione futuristica dell'internet moderna, frequentata dalle fasce della popolazione medio alte ove la differenza tra le classi sociali è rappresentata dalla risoluzione del proprio avatar, e dalla possibilità di accesso a luoghi esclusivi. Esempi di metaverso sono considerati i MMORPG e le chat in tre dimensioni come Second life o Active Worlds.
[78] Francesco Varanini
[79] Jón Kalman Stefánsson: "Paradiso e Inferno", Pag 11
[80] Ode su un'urna greca di John Keats, pubblicata nel 1819
[81] Eugenio Borgna: Le parole che ci salvano
[82] Riferimento all’opera di Søren Kierkegaard Timore e Tremore pubblicata nel 1843 con lo pseudonimo di Johannes de Silentio
[83] La gentilezza che cambia le relazioni digitali - La gentilezza per le relazioni nell’era digitale, per recuperare lentezza, attenzione verso sé stessi e gli altri, la buona educazione e le buone maniere., Delos Digital, 2018
[84] Daniel Gamper: Le parole migliori, Treccani Editore, 2021, Pag. 134
[85] LEdgar Morin L’homme e la mort - Seuil, Paris 1970, trad. ital., Newton Compton, Roma 1980
[86] Un concetto espresso dal filosofo del linguaggio Lev S. Vygotskij
[87] Diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno (per es., dei propri avversari politici, dei propri nemici in un conflitto bellico, e sim.).
[88] Gianrico Carofiglio La nuova manomissione delle parole, Feltrinelli, 2021, Pag. 57
[89] Il libro di Carlo Mazzucchelli “Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta. Alla ricerca di senso nell’era tecnologica e digitale” è pubblicato in formato digitale e cartaceo da Delos Digital
[90] Il fenomeno della «retrotopia» deriva dalla negazione della negazione dell’utopia, che con il lascito di Tommaso Moro ha in comune il riferimento a un topos di sovranità territoriale: l’idea saldamente radicata di offrire, e possibilmente garantire, un minimo accettabile di stabilità, e quindi un grado soddisfacente di fiducia in sé stessi. (Zygmunt Bauman, trad. di Marco Cupellaro, Repubblica, 3 settembre 2017, Robinson, p. 16)
[91] Eterotopia è un termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano».
[92] Binge watching è un termine della lingua inglese con cui si indica l'atto del binge-watch, ossia il guardare programmi televisivi per un periodo di tempo superiore al consueto, particolarmente la pratica di usufruire della visione di diversi episodi consecutivamente, senza soste. Traducibile in italiano con "maratona televisiva", in inglese per tale azione sono anche usati i termini binge viewing e marathon viewing. Evoluzione di tale pratica è il binge racing (tradotto in italiano come gara di abbuffata), ovvero il guardare l'intera serie tv in sole 24 ore; tale pratica, che coinvolge circa 8,4 milioni di fruitori, è praticata specialmente sulle piattaforme televisive, in cui gli episodi delle serie tv vengono rilasciati insieme simultaneamente. (Wikipedia)
[93] Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta. (Wikipedia)
[94] Il concetto è stato spesso usato nei suoi libri dal Cardinal Ravasi, riprendendo una terminologia usata da Teilhard de Chardin per il quale il linguaggio diventa epifania e trasparenza della rivelazione divina. In esso si manifesta la potenza del Logos del prologo giovanneo, già evocato, secondo la semantica semitica sottesa. In ebraico, infatti, dabar, “parola”, significa contemporaneamente anche “atto, evento”. Dire e fare s’intrecciano.
[95] I concetti qui espressi fanno riferimento al pensiero di Paul Ricoeur
[96] Spunti tratti dal pensiero di Iris Murdoch
[97] Edgar Morin, Etica, Cortina Editore, Pag. 51
[98] Daniel Gamper; Le parole migliori, Treccani editore, 2021, Pag. 68
[99] Ece Temelkuran, La fiducia e la dignità, Bollati Boringhieri Editore, 2021,
[100] Spunti tratti dal libro di Ermanno Bencivenga: Parole che contano
[101] È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire io sono pensato. – Scusi il gioco di parole. IO è un altro. Questa formula ricorre in due lettere della Corrispondenza di Arthur Rimbaud: nella lettera del maggio 1871 a Georges Izambard – professore di Rimbaud al collegio, ma anche amico e confidente che lo iniziò alla letteratura; ed in quella immediatamente successiva a Paul Demeny amico di Izambard, a sua volta poeta, risalente al 15 maggio 1871.
[102] Come ha per tempo ben spiegato il filosofo Maurizio Ferraris nei suoi libri lo smartphone è usato più per scrivere che per parlare. Più che un telefono è una lavagna trasparente e condivisa.
[103] Lamberto Maffei, Elogio della parola, Edizioni Laterza, 2018, Pag. 7
[104] La poesia nella sua versione in inglese: Be Careful of Words - Be careful of words, even the miraculous ones. For the miraculous we do our best, sometimes they swarm like insects and leave not a sting but a kiss. They can be as good as fingers. They can be as trusty as the rock you stick your bottom on. But they can be both daisies and bruises. Yet I am in love with words. They are doves falling out of the ceiling. They are six holy oranges sitting in my lap. They are the trees, the legs of summer, and the sun, its passionate face. Yet often they fail me. I have so much I want to say, so many stories, images, proverbs, etc. But the words aren’t good enough, the wrong ones kiss me. Sometimes I fly like an eagle but with the wings of a wren. But I try to take care and be gentle to them. Words and eggs must be handled with care. Once broken they are impossible things to repair.
[105] Anne Sexton (Weston, 4 ottobre 1974) è stata una scrittrice e poetessa statunitense. Dopo diversi tentativi di suicidio, il 4 ottobre del 1974, anno del suo divorzio, Anne Sexton scese in garage e dopo aver acceso il motore della sua macchina si lasciò morire inalando il monossido di carbonio. È sepolta al Forest Hills Cemetery & Crematory a Jamaica Plain, Boston, Massachusetts.
[106]La frase è una riflessione di Donatella Di Cesare fatta nel suo libro Utopia del comprendere, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2021, Pag.22
[107] Byung-Chul Han (2014). Razionalità digitale. La fine dell’agire comunicativo
[108] Spunti tratti dal libro di Zygmunt Bauman Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.
[109] Termine utilizzato da Emmanuel Lévinas per rappresentare la dimensione dell’alterità e dunque il senso della comunità e della responsabilità.
[110] Zygmunt Bauman: Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.