- Parole in forma di carezze [leggi qui]
- Il volto e le facce
- Sempre connessi mai congiunti [leggi qui]
- Persi dentro schermi magnetici e luccicanti [leggi qui]
- Ambienti digitali e forza delle parole [leggi qui]
- La ricchezza delle parole [leggi qui]
- Parole inflazionate, parole ricche di significati [leggi qui]
- La ricchezza delle parole [leggi qui]
- Le parole dell’etica [leggi qui]
- Una riflessione necessaria [leggi qui]
- Oltrepassare come azione etica [leggi qui]
- Serve uno sguardo diverso [leggi qui]
- Alla fine del viaggio dentro le parole [leggi qui]
- Siate cauti con le parole [leggi qui]
“Ci sono parole importanti, di uso quotidiano, il cui significato nel tempo si è dilatato fino a diventare incerto, fino a renderle vaghe e prive di contorno, così che oggi, come i liquidi prendono la forma dei recipienti che li contengono, possono essere adatte a contesti diversi senza però significare più nulla di sicuro.” – Massimo Angelini, Ecologia della parola
“Sì, pensare non basta. Le parole non pronunciate diventano briciole, ci saziano per un istante ma si dimenticano altrettanto in fretta. Solo quando escono dalla bocca rivelano il loro valore… Però possiamo scriverle. Sì, ma allora occorre qualcuno che sappia leggerle […]”– Cucinare un orso, Mikael Niemi
“Lasciaci oltrepassare la gioia e il dolore - Lasciaci oltrepassare l’astio e l’affetto - Lasciaci oltrepassare le parole dure e quelle vane, le parole vuote dell’amoreLasciaci oltrepassare.” -- Abbas Kiarostami
“Non voglio parole che mi spieghino e nemmeno che sgroviglino né chiariscano. Non voglio parole che mi riempiano e nemmeno che mi facciano sentire sciocca e con poca scuola alle spalle. Non voglio parole che complichino senza un cuore al centro. Non voglio parole che si diano arie. Ho bisogno di parole leggere eppure capaci di sfamare e dissetare, parole che mi domandino tanto, tutta la testa da mozzare e un cuore ingenuo da allenare al passo delle bestie nella foresta, vigile e sempre a casa, eppure sempre in pericolo. Voglio parole disobbedienti ma anche candide. Parole capriole e parole solletico, parole lampi, fulmini e tuoni, parole aghi che cuciono e parole che strappano la stoffa del discorso.” Chandra Livia Candiani - Salutare le parole - articolo della rivista Doppiozero
Il volto e le facce
La proliferazione di simulacri, avatar, simbionti e cyborg vari che hanno la pretesa di umanizzare la macchina non sopprime una specificità tipicamente umana, l’unicità del volto di ogni persona, il fatto che noi siamo differenza. Questa unicità aiuta a ricordare quanto l’immagine[11] sia incapace di generare “emozioni come reazioni corporee istintive[12]”, non sostituisca il corpo incarnato, ancor meno il suo volto.
“il volto è il modo in cui si presenta l’Altro”
Lo ha spiegato molto bene il filosofo lituano-francese Emmanuel Lévinas nel suo libro più importante Totalità e infinito. Il libro descrive il volto come apertura dell’essere perché “il volto è il modo in cui si presenta l’Altro”. Un incontro tra immagini e simulacri digitali può mostrare le qualità che li caratterizzano e danno loro forma, ma non può sostituire la presenza dell’Altro, nella sua bellezza così come nella sua negatività, “l’asse centrale e la condizione stessa dell’esistenza” come ha ben raccontato anche Miguel Benasayag nel suo libro Funzionare o esistere[13]. Immagini e simulacri non possono sostituire il corpo umano inserito nel mondo, con il suo modo singolare di presentarsi, di percepire, di sentire, di muoversi, di relazionarsi con la realtà[14] e con gli altri, con le sue posture che cambiano in ogni situazione, la sua mimica. Non può sostituire il ruolo del volto umano con la sua espressività, empatia, desiderabilità, eroticità, capacità di sedurre, di chiedere aiuto e/o di minacciare, il suo essere un luogo dentro il quale si sperimentano tutte le dinamiche umane che permettono a ogni singolo individuo di esercitare la sua libertà.
Al di là dei numerosi contesti abitati (anche piattaforme tecnologiche, realtà virtuali e metaversi vari) e in modo inafferrabile. Tutto ciò è impossibile da sperimentare online, in contesti nei quali le facce, entità digitali che si offrono a una osservazione statica, sono state scelte e preferite al posto dei volti per rappresentare i profili individuali digitali con cui si naviga in rete. Anche online ci si può mettere la faccia, si può mostrare la propria faccia tosta o di bronzo, la si può rendere pervasiva, ricercata e riconoscibile ma è pur sempre l’espressione di un aspetto esteriore, pura apparenza.
Immagini e simulacri non possono sostituire il corpo umano inserito nel mondo, con il suo modo singolare di presentarsi, di percepire, di sentire, di muoversi, di relazionarsi con la realtà e con gli altri
Dal latino facies, aspetto, forma, la faccia è dotata di una superficie delimitata, il risultato di una costante messa a fuoco da parte di un osservatore, è una parte che racconta il tutto, come ha scritto la semiologa Patrizia Magli. Il volto (participio passato di volgere, suggerisce dinamicità, il girarsi verso qualcuno, un volgersi verso gli altri) è qualcosa di diverso, è una superficie di senso, non è solo immagine ma genera immagini, è molte immagini insieme, è sguardo e linguaggio, profondità che va oltre i confini della presentazione e della rappresentazione, della vicinanza e della lontananza, non si limita a raccontare il qui e ora, parla del tempo che passa, della sua durata e delle sue numerose dimensioni, non è oggettivabile nelle sue espressioni e nemmeno categorizzabile sulla base di dati puramente anagrafici, personali o professionali. Il volto racconta l’animo interiore, il suo stare bene o stare male, il suo essere sereno o turbato, quanto sia portatore di sentimenti compassionevoli o espressione di odio e di cattiveria.
Il volto non può essere ridotto a semplice segno, immagine o icona. Racconta la relazione con l’Altro, lo stupore che sempre è in grado di generare, la sua presenza viva che mette costantemente in crisi i tentativi sempre ripetuti con i quali si cerca di incasellarlo, attraverso il proprio pensiero e dentro forme già note. I sentimenti passano dal volto, non scorrono sulla faccia, tanto meno su quella levigata con Photoshop con cui scorrazziamo sui muri delle facce, dentro il tubo dei video di Google e online. Per Lévinas “Noi chiamiamo volto il modo in cui si presenta l'Altro a me. […] La vera natura del volto sta nella domanda che mi rivolge. Il volto […] è traccia dell'infinito […] distrugge a ogni istante e oltrepassa l’immagine plastica che mi lascia nella mia mente[15]”. Le facce a cui ricorriamo oggi sono ritoccate, plastificate, ridondanti, levigate, usate utilitaristicamente o commercialmente, menzognere, poco etiche perché spesso usate in assenza di rispetto (anche per sé stessi), scarsa consapevolezza e nessuna responsabilità. Il volto di Lévinas è nudo, appare nella sua povertà, vulnerabilità e debolezza, come tale è fondamentalmente etico, alla base di ogni conoscenza personale, ben lontano dal suo sfruttamento egocentrico e narcisista, indirizzato al soddisfacimento dei propri interessi escludendo ogni impegno personale in una relazione autentica con l’Altro.
Le facce a cui ricorriamo oggi sono ritoccate, plastificate, ridondanti, levigate, usate utilitaristicamente o commercialmente, menzognere,
L’insostituibilità del volto umano in presenza nasce anche dalla constatazione che noi possediamo il mondo nella misura in cui lo possiamo condividere, anche emotivamente e responsabilmente, con l’Altro. Noi siamo essenzialmente relazione, lo siamo nel modo con cui ci relazioniamo ad altri soggetti così come quando lo facciamo con le cose e gli oggetti, ma anche da un punto di vista logico e linguistico. Il nostro Io psichico (Io-Es-SuperIo) forse non è quello descritto da Freud, dentro una ricerca tutta centrata sulla psiche dell’individuo. Probabilmente può essere meglio raccontato, come ha fatto lo psichiatra Vittorino Andreoli nel suo libro La psicologia del Noi (2021) come ciò che si costruisce “non sulla base di una struttura dell’Io, ma di una relazione che guida la formazione della psiche nell’incontro, attribuendole caratteristiche che sono proprie di quella relazione”. L’Io psichico sarebbe quindi l’espressione di una tendenza a legarsi all’Altro attivando un “Noi”. In un processo nel quale le esperienze e i vissuti generati dall’incontro grazie alla plasticità del cervello, “diventeranno un fondamento per l’apparato psichico esclusivo dell’uomo”, per la sua esistenza. Al “Noi” fa riferimento anche l’umanista Edgar Morin che parlando di fraternità riferita all’ideale di Europa ne trova la fonte nel bisogno dell’”Io” che per fiorire ha bisogno di un “Noi” e di un “Tu”, di una “relazione intima che comporti riconoscimento reciproco della pienezza umana dell’Altro[16]”.
L’incontro tra un “Io” e un “Tu”, tra un “Noi”, non è quello di convenienza, opportunistico o strumentale ma esistenziale, vitale, collegato alla soddisfazione di bisogni essenziali. Ognuno di questi incontri relazionali, sempre caratterizzati dall’imprevedibilità e dall’inaspettato, dal turbamento e dallo stupore, si esprime in pensieri ma anche in sentimenti ed emozioni. Senza una percezione emozionale durante un incontro, che è sempre percezione delle differenze, non esiste nessuna singolarità. Come dice Lévinas “E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto[17]“. Solo dall’incontro tra volti si scopre quanto ognuno di noi sia sottomesso e "condizionato", perseguitato, quasi costituito dalla presenza dell’Altro così come dalla responsabilità etica nei suoi confronti. Come ha ben raccontato Lalla Romano in una sua poesia raccolta nel suo libro Giovane è il tempo del 1974: “Io sono in te - come il caro odore del corpo - come l’umore dell’occhio - e la dolce saliva - Io sono dentro di te - nel misterioso modo - che la vita è disciolta nel sangue - e mescolata al respiro”.
La responsabilità è tanto più grande quanto diffuse, profonde e traumatiche sono le trasformazioni di un’era contemporanea ipertecnologica testimone di un imbarbarimento antropologico che si manifesta, come è già successo molte volte nella storia umana, in molteplici regressioni culturali, oggi anche tecno-linguistiche di stampo riduzionistiche, che portano a celebrare come pratiche politiche accettabili il disprezzo, la violenza e la distruttività. L’imbarbarimento è ben evidenziato dall’individualismo imperante, non come espressione dell’individuo nel suo essere singolare, indivisibile e unico ma come atteggiamento di singoli individui egoisti e autocentrati nel loro pensare solo a sé stessi, alla propria immagine e reputazione online. Questo tipo di individualismo, spesso associato a forme di nichilismo e cinismo che si esprimono anche in forme inquietanti di esibizionismo, si aggira nella società tecnologica, intubata e facciale[18] penetrando, come ha ben raccontato Umberto Galimberti, pensieri e sentimenti, facendoli confondere, privandoli di prospettive e orizzonti[19], fiaccando la mente, rendendo tristi ed esangui le passioni.
prevale un individualismo barbaro come atteggiamento di singoli individui egoisti e autocentrati nel loro pensare solo a sé stessi
Queste forme di nichilismo sono determinate forse da tanta rassegnazione e indifferenza dall’avere lasciato cadere le braccia (il riferimento è all’album di Bennato nel quale invitava al contrario a non mollare mai[20]. Sono legate a una crisi di sconforto e di inquietudine, all’assenza di ogni speranza di futuro, tutti sentimenti alimentati da forme di socialità virtuali inautentiche sempre più tra uguali. Tanti narcisi, egosauri[21] e individualisti che si raccontano di essere speciali e singolari, ma ai quali mancano relazioni autentiche, le sole che potrebbero permettere loro di (ri)scoprire la loro reale singolarità e identità.
Per farlo dovrebbero però rinunciare alle certezze algoritmiche, al mito della felicità legata all’attimo (s)fuggente del presente e all’edonismo della mentalità tecnologica, per accettare le incertezze e le imprevedibilità del reale che sempre ricorda a tutti di misurarsi con la morte e la finitudine dell’essere umano. Coltivando la consapevolezza e la responsabilità, cogliendo “l’eternità nell’istante[22]”, intendendo per eternità la pienezza dell’esistere, alla scoperta del senso delle cose, anche della vita, resa possibile dalla nostra capacità umana di trovare sempre spiragli di luce all’oscurità opaca che sempre ci cattura dentro ogni attimo vissuto velocemente, illuminandola (“There is a crack, a crack in everything - That's how the light gets in.[23]” - Leonard Cohen)
“There is a crack, a crack in everything - That's how the light gets in. (Leonard Cohen)
La responsabilità è oggi diventata evanescente, dentro contesti digitali che hanno trasformato il volto umano in effimera apparenza, semplice maschera da mettere in vetrina, esposta su un muro di facce che paradossalmente ricorda quello del santuario degli uomini senza volto di Braavos della saga del Trono di spade[24]. Facce tra loro simili nonostante i continui aggiustamenti e i ripetuti autoscatti alla ricerca della foto perfetta.
Semplice prodotto di selfie e ritocchi continui queste ‘facce da bit’ sono espressione narcisistica ed egoistica del Sé, di individui ormai fagocitati dal loro essere protagonisti abitando mondi virtuali e simulati che hanno eliminato il volto degli altri ma non il bisogno di sperimentarne la presenza (“È nel viso che si compie la presenza”[25]). Ma non tutti sono disponibili a riconoscere questo bisogno e a riflettere sulla ingannevole realtà delle facce. Così come le maschere dei senza volto di Braavos sono indossate per assumere l’identità del volto di cui la maschera è espressione per compiere assassini brutali con la faccia di un altro, sulle piattaforme social prolificano oggi i profili digitali fasulli, con facce rubate o artificialmente e appositamente create per compiere azioni criminali, per manipolare l’informazione e l’opinione pubblica.
dentro uno schermo è come se avessimo messo la faccia nell'acqua, accettando il rischio di soffocare
Pur avendo messo le nostre facce in vetrina e trasferito la nostra vita dentro uno schermo-vetrina, tutti dovremmo però rammentare che, in assenza dell’Altro, sempre più in distanza, è come se avessimo messo la testa sott’acqua, a poco a poco si finisce per soffocare. Metafora non casuale nei tempi della pandemia che del respiro ha fatto un'icona vitale, non solo di sopravvivenza alla morte.
Quando l’aria si fa più rarefatta si perde la capacità di guardare oltre la superficie, alla propria originalità e a quella dell’Altro, in particolare a ciò che nasce dalla relazione tra persone tra loro diverse, al di fuori degli stereotipi, delle abitudini consolidate del momento e delle pratiche condivise dai più. Tra corpi diversi che si incontrano circola una energia biologica (Orgonica[26]) inesistente online (qui finisce la similitudine con le sale di terapia intensiva che hanno mostrato l’importanza del contatto e della presenza umani) e la cui mancata esperienza è causa di malessere fisico, umorale e psichico. Ne sono oggi testimonianza concreta le numerose malattie mentali e psichiche, le nevrosi e le sofferenze che interessano migliaia di individui, espressione anche della crescente confusione tra reale e immaginario, di sfiducia verso sé stessi e il futuro, di amarezza e scontento.
Attraverso il viso noi manifestiamo all’esterno la nostra interiorità, ciò che è nascosto dentro di noi viene a galla, la passione si manifesta e l’invisibile diventa visibile, sia fisicamente sia moralmente, prestandosi all’interpretazione semantica nella percezione degli altri. Il volto si è ormai trasformato in semplice immagine riflessa. L’Altro è affogato dentro “acquari-mondo, tubi e voliere digitali”[27] nei quali tutti i pesci sono uguali e nuotano all’apparenza felici e riconoscenti (“…e grazie per tutto il cibo”), perché tutti intrappolati e adeguatamente alimentati.
L’Altro è affogato dentro “acquari-mondo, tubi e voliere digitali”
Un Altro sempre chiamato in causa ma sempre più immerso in una iper-comunicazione finalizzata al consumo, all’intrattenimento e alla ricerca di gratificazioni continue, come è stato ben raccontato dall’intelligente e un pò inquietante film recente Don’t Look Up, che sembra anche un invito a tenere lo sguardo sempre incollato allo schermo, a terra. Un Altro ben diverso da quello di cui parla il semiologo francese Roland Barthes nel suo libro Frammenti di un discorso amoroso. Un Altro paragonato a un (s)oggetto amoroso, un essere fuori luogo, qualcosa di strano e come tale diverso, mai uguale agli altri: “L’altro che io amo e che mi affascina è “atopos”. Io non posso classificarlo, poiché egli è precisamente l’Unico, l’Immagine irripetibile che corrisponde miracolosamente alla specialità del mio desiderio. È la figura della mia verità; esso non può essere fissato in alcun stereotipo, che è la verità degli altri”. L’invito di Barthes, forse non dissimile da quello di Lévinas, è a prestare attenzione al volto dell’Altro perché, nella sua innocenza, esso è originale, atopos, non sa il male che può procurare a chi lo sta guardando, anch’esso impegnato nel suo essere a sua volta atopos e nella ricerca di originalità. Prestare attenzione serve per prendere consapevolezza che “la vera originalità non è né in me né nell’altro, ma nella nostra stessa relazione. Ciò che bisogna conquistare è l’originalità della relazione”.
L’aggettivo Atopos indica chi è fuori luogo, sia nel senso positivo di straordinario o originale, sia in quello negativo di strano, assurdo e innaturale. Il termine compare nel Gorgia di Platone per qualificare le tesi di Socrate. Socrate stesso viene definito atopos – strano, come colui che vive senza appartenenza, al di là, Oltre. Ragiona da sé, non si fa attrarre né manipolare dai piaceri e dai dolori che solitamente indirizzano le azioni delle persone e per questo è considerato strano. Socrate è originale perché è un uomo libero, atopos appunto. Lo è soprattutto perché continua a porsi e a porre a tutti domande strane: Cos’è la giustizia, Cos’è la bellezza, ecc. Invitava poi a prendersi cura dell’anima, dello spirito, sede delle qualità intellettive e morali dell’uomo. Ciò che peraltro hanno sempre fatto i filosofi di tutti i tempi.
La pratica del porsi continue domande è sempre valida, oggi lo è ancora di più. Prima che la domanda sia emersa alla mente spesso non ci si è formati un’opinione. La domanda allora costringe a valutare i pro e i contro, prima di fare delle scelte e prendere una decisione. È una pratica che mira a risposte, induce alla riflessione, fa nascere altre domande, incrina l’armatura che spesso indossiamo sperando che ci isoli, anche acusticamente, dall’esterno. Suggerisce di non perdersi in parole vuote e senza significato, di non limitarsi al presente, ormai automatizzato, al qui e ora che sempre viene distrutto, ma di proiettare il proprio sguardo coraggioso oltre il dito che punta alle stelle, oltre il proprio narcisistico sé, al di fuori degli spazi abitualmente abitati, per ricercare conoscenza, senso e compiutezza. Anche esercitando lo sguardo dell’Altro e sull’Altro, per conoscere sé stessi e, con Socrate, essere atopos. Un Altro atopos che con la sua alterità determina e costituisce l’identità individuale del singolo con cui si relaziona[28]. Una identità che si costituisce a partire da qualcosa di diverso, qualcosa che essa non è.
non perderti in parole vuote e senza significato, non limitarti al presente ormai automatizzato, ma proietta il tuo sguardo coraggioso oltre il dito che punta alle stelle
L’Altro che, nella visione di Lévinas, incombe come responsabilità, perseguita l’individuo richiamandolo a interrogarsi e a riflettere su cosa lo fa essere e cosa lo fa agire, sembra oggi scomparso. Parafrasando Lévinas, quindi, siamo nel regno dell’Io, dell'unico, dell’egoistico Essere e non dell'"Altrimenti che essere". Il regno dell’unico, del singolo, individualista e egoista, cosa diversa dall’individualismo dell’era moderna che ha dato forma alle nostre democrazie riconoscendo l’altro come portatore degli stessi diritti, è (iper)tecnologico e (post)moderno.
Alla ricerca costante di ciò che è speciale e individuale, di una felicità su misura, sempre personalizzata, mai personale: “un mondo di monadi solitarie, distribuite su mille piani e comunicanti a distanza[29]”. Impegnato in una ricerca costante di visibilità e auto-realizzazione, il singolo che abita le piattaforme digitali punta sulla singolarità, fa gruppo, costruisce reti, ricerca interazioni continue attraverso strumenti tecnologici ma non fa comunità, non costruisce comunanza, non ama confondersi con gli altri perché l’uguaglianza non è più il suo destino, non cerca la dialettica esperienziale con la negatività dell’Altro ma tuttavia celebra quanto sia bello essere tutti uguali, tra loro identici. Nelle Reti dei contatti non si cerca l’Altro diverso da sé ma coloro che hanno la nostra stessa opinione, le stesse preferenze, uguali stili di vita e comportamenti. La mancanza di confronto dialettico che serve a cogliere la differenza con l’Altro impedisce di cogliere l’alienazione dell’uguaglianza percepita dai tutti uguali e di ascoltare il richiamo forte “di essere cullato, confortato, amato e di amare” (Edgar Morin) lasciandosi andare alla leva senza parole del desiderio erotico dell’Altro, prestandogli attenzione, dedicandogli tempo, accettando al sua diversità e alterità così come la sua compassione e cura.
il singolo che abita le piattaforme digitali punta sulla singolarità, fa gruppo, costruisce reti, ricerca interazioni continue attraverso strumenti tecnologici ma non fa comunità
Il bisogno di essere cullato è stato ben raccontato dal sociologo polacco Zygmunt Bauman come voglia di comunità, un bisogno impellente per sopravvivere dentro la liquidità che ha investito ogni aspetto della vita moderna. L’Io singolare, alla ricerca costante di singolarità, una parola che non casualmente richiama la singolarità delle macchine, sembra avere dimenticato quanto il nostro Io sia sempre in relazione con il Noi, alla ricerca costante di un equilibrio, anche in contesti nei quali il Noi vive per alcuni attimi fuggenti per poi tornare ad addormentarsi. Ne è testimonianza la diminuzione delle relazioni corporee (online però le piattaforme porno vanno alla grande), del toccarsi fisico, la ritrosia ad abbracciarsi e a ridurre le distanze per non favorire o incentivare il contatto. Lo testimonia anche l’appannarsi dell’olfatto, un senso a cui si pensa di poter facilmente rinunciare e che non si sperimenta online perché non si lascia imbrigliare da uno schermo, ma che è strumento potente di orientamento nel mondo e, in molti casi, anche di sopravvivenza, in quanto capace di proteggerci impedendoci di ingerire ciò che è nocivo o velenoso.
Se questi sono i comportamenti oggi prevalenti la riflessione non può essere solo descrittiva e sociologica ma filosofica, fenomenologica. Tutti sono chiamati a riflettere filosoficamente per comprendere che i contesti abitati sono più complessi di quanto ci vengano raccontati e di quanto siano da molti percepiti. È necessario andare oltre le proprie convinzioni e i propri comportamenti individuali per acquisire la consapevolezza che la felicità, oggi diventata un mantra di mille correnti felicitarie (auto)riferite a teorie quali la psicologia positiva, è un grande inganno, un sogno. Non si realizza sul piano individuale e non dipende soltanto dal singolo, non deriva dall’abbandonarsi in modo indaffarato al tempo presente come unico attimo fuggente e frettoloso da vivere intensamente.
La felicità non genera dall’avidità, nasce dall’agire insieme promuovendo democrazia, libertà, solidarietà e uguaglianza e si affida alla durata, fatta di tanti attimi seguenti e concatenati che uniscono, per citare Sant’Agostino “il presente del passato al presente del presente e al presente del futuro[30]”. La sfida a cui tutti sono chiamati non è a eccellere in una delle tante vite virtuali online ma a tenere sempre ben desto il “Noi”, il nostro interesse individuale per un “Noi” da cui dipende, nella relazione tra un Io e un Tu, la nostra realizzazione personale, ma anche collettiva. Questa relazione ha bisogno di avere tutti i suoi protagonisti attivi e svegli, animati dalla volontà e dall’impegno a coltivare valori, comportamenti e etiche condivisi. Nella consapevolezza che la vita è fatta di tanta incertezza, è un viaggio avventuroso pieno di rischi e sorprese ma che vale sempre la pena di essere vissuta, insieme agli altri, praticando responsabilità e solidarietà.
più che a eccellere in una delle nostre tante vite online, siamo chiamati a tenere sempre desto il noi da cui dipende la nostra piena realizzazione
Lo ha raccontato anche Byung-Chul Han nel suo libro L’espulsione dell’Altro del 2016 ispirato al pensiero del filosofo francese Lévinas. Secondo il filosofo coreano la sparizione dell’Altro è determinata dalla celebrazione dell’Uguale, dentro modelli economici neoliberisti e sociali costruiti su scambi prevalentemente consumistici. “L’Altro come mistero, l’Altro come desiderio, l’Altro come Eros, l’Altro come desiderio, l’Altro come inferno, l’Altro come dolore…” ha perso il suo potere, è ormai diluito e diventato evanescente, dentro una celebrazione del conformismo che spinge a essere tutti uguali (in fondo chi non vuole esserlo nella società che ha realizzato la diseguaglianza più grande?), e vuole tutti omologati, tutti frequentatori degli stessi spazi condivisi, tutti esposti in un immenso e virtuale scaffale a muro come semplici prodotti, merci. Questi spazi sono abitati da facce, rappresentate in forma di simulacri e maschere da semplici profili digitali, ma non da volti, il luogo dove, secondo Lévinas, avvengono tutte le dinamiche umane. Dove l’ontologia scompare per far spazio alla dimensione comunitaria, teatro del vero agire e del vero essere. A partire dalla sua dimensione fisica e psicologica, fino all’apertura da esso consentita a livello etico e politico, in Lévinas, il volto rappresenta l’inizio di un ‘vivere altrimenti’.
Il volto che, attraverso le sue espressioni, i suoi flussi sanguigni e movimenti, il volto è in grado di trasmettere gioia o tristezza, rabbia o felicità, noia o indifferenza non può però essere sostituito da avatar digitali o da banali seppur espressivi emoji. La sostituzione impedisce la descrizione, anche a sé stessi, delle proprie emozioni e dei sentimenti da esse determinati, ingenerando una frustrazione crescente che genera inadeguatezza e sofferenza psichica.
Il volto, che si manifesta sempre in modo silenzioso, misterioso e provocatorio, è ciò che rimane dell’uomo, la sua verità, al di là di categorie e di giudizi dentro i quali viene collocato dalla società e dalle sue dinamiche. Esattamente quello che sta succedendo anche adesso, nella società tecnologica corrente dominata da piattaforme digitali che ci vogliono tutti omogeneizzati e conformisticamente identici, nel nostro pensare e sentire, nel nostro essere merce, produttori di dati e semplici consumatori. Piattaforme sulle quali le nostre facce accumulano MiPiace e follower ma senza mai veramente incontrare l’Altro, nelle quali la comunicazione e l’interazione avvengono dentro echo chamber, camere dell’eco nelle quali si sta con chi ha la stessa opinione lasciando da parte ed escludendo gli Altri, ritenuti diversi (atopos), in qualche modo persino pericolosi perché portatori di messaggi, narrazioni e visioni alternative e fuori luogo.
inutile accumulare MiPiace, follower e faccine sorridenti se non si incontra mai l'altro da noi
Come scrivono Andrea Colamedici e Maura Gancitano “Vivere in una bolla che conferma perennemente i propri pensieri, che rafforza le proprie opinioni e esclude qualunque forma di divergenza significa condannarsi alla stupidità[31]”. Uno degli effetti più immediati è lo scadimento e immiserimento dell’esperienza, quanto meno la perdita della sua capacità a sorprenderci, sconvolgerci, trasformarci, anche con le sue componenti negative, di dolore (non è un caso che nel Muro delle Facce o giù per il tubo dei video non esista un corrispettivo al negativo del MiPiace). Ma le Echo Chamber possono essere volontariamente abitate rifiutando l’omologazione al senso comune accettando di confrontarsi e condividere posizioni diverse, contrastando il conformismo che le caratterizza provocando, decostruendo e dialettizzando le opinioni correnti, ibridandosi con quelle degli altri, praticando una apertura mentale utile a riconoscere di avere torto ed a cambiare opinione.
L’espressione del volto, che va oltre la presenza di occhi, naso e orecchie, va di pari passo con i pensieri, i concetti e le parole che a quell’espressione danno maggior significato, senso e forza. Il volto e le parole sono il tramite di congiunzione tra organismi e persone coscienti quali sono gli esseri umani, individui capaci di interagire comunicando linguisticamente e attraverso la fisicità dei loro corpi, sempre inseriti nel mondo. La sparizione del corpo, dentro piattaforme digitali che hanno conquistato la realtà del mondo, e l’inquinamento delle parole stanno rendendo questa congiunzione sempre più complicata, impoverita e priva di libertà. Il software fa da barriera, semplice interfaccia macchinica alla comprensione della realtà.
Monitor, schermi, tastiere diventano il mezzo esclusivo per interagire con il mondo generando l’illusione attiva del fare mentre si è in realtà seduti su un divano, chiusi in una stanza, incollati allo schermo di uno smartphone, o imprigionati dentro un casco per la realtà virtuale che fa scomparire la distanza tra il mondo reale e la sua rappresentazione individuale. Individuale e non personalizzata come sarà quella regalata da qui a poco dal Metaverso di Zuckerberg. Ne derivano sentimenti di panico, ansia, apatia, depressione e altre manifestazioni psicopatologiche che non possono essere curate farmacologicamente perchè ansiolitici e pillole varie non forniscono nessun lenimento a sofferenze che stanno dentro la mente e l’animo umani. Le manifestazioni patologiche acuiscono fenomeni già diffusi da tempo nella nostra società moderna (liquida nella definizione di Zygmunt Bauman) come la solitudine, per assenza di contatti fisici ma oggi anche di parole, e l’isolamento. Tutte manifestazioni, da cui nessuno può considerarsi immune, contrassegnate dal sentirsi tristemente (il richiamo è alla parola inglese lonelyness, da lonely) soli e smarriti, infelici, isolati, diffidenti, senza neppure sapere di esserlo, in apnea, pur in presenza di altri, in mezzo a moltitudini anch’esse sole, siano esse fisiche o virtuali.
Abitiamo immensi spazi virtuali, sperimentiamo attività sociali e commerciali continue frequentando centri commerciali online che ricordano la Caverna di Platone o quella più moderna raccontata da Josè Saramago nel suo romanzo omonimo La Caverna. Il testo descrive un centro commerciale cannibale, impegnato nell’attrarre a sé chiunque non si sia ancora arreso a una vita sociale imprigionata, con scarse opportunità relazionali, minore condivisione e quasi nessun coinvolgimento, se non quello determinato dall’attività commerciale, mercantile, utilitaristica di scambio merci. Finalizzato all’attrazione, per scopi commerciali, è anche il Grande Fratello Vip, in diretta continua ventiquattr'ore su ventiquattro, frequentato da individui che con le loro facce-maschere, modificate siliconicamente e botulinicamente, legano ogni gesto o parola a spot commerciali trasformando sé stessi in semplici messaggi promozionali, merci e prodotti.
Comunicando prevalentemente attraverso canali tecnologici viviamo ormai come separati in casa. Siamo sempre più deprivati di esperienza pubblica e privatizzati, condividiamo di tutto, testi, giochi, video, immagini e infiniti MiPiace ma non pensieri, tantomeno sentimenti ed emozioni. Sempre più soli, da narcisi quali siamo diventati, cerchiamo insistentemente di soddisfare i nostri bisogni individuali senza renderci conto di non poterlo veramente fare. Siamo così presi nei nostri tentativi che viviamo con indifferenza e distacco la sparizione di ogni destino comune e condiviso, ci confrontiamo con i bisogni degli Altri solo per essere sicuri di non dover prenderci cura di loro e dei loro problemi.
l'aumento del senso di solitudine è la cartina di tornasole della inadeguatezza delle reti di contatti online a creare relazioni
Gli effetti non sono a tutti evidenti anche se l’aumento del senso di solitudine e di incertezza sulle scelte da fare evidenziano quanto sia difficile costruire legami attraverso semplici connessioni (le reti dei contatti) e quanto lo sia costruire la propria identità basandosi solo su conoscenze virtuali, su ipotesi e intuizioni personali derivate dalle interazioni online. Ma per esseri viventi e parlanti quali noi siamo le interazioni non sono relazioni! La difficoltà a congiungersi, a relazionarsi integrandosi gli uni con gli altri e a legarsi, nasce anche da come l’identità viene vissuta. Dentro i mondi digitali, come ha scritto Galimberti “[…] le identità possono essere indossate e dismesse come un abito, nessuna identità esprime più il senso e la storia di una vita […] al suo posto è subentrata una individualità dai mille volti, che non esprime una biografia in cui è rintracciabile un senso costante di sé, ma solo una serie di riflessi fugaci nello specchio [schermo] di un ambiente circostante che ha preso il posto del mondo comune [reale]”.
Bisognerebbe dedicare tempo a incontrare volti invece di facce, ad annusarsi, ma come si fa se il tempo è già stato rubato, insieme all’attenzione, da Facebook, WhatsApp e Instagram? Bisognerebbe andare in profondità nell’amicizia, nel dialogo e nell’incontro ma come si fa se il mondo online nel quale siamo immersi ci impedisce ogni forma di lentezza chiamandoci a rispondere in tempo reale a ogni stimolo ricevuto in forma di notifica, messaggio, segnalazione o promozione? Bisognerebbe ricostruire le comunità del bar sotto casa o quello conviviale del circoletto ARCI, del gioco di calcetto, quelle culturali e del tempo libero, ma come farlo se siamo convinti che rete sociale, rete dei contatti (sempre virtuali e mai epidermici, semplici configurazioni software e mai presenze sensuali e affettive), gruppo e comunità online siano la stessa cosa? Bisognerebbe avere il coraggio di cogliere l’essenza del volto di una persona esercitandosi a guardare negli occhi anziani, bambini ma soprattutto mendicanti, migranti e stranieri, gli unici questi ultimi a sentirsi a loro agio con la loro faccia sofferente, sporca, ma sincera e veritiera. Bisognerebbe non aver paura di facce che, attraverso lo specchio o uno sguardo attento rivolto al volto dell’Altro ci ritornano emozioni quali “l’indecenza, la colpa, il dubbio, l’orgoglio e la vergogna di essere diversi dai diversi[32]” e non soltanto suggerimenti sui ritocchi da apportare prima di andare online con il prossimo autoscatto.
Il condizionale non è usato a caso, è espressione della difficoltà crescente nella realtà fattuale, in alcuni casi della incapacità, al faccia a faccia “[…] dove, oltre a sentire quello che dice l’Altro, si percepiscono i suoi moti emozionali, la qualità del suo sentimento, e in generale tutto quel linguaggio che non passa attraverso la parola ma attraverso il corpo, e che è indispensabile per la formazione di una identità la quale, al pari della forza del carattere, della fiducia, della determinazione, della perseveranza non si scarica da un sito web[33]”.
Nel semplice incontro di un uomo con l’altro si gioca l’essenziale, l’assoluto:
nella manifestazione, nell’«epifania» del volto dell’altro scopro che il mondo
è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’altro. E l’assoluto si gioca
nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di
complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto.
Emmanuel Lévinas (1906-1995)
Note
[1] Parola deriva dal termine latino paraula, dalla fusione del dittongo au in ‘o’. Paraula a sua volta è un’evoluzione di parabola, dal greco para+ballo. Para è un prefisso che indica vicinanza, ciò che sta accanto, mentre il verbo ballein significa gettare, porre.
[2] Chandra Livia Candiani
[3] Anna Maria Palma e Lorenzo Canuti, Vuoi parlare con me? Dialogare nell’esistenza, Edizioni Tassinari
[4] Kornei Chukovsky ha coniato il concetto di genialità linguistica per raccontare il passaggio dalla lingua parlata alla lingua scritta, uno sviluppo della comprensione delle parole e dei loro molteplici impieghi da parte del bambino, prima nel discorso e poi nella scrittura.
[5] Dante, Paradiso, canto XVII, versetto 58-60
[6] Il concetto di infosfera senza aggettivi a cui si fa riferimento è quello usato da Berardi Bifo che correttamente usa il concetto sia per descrivere l’epoca alfabetica (infosfera alfabetica) sia quella digitale (infosfera digitale)
[7] Umberto Galimberti “Se le nuove tecnologie rendono inutile comunicare”, pubblicato nel libro Il primato delle tecnologia -Guida per una nuova iperumanità
[8] Berardi Bifo: La sollevazione – Collasso europeo e prospettive del movimento, Edizioni Manni, 2011 Pag. 104
[9] Il motion capture (conosciuto con l'abbreviazione mocap, in italiano, "cattura del movimento"), è la registrazione del movimento del corpo umano (o di altri movimenti) per l'analisi immediata o differita grazie alla riproduzione. È principalmente utilizzato nel campo dell'intrattenimento, militare, sportivo o medico. (Wikipedia)
[10] La performance capture è una tecnologia cinematografica utilizzata per catturare movimenti ed espressioni facciali di un soggetto/attore reale per poi applicarli a un personaggio virtuale. La tecnica è stata usata in numerosi film ma per la prima volta da Robert Zemeckis nel film 'Polar Express'. Il film più famoso costruito sul perfezionamento della performance capture è stato sicuramente Avatar di James Cameron.
[11] “Dietro l’immagine non c’è nulla se non l’immagine stessa […]: essa si moltiplica sempre in modo identico” – Marc Augé
[12] Wilhelm Reich, il padre della psicoterapia corporea moderna.
[13] Miguel Benasayag Funzionare o esistere, Vita e Pensiero, 2019
[14] Intesa come lo spazio nel quale esercitiamo la nostra esperienza esistenziale della vita nel mondo, dalla semplice osservazione e contemplazione, all’attività tarsformativa, sempre in bilico tra esistenza ed essenza.
[15] Totalità e Infinito, Saggio sull'esteriorità, Edizioni Jaca Book, dodicesima ristampa 2021
[16] Edgar Morin, Lezioni da un secolo di vita, Mimesis, 2021. Pag 55
[17] Emmanuel Lévinas (1906-1995), Epifania del volto
[18] Definizione dello scrittore tedesco Thomas Macho
[19] Uno spunto tratto da un articolo di Umberto Galimberti
[20] Un giorno credi di Edoardo Bennato: “metti tutta la forza che hai nei tuoi fragili nervi/Quando ti alzi e ti senti distrutto fatti forza e vai incontro al tuo giorno”
[21] Termine usato da Pier Aldo Rovatti per un suo libro pubblicato nel 2019 da Elèuthera
[22] Ernst Bloch, Il principio speranza
[23] C'è una breccia in ogni cosa ed è da lì che entra la luce
[24] La setta degli uomini senza volto conservano i volti di coloro muoiono nel loro santuario. Li appendono alle pareti come maschere macabre da usare durante le loro attività criminali. Le maschere tuttavia sono molto più di semplici maschere, chi le indossa, assume l'aspetto della persona a cui il volto apparteneva.
[25] Emmanuel Lévinas: Totalità e infinito, Edizioni Jaka Book
[26] Il termine è stato coniato da Wilhem Reich per descrivere l’energia vitale, o energia pre-atomica, di cui sarebbe pervaso l'universo e che nell'uomo si manifesterebbe come energia sessuale e libido.
[27] Termine coniato da Carlo Mazzucchelli nel suo libro I pesci siamo noi - Prede, pescatori e predatori nell'acquario digitale della tecnologia, pubblicato da Delos Digital
[28] Marc Augé, Cuori alle schermo – Vincere la solitudine dell’uomo digitale. Pag. 114
[29] Francesca Rigotti, L’era del singolo, Einaudi Editore, 2021, Pag. 4
[30] “Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa.”
[31] Andrea Colamedici e Maura Gancitano, L’alba dei nuovi dei. Da Platone ai Big Data - 2021, Pag 42
[32] Da un articolo di Walter Siti sul quotidiano Domani: Nella società dello spettacolo diventiamo attori di noi stessi
[33] Umberto Galimberti: Il libro delle emozioni, Feltrinelli Editore, 2021
[34] Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon Comunità di Bose, Pag 44
[35] Il termine persona è scelto intenzionalmente per marcare la differenza con la parola individuo. A considerare individui i propri membri è la società moderna. Una società nella quale, come ha ben raccontato nei suoi libri sulla liquidità moderna Zygmunt Bauman, è sempre l’individuo che decide cosa sia buono o cattivo, lecito o illecito. Una società individualista nella quale è l’individuo ad attribuire valore alle cose.
[36] Jean Baudrillard: Il delitto perfetto – La televisione ha ucciso la realtà?
[37] Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito - Saggio sulla esteriorità, Jaka Book, prima edizione 1971, ristampa 2021, Pag 211
[38] Franco <<Bifo>> Berardi, La Congiunzione, NERO Edizioni, 2021
[39] Vanni Codeluppi, La vetrinizzazione della vita sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, 2007
[40] Anagramma di One, eletto
[41] Ugo Foscolo, Sonetti
[42] Federico Campana, Magia e tecnica - La ristrutturazione della realtà - Edizioni Tlon, 2021,Pag. 161
[43] Autore del libro Oralità e scrittura - Le tecnologie della parola
[44] Silvia Ferrara, Il Salto. Segni, figure, parole: viaggio all’origine dell’immaginazione - Feltrinelli Editore, 2021, Pag. 192
[45] Da un articolo su NOVA di Piero Dominici
[46] Cosimo Accoto, Il mondo dato, cinque brevi lezioni di filosofia digitale, EGEA, 2017, Pag. 113
[47] L’uomo è antiquato (Die Antiquiertheit des Menschen), Primo volume pubblicato nel 1956, il secondo nel 1980
[48] “Il linguaggio è la dimora dell’Essere”. Gadamer, Verità e metodo, Pag. 524
[49] Donatella Di Cesare, Utopia del comprendere, da Babele ad Auschwitz, Edizioni Bollati Boringhieri, 2021, Pag. 40
[50] Montaigne: Saggi, Edizioni Giunti/Bompiani, 2019, Pag. 863
[51] Ibid Pag 863
[52] “Le manifestazioni No Vax sono organizzate da persone che parlano di libertà, ma si rendono schiave delle proprie idee non mettendole in discussione. Gli antivaccinisti non scendono in piazza per manifestare un’opinione diversa, ma corrono il rischio di diffondere il virus diventando un pericolo per gli altri: i dati dei contagi del Friuli Venezia Giulia lo dimostrano. È un fenomeno che deriva ancora una volta dal collasso della nostra cultura e della nostra scuola, non più in grado di formare menti critiche. È il prodotto della mancanza di buona educazione e di dialogo: elementi in assenza dei quali si resta bulli che si nutrono di informazioni infondate”. Umberto Galimberti
[53] Il riferimento è al capolavoro di Elias Canetti Massa e potere
[54] Edgar Morin, La testa ben fatta
[55] “[…] la parola significato si può definire così: il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio” Ludwig Wittgenstein
[56] Il riferimento è al team di social media manager che affiancano il leader della Lega, Salvini, nelle sue attività di comunicazione social
[57] Leonardo Sciascia, Processo per violenza in Il mare color del vino
[58] Douglas Hofstadter e Emmanuel Sander: Superfici ed essenza. L’analogia come cuore pulsante del pensiero
[59] “L’autocoscienza è in sé e per sé in quanto e perchè è in sé e per sé per un’altra: ossia essa è soltanto come qualcosa di riconosciuto” - Hegel, Fenomenologia dello spirito, traduzione di E,de Negri, 1963, Pag. 153 vol.1
[60] E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza
[61] Ornella Castellani Pollidori: La lingua di plastica
[62] Ivano Dionigi: Parole che allungano la vita. Pensieri per il nostro tempo. Edizioni Cortina, 2020
[63] Vittorio Coletti, accademico della Crusca. La frase è contenuta in un suo articolo sull’Italiano della politica pubblicato sul sito dell’Accademia della Crusca
[64] Marc Augé: Cuori allo schermo, vincere la solitudine dell’uomo digitale
[65] Ludwig Wittgenstein
[66] Quando si parla di anglicismi tutti dovrebbero riflettere sulla quantità di parole che rientrano in questa categoria e delle quali non si ha più alcuna percezione della loro provenienza straniera. Ne è un esempio la parola sport (da cui sportivo, sportivamente). Ma l’elenco è lungo: marketing, hobby, party, bar, film, baby, e-mail, manager, partner, convention, wi-fi, backstage, auditing, endorsement, fake news, leggings, sexting, cyborg, ecc.
[67] L’esempio è stato fatto dallo psicologo Luciano De Gregorio
[68] Cory Doctorow
[69] Edgar Morin, Per un'educazione al pensiero complesso
[70] Edoardo Bennato, L’isola che non c’è
[71] Lo slogan di Vittorio (Vik) Arrigoni, attivista rapito e ucciso in Palestina
[72] Edgar Morin: “La benevolenza permette di considerare gli altri non solo per i loro difetti e le loro mancanze, ma anche per le loro qualità, nello stesso tempo nelle loro intenzioni e nelle loro azioni”.
[73] Il riferimento è alla concezione dell’etica di Paul Ricoeur
[74] Duccio Demetrio, All’antica- Una maniera di esistere, Raffaello Cortina Editore, 2021, Pag. 23
[75] Edgar Morin, Il Metodo 6 Etica, edizioni Cortina, 2005, Pag. 111
[76] Definizione usata da Francesco Varanini nel suo libro: Le cinque leggi bronzee dell’era digitale. E perché bisogna trasgredirle.
[77] Metaverso (Metaverse) è un termine coniato da Neal Stephenson in Snow Crash (1992), libro di fantascienza cyberpunk, descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Quella di Stephenson è una visione futuristica dell'internet moderna, frequentata dalle fasce della popolazione medio alte ove la differenza tra le classi sociali è rappresentata dalla risoluzione del proprio avatar, e dalla possibilità di accesso a luoghi esclusivi. Esempi di metaverso sono considerati i MMORPG e le chat in tre dimensioni come Second life o Active Worlds.
[78] Francesco Varanini
[79] Jón Kalman Stefánsson: "Paradiso e Inferno", Pag 11
[80] Ode su un'urna greca di John Keats, pubblicata nel 1819
[81] Eugenio Borgna: Le parole che ci salvano
[82] Riferimento all’opera di Søren Kierkegaard Timore e Tremore pubblicata nel 1843 con lo pseudonimo di Johannes de Silentio
[83] La gentilezza che cambia le relazioni digitali - La gentilezza per le relazioni nell’era digitale, per recuperare lentezza, attenzione verso sé stessi e gli altri, la buona educazione e le buone maniere., Delos Digital, 2018
[84] Daniel Gamper: Le parole migliori, Treccani Editore, 2021, Pag. 134
[85] LEdgar Morin L’homme e la mort - Seuil, Paris 1970, trad. ital., Newton Compton, Roma 1980
[86] Un concetto espresso dal filosofo del linguaggio Lev S. Vygotskij
[87] Diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno (per es., dei propri avversari politici, dei propri nemici in un conflitto bellico, e sim.).
[88] Gianrico Carofiglio La nuova manomissione delle parole, Feltrinelli, 2021, Pag. 57
[89] Il libro di Carlo Mazzucchelli “Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta. Alla ricerca di senso nell’era tecnologica e digitale” è pubblicato in formato digitale e cartaceo da Delos Digital
[90] Il fenomeno della «retrotopia» deriva dalla negazione della negazione dell’utopia, che con il lascito di Tommaso Moro ha in comune il riferimento a un topos di sovranità territoriale: l’idea saldamente radicata di offrire, e possibilmente garantire, un minimo accettabile di stabilità, e quindi un grado soddisfacente di fiducia in sé stessi. (Zygmunt Bauman, trad. di Marco Cupellaro, Repubblica, 3 settembre 2017, Robinson, p. 16)
[91] Eterotopia è un termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano».
[92] Binge watching è un termine della lingua inglese con cui si indica l'atto del binge-watch, ossia il guardare programmi televisivi per un periodo di tempo superiore al consueto, particolarmente la pratica di usufruire della visione di diversi episodi consecutivamente, senza soste. Traducibile in italiano con "maratona televisiva", in inglese per tale azione sono anche usati i termini binge viewing e marathon viewing. Evoluzione di tale pratica è il binge racing (tradotto in italiano come gara di abbuffata), ovvero il guardare l'intera serie tv in sole 24 ore; tale pratica, che coinvolge circa 8,4 milioni di fruitori, è praticata specialmente sulle piattaforme televisive, in cui gli episodi delle serie tv vengono rilasciati insieme simultaneamente. (Wikipedia)
[93] Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta. (Wikipedia)
[94] Il concetto è stato spesso usato nei suoi libri dal Cardinal Ravasi, riprendendo una terminologia usata da Teilhard de Chardin per il quale il linguaggio diventa epifania e trasparenza della rivelazione divina. In esso si manifesta la potenza del Logos del prologo giovanneo, già evocato, secondo la semantica semitica sottesa. In ebraico, infatti, dabar, “parola”, significa contemporaneamente anche “atto, evento”. Dire e fare s’intrecciano.
[95] I concetti qui espressi fanno riferimento al pensiero di Paul Ricoeur
[96] Spunti tratti dal pensiero di Iris Murdoch
[97] Edgar Morin, Etica, Cortina Editore, Pag. 51
[98] Daniel Gamper; Le parole migliori, Treccani editore, 2021, Pag. 68
[99] Ece Temelkuran, La fiducia e la dignità, Bollati Boringhieri Editore, 2021,
[100] Spunti tratti dal libro di Ermanno Bencivenga: Parole che contano
[101] È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire io sono pensato. – Scusi il gioco di parole. IO è un altro. Questa formula ricorre in due lettere della Corrispondenza di Arthur Rimbaud: nella lettera del maggio 1871 a Georges Izambard – professore di Rimbaud al collegio, ma anche amico e confidente che lo iniziò alla letteratura; ed in quella immediatamente successiva a Paul Demeny amico di Izambard, a sua volta poeta, risalente al 15 maggio 1871.
[102] Come ha per tempo ben spiegato il filosofo Maurizio Ferraris nei suoi libri lo smartphone è usato più per scrivere che per parlare. Più che un telefono è una lavagna trasparente e condivisa.
[103] Lamberto Maffei, Elogio della parola, Edizioni Laterza, 2018, Pag. 7
[104] La poesia nella sua versione in inglese: Be Careful of Words - Be careful of words, even the miraculous ones. For the miraculous we do our best, sometimes they swarm like insects and leave not a sting but a kiss. They can be as good as fingers. They can be as trusty as the rock you stick your bottom on. But they can be both daisies and bruises. Yet I am in love with words. They are doves falling out of the ceiling. They are six holy oranges sitting in my lap. They are the trees, the legs of summer, and the sun, its passionate face. Yet often they fail me. I have so much I want to say, so many stories, images, proverbs, etc. But the words aren’t good enough, the wrong ones kiss me. Sometimes I fly like an eagle but with the wings of a wren. But I try to take care and be gentle to them. Words and eggs must be handled with care. Once broken they are impossible things to repair.
[105] Anne Sexton (Weston, 4 ottobre 1974) è stata una scrittrice e poetessa statunitense. Dopo diversi tentativi di suicidio, il 4 ottobre del 1974, anno del suo divorzio, Anne Sexton scese in garage e dopo aver acceso il motore della sua macchina si lasciò morire inalando il monossido di carbonio. È sepolta al Forest Hills Cemetery & Crematory a Jamaica Plain, Boston, Massachusetts.
[106]La frase è una riflessione di Donatella Di Cesare fatta nel suo libro Utopia del comprendere, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2021, Pag.22
[107] Byung-Chul Han (2014). Razionalità digitale. La fine dell’agire comunicativo
[108] Spunti tratti dal libro di Zygmunt Bauman Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.
[109] Termine utilizzato da Emmanuel Lévinas per rappresentare la dimensione dell’alterità e dunque il senso della comunità e della responsabilità.
[110] Zygmunt Bauman: Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.