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Per comprendere il nostro modo di guardare alla realtà e a cosa ci stia succedendo, sempre che lo percepiamo, ne sentiamo la necessità e/o l’urgenza, dobbiamo partire da una riflessione attenta, ermeneutica, sulle forme, espressioni, contenuti e parole del nostro linguaggio. Intenti a abitare mondi diversi, molti dei quali virtuali, rischiamo di non comprendere fino in fondo quanto abitare una lingua, farne la propria dimora (dal latino demorari - indugiare, tardare, attendere, arrestarsi stabilmente in un luogo), sia fondamentale, per capire sé stessi, gli altri e la realtà esistenziale nella quale siamo tutti confinati.- 𝗨𝗻 𝘃𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗶𝗻 𝗽𝗶ù 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝗲𝘀𝘁𝗶 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗺𝗶𝗼 𝗹𝗶𝗯𝗿𝗼 𝗢𝗟𝗧𝗥𝗘𝗣𝗔𝗦𝗦𝗔𝗥𝗘 - 𝗜𝗻𝘁𝗿𝗲𝗰𝗰𝗶 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗼𝗹𝗲 𝘁𝗿𝗮 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝘁𝗲𝗰𝗻𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗮.


  • Parole in forma di carezze [leggi qui]
  • Il volto e le facce [leggi qui]
  • Sempre connessi mai congiunti [leggi qui]
  • Persi dentro schermi magnetici e luccicanti [leggi qui]
  • Ambienti digitali e forza delle parole [leggi qui]
  • La ricchezza delle parole [leggi qui]
  • Parole inflazionate, parole ricche di significati [leggi qui]
  • Le parole dell’etica [leggi qui]
  • Una riflessione necessaria [leggi qui]
  • Oltrepassare come azione etica [leggi qui]
  • Serve uno sguardo diverso [leggi qui]
  • Alla fine del viaggio dentro le parole [leggi qui]
  • Siate cauti con le parole [leggi qui]

“Ci sono parole importanti, di uso quotidiano, il cui significato nel tempo si è dilatato fino a diventare incerto, fino a renderle vaghe e prive di contorno, così che oggi, come i liquidi prendono la forma dei recipienti che li contengono, possono essere adatte a contesti diversi senza però significare più nulla di sicuro.”  – Massimo Angelini, Ecologia della parola 

Sì, pensare non basta. Le parole non pronunciate diventano briciole, ci saziano per un istante ma si dimenticano altrettanto in fretta. Solo quando escono dalla bocca rivelano il loro valore… Però possiamo scriverle. Sì, ma allora occorre qualcuno che sappia leggerle […]”Cucinare un orso, Mikael Niemi 

Lasciaci oltrepassare la gioia e il dolore - Lasciaci oltrepassare l’astio e l’affetto - Lasciaci oltrepassare le parole dure e quelle vane, le parole vuote dell’amoreLasciaci oltrepassare.” -- Abbas Kiarostami 

“Non voglio parole che mi spieghino e nemmeno che sgroviglino né chiariscano. Non voglio parole che mi riempiano e nemmeno che mi facciano sentire sciocca e con poca scuola alle spalle. Non voglio parole che complichino senza un cuore al centro. Non voglio parole che si diano arie. Ho bisogno di parole leggere eppure capaci di sfamare e dissetare, parole che mi domandino tanto, tutta la testa da mozzare e un cuore ingenuo da allenare al passo delle bestie nella foresta, vigile e sempre a casa, eppure sempre in pericolo. Voglio parole disobbedienti ma anche candide. Parole capriole e parole solletico, parole lampi, fulmini e tuoni, parole aghi che cuciono e parole che strappano la stoffa del discorso.” Chandra Livia Candiani - Salutare le parole   - articolo della rivista Doppiozero



Parole inflazionate, parole ricche di significati

Se, come sostiene Gadamer, noi siamo linguaggio[48] e il linguaggio è intrecciato alla vita umana, per comprendere il nostro modo di guardare alla realtà e a cosa ci stia succedendo, sempre che lo percepiamo, ne sentiamo la necessità e/o l’urgenza, dobbiamo partire da una riflessione attenta, ermeneutica, sulle sue forme, espressioni, contenuti e parole. Intenti ad abitare mondi diversi, molti dei quali virtuali, rischiamo di non comprendere fino in fondo quanto abitare una lingua, farne la propria dimora (dal latino demorari - indugiare, tardare, attendere, arrestarsi stabilmente in un luogo), sia fondamentale per capire sé stessi, gli altri e la realtà esistenziale nella quale siamo tutti confinati.

abitare una lingua, farne la propria dimora è fondamentale per capire sè stessi

La comprensione che ne deriverebbe, aiuterebbe a riflettere sulla nostra condizione di internauti, non ancora completamente robotizzati, alla ricerca costante di essere capiti, grazie alle interpretazioni che del nostro esprimerci, scrivere o parlare danno  i nostri diretti o indiretti interlocutori. Cosa non semplice anzi esercizio reso complicato dal fatto che nel linguaggio si sperimenta sempre il limite che ogni parola impone, non solo semantico, di ascolto e interpretativo. Sempre dipendente da ciò che non si dice ma viene compreso come se fosse stato detto. Un limite insuperabile perché infinita è “la capacità della parola di riflettere l’infinità del non-detto. Ogni parola effettivamente detta, in quanto è finita, svela un oltre, lascia intravedere una ulteriorità[49]”.

Da questo limite nasce molta della disinformazione e misinformazione che caratterizzano la nostra società dell’informazione e il capitalismo delle piattaforme. E serve a poco la ricerca attenta delle parole giuste da usare. Il linguaggio si tradurrà sempre in enunciati differenti, sempre si presterà a non essere del tutto compreso, proprio come a non essere mai compreso è l’essere stesso. Il nostro insistere sul ruolo del volto, dello sguardo, non è casuale, è focalizzato sulla parola parlata, sulla voce che la veicola, sullo sguardo che ne determina molti significati, su un volto che si fa carico di Oltrepassare sguardo e parole, dentro contesti dialogici nei quali l’udito gioca un ruolo essenziale, in termini di ascolto e di comprensione, ma anche l’olfatto, il meno considerato dei sensi, eppur così importante. Se si sanno evitare le trappole di chi, anche linguisticamente parlando, tende le braccia ma in realtà agita gli artigli, usa “la dolcezza del suono cerimonioso delle parole[50]” per ingannare l’udito, che per questo deve essere irrobustito, o “non ha il coraggio di correggere, perché non ha il coraggio di sopportare di esser corretto[51]”.

insistere sul ruolo del volto, dello sguardo significa focalizzarsi sulla parola parlata, sulla voce che la veicola, sullo sguardo che ne determina molti significati, su un volto 

Le parole che nel loro rapporto con i significati sono ambigue per definizione come lo sono i movimenti e i loro scopi (vedo il mio amico camminare, ma sta andando dal panettiere o in Patagonia?), dentro contesti digitali, tecnologici ma confusi, le parole sono inflazionate, saccheggiate, declinate a piacimento come si vuole, mai pesate a sufficienza, usate in modo ripetitivo e per abitudine, raramente in modo creativo e immaginifico. Queste parole, insieme alle loro forme, significati e stilemi perdono valore, subiscono torsioni continue, sono limitate in numero e significati, regolate nel loro utilizzo, funzione e finalità, da meccanismi e algoritmi che sembrano non lasciare alcun spazio all’interpretazione, che fanno sembrare tutto come già svelato, determinato o determinabile. Algoritmi che così facendo ne delimitano i contorni, gli ambiti e le modalità di utilizzo. Sono parole scelte senza riflettere sul loro significato semantico preciso, adottate da altri piuttosto che apprese attraverso processi di educazione e di apprendimento, come quelli che accompagnano ogni bambino nel suo imparare a leggere e a parlare.

Il valore perduto delle parole è conseguenza dell’unanimità massificata di moltitudini di persone abituate ormai a conversare in modo livellato, (anche grammaticalmente e sintatticamente) massificato e conformistico, politicamente corretto e intellettualmente afono. Un conversare imprigionato dentro la lingua e le parole usate, poco interessato a intendere e a farsi intendere. Incapace di gettare ponti, di favorire la comprensione reciproca perché fondato sulla ricerca del semplice convenire e sulla impreparazione, forse il rifiuto, a riconoscere di avere torto.

l'omologazione e il coformismo si manifestano in un conversare imprigionato dentro la lingua e le parole usate, poco interessato a intendere e a farsi intendere

Ne è stata una dimostrazione plastica tutta la conversazione online sui temi dei Novax durante la pandemia/infodemia non ancora superata, così come il confronto mediale sui temi cari al movimento. L’assenza di forme dialogiche di confronto ha creato fraintendimenti, irrigidimenti delle posizioni, incomprensioni che hanno portato allo scontro, verbale prima ancora che politico, impedendo una vera comprensione delle ragioni espresse dai vari fronti del contendere[52]. “Un comprendere altrimenti, a partire dalle alterità dell’individuo”, di ogni singolo individuo che non vuole essere interpretato ma capito, accettato nella sua diversità di opinioni e differenza. Un comprendere attraverso cui passa anche la comprensione del proprio Sé, passaggio obbligatorio per la ricerca, nella differenza e nella difficoltà del comprendersi reciprocamente, di punti comuni su cui orientare dialogo, azioni e orizzonti da esplorare.

La comprensione non deve solo essere rivolta al singolo ma anche alle moltitudini intese come molteplicità di singolarità. Il riferimento alle moltitudini non è casuale. Nella società massificata consumistica attuale, dominata dal potere delle merci e dei prodotti, dalla pervasività della pubblicità, dal ruolo dei media e dalla consegna diffusa di prodotti a domicilio, le cosiddette masse, che per Elias Canetti erano sinonimo di potere, non sono altro che la sommatoria di singoli individui, semplici moltitudini che senza alcuna concentrazione, il potere lo hanno perso, anche se nell’agire quasi sincronizzato dei cinguettii e dei MiPiace che le caratterizzano pensano di continuare ad averlo[53]. Tutti possono oggi usare in modo massificato i servizi di Amazon o Glovo, ma ogni consegna a domicilio avviene al di fuori della massa, la ricezione è individuale, solistica, personalizzata. Una ricezione che coinvolge moltitudini (anche di portinai e portinaie...) ma i cui singoli sono tra loro sempre isolati. Il contesto in cui tutto ciò avviene è caratterizzato dalla difficoltà a mettere insieme individui isolati, a costruire esperienze cooperative (consegne di isolato o di condominio?) finalizzate alla comunanza e al riconoscimento ontologico del bene comune. Su tutto domina incontrastata la difficoltà di comprensione, l’illusorietà dei concetti veicolati dalle parole con cui descriviamo i contesti che abitiamo, e l’incapacità a rivelare l’infinita ricchezza di senso di cui ogni singolo individuo è portatore.

bisogna riflettere sul ruolo che le parole hanno assunto negli sforzi che facciamo per interpretare la realtà dei mondi che frequentiamo

La comprensione che passa dal linguaggio e dalle parole deve oggi fare i conti con la realtà del parlare e del dialogare corrente. Da qui si deve partire per riflettere sul ruolo che le parole hanno assunto negli sforzi che facciamo per interpretare la realtà dei mondi che frequentiamo. La costante riduzione del numero di parole usate, la loro manipolazione, racconta l’indebolimento culturale e intellettuale attuale ma anche la crisi della nostra democrazia e la sparizione di una “solidarietà etica e sociale”. Se persino i politici ricorrono sempre più a semplici cinguettii, emoji, se parlano per slogan o dichiarazioni preconfezionate, preparate dai loro uffici stampa o da Bestie social al comando della loro comunicazione, per stare dentro i 30 secondi televisivi assegnati a ogni dichiarazione televisiva, significa che il discorso politico si è inaridito, semplificato, separato dalla realtà, fattosi violento e canagliesco e addirittura inesistente. Come tale è diventato incapace di favorire quella circolazione di idee e di opinioni che sempre è alla base di ogni democrazia.

Assistiamo da tempo, anche prima della rivoluzione tecnologica, al tramonto della cultura alfabetica, a una crescente afasia, a un impoverimento della lingua e della sua ricchezza semantica, a una “epidemia pestilenziale” che ha cambiato le relazioni umane alterando l’uso della parola. Ben prima dell’arrivo delle piattaforme digitali, ben prima della diffusione di uno strumento di documentazione di massa (nell’accezione del filosofo Maurizio Ferraris) come lo smartphone, ben prima della proliferazione di false notizie e verità alternative.

Assistiamo passivamente a una crescente afasia, a un impoverimento della lingua e della sua ricchezza semantica, a una “epidemia pestilenziale” che ha cambiato le relazioni umane alterando l’uso della parola

L’epidemia pestilenziale è un concetto usato da Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane (1985/1986), pubblicate postume nel 1988, per descrivere il diffondersi di una peste del linguaggio in grado di svuotare di densità e forza conoscitiva ogni parola: “Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva […] che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime […], a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze”. Un testo, quello di Calvino, che andrebbe oggi letto e riletto attentamente evitando la lettura superficiale tipica del navigare e dello scorrere veloce dentro il surplus informativo che ci accompagna in ogni momento della nostra vita quotidiana.

Il testo andrebbe proposto ai nativi digitali, dovrebbe entrare tra le letture che gli insegnanti potrebbero usare nelle loro attività educative, finalizzandole non solo a istruire e informare ma a formare una testa “ben fatta e alla vita[54]”, pensante autonomamente e criticamente. Ormai abituati a letture veloci di testi provenienti da fonti informative ritenute familiari e quindi preferibili per abitudine e pigrizia, ci priviamo della capacità della cosiddetta “lettura profonda” (Maryanne Wolf, sostenitrice del cervello che deve imparare a leggere), la sola che potrebbe permetterci di apprezzare i significati di un testo, di andare alla radice delle parole che lo compongono, di aprirsi a nuove prospettive di lettura cercando di cogliere le emozioni dell’autore o dell’autrice e, così facendo, anche le proprie.

la lettura è un rimedio, la lettura profonda ci può permettere di apprezzare i significati di un testo, di andare alla radice delle parole che lo compongono, di aprirsi a nuove prospettive di lettura

L’epidemia citata da Calvino assomiglia a una profezia che si è auto-avverata, per effetto della diffusione di tecnologie digitali che hanno cambiato il nostro modo di leggere, le nostre scelte di ciò che leggiamo, il nostro modo di pensare, di informarci e di relazionarci agli altri. Una conseguenza di questo cambiamento in atto è un linguaggio appiattito, una difficoltà crescente di comprensione, parole sempre più usate in modo approssimativo, casuale, distratto e sbadato. Con queste parole dobbiamo tutti confrontarci, dentro le tante realtà virtuali che abitiamo, realtà strettamente interconnesse a quelle fattuali e incarnate che popolano la nostra vita sociale e politica, le nostre attività individuali e collettive offline. Le parole che hanno colonizzato la cosiddetta e molto decantata onlife condizionano i nostri atti linguistici e, insieme a loro, determinano effetti concreti nella vita di ogni giorno di ogni individuo. Per esempio, i significati prevalenti, oggi assegnati a parole come “migranti” (da molti associati a clandestini), “confini”, “popolo”, “sovranità”, ecc. determinano nei fatti variabili ed effetti concreti di inclusione e/o esclusione, di felicità e infelicità, di opportunità e di negazione del futuro.

L’epidemia da Covid-19 ha evidenziato la verità della metafora di Nassim Taleb, autore del Cigno Nero, che racconta esseri umani assimilabili a tacchini che passano la giornata a ingrassare dentro la loro gabbia, illudendosi che la loro vita futura sarà garantita e scorrerà tranquilla, ignari che il Thnaksgiving è in arrivo. Il coronavirus ha fatto dimenticare ( ma silenziosamente anche iniziato a far emergere) altre pestilenze in formazione o che non hanno ancora trovato alcuna forma di vaccino ma che continuano a essere percepite come non mortali perché i loro effetti sono sconosciuti o diluiti nel tempo.  Il loro lento progredire conferma ciò che pensava Gramsci quando definiva la crisi come un interregno nel quale il vecchio muore e il nuovo non può ancora nascere. I fenomeni morbosi che in questo interregno si manifestano, nell’era corrente, si palesano anche nell’uso del linguaggio e in quello truffaldino delle parole.

È così che parole, come quelle citate sopra ma anche quelle ricorrenti durante tutta la pandemia di questi lunghissimi due anni (altri ne seguiranno), hanno finito per impoverirsi di significato o assumere significati diversi da quelli che l’etimologia, la semantica e la loro storia avevano a esse assegnato.

Il valore perduto delle parole ha finito per generare incertezza e aumentare la criticità delle situazioni vissute

Il valore perduto delle parole ha finito per generare incertezza e aumentare la criticità delle situazioni vissute, per loro definizione complesse; per impedire chiarezza, esattezza e precisione nella comunicazione mediale; infine per alimentare false credenze e opinioni che oggi si sono consolidate in atteggiamenti politici espressi dai numerosi movimenti N-Vax e No-GreenPass. Le parole usate da questi movimenti provocano in molti un grande fastidio perché espressione di crescente intolleranza e di pulsioni negative, ma si offrono per essere oltrepassate, suggerendo a tutti l’urgenza di rispolverare i significati profondi delle parole, riaffermare la loro forza originaria e immediatezza, di sfruttare ogni momento, anche dialettico, di incontro in modo da favorire nuove interpretazioni e nuovi significati.

Oltrepassare le parole con cui abitiamo i numerosi universi (piattaforme e non solo) paralleli oggi abitati è anche un modo per Oltrepassare il mondo che essi rappresentano, partendo dall’essere consapevoli che le tecnologie utilizzate non sono per nulla neutrali. Hanno colonizzato la nostra mente, fanno da ente intermediario in tutte le nostre attività e azioni e soprattutto hanno costituito intorno a noi un mondo a cui siamo ormai obbligati a partecipare. Esattamente come obbligato a trasferirsi, nella Caverna centro commerciale di Saramago, lo è il protagonista vasaio Cipriano Algor che con la sua famiglia continuava a vivere nella cintura agricola e industriale al suo esterno, desertificato, mantenuto fosco e sporco per far brillare l’attrattività del centro commerciale, ma che per Cipriano continuava a essere il posto dove vivere. Così come subiamo un ricatto costante dal non poter fare a meno dei social, del telefonino, del Web, Cipriano sarà costretto a migrare dentro il centro commerciale dalla cancellazione di ordinativi arrendendosi ai dettami della globalizzazione da esso rappresentata e dal potere burocratico (tecnico, computazionale) che rappresenta.

Il romanzo di Saramago, così come i precedenti Cecità e Tutti i nomi, è una metafora potente della vita di questi giorni. La trama, costruita a partire dall’archetipo della caverna platonica, si sviluppa in un clima fatto di disperazione e speranza, chiusure e aperture, con un linguaggio che ricorda volutamente la naturalezza e la riflessività della lingua parlata, invita a interrogarsi sul rapporto finzione-realtà, sulla libertà e sulla possibilità di auto-determinarsi, dentro una società ormai controllata in modo kafkiano (Il castello). Le parole sono scelte con cura per raccontare la difficoltà del vivere precario e per esplorare le emozioni umane dei protagonisti: ansia, paura, dolore, coraggio e amore. Ai due protagonisti principali si affiancano due donne, una figlia e una vicina di casa, e un cane saggio. Appena trasferiti non rimane che cercare una via di fuga che si presenta attraverso un sogno nella forma di una grotta. Alla vista dei cadaveri in essa imprigionati che la occupano, Cipriano si accascia su uno sgabello e piange, prende coscienza della condizione umana e di cosa siamo diventati o possiamo diventare per fare la scelta di andarsene, in modo da evitare di rimanere legato a una panchina di pietra a guardare una parete per il resto della sua vita. La decisione nasce dall’aver capito che «quegli uomini e quelle donne sono molto di più che semplici persone morte Li. Siamo noi» (p. 319) esseri destinati alla morte. La fuga (staccare la spina?) diventa allora una possibilità di riscatto umano, l’andare via un investimento fatto di speranza nelle capacità intellettive ed emotive dell’uomo, un modo per cercare e trovare la salvezza, ritrovare nuove ragioni di vita, anche sfidando l’ignoto. La fuga non può avvenire in solitudine ma coinvolge altri per aiutare anche loro a trovare una salvezza e un potenziale riscatto.

La fuga dalla caverna del centro commerciale di Saramago può essere usata per raccontare la fuga che, al tempo del disincanto tecnologico emergente, potrebbe suggerire quella dall’acquario-mondo digitale portando a forzare le porte grigliate delle voliere dei tanti uccellini in gabbia. Voliere che assomigliano all’appartamento al trentaquattresimo piano nel quale Cipriano con la figlia e il genero traslocano. Un appartamento con le finestre che non si possono aprire e fa pensare alla prigione. Entrambe le fughe, quella di Cipriano e quella dalle caverne digitali, seppure possibili, non devono però illudere. A dircelo è lo stesso Saramago che termina il suo romanzo ricordando ai lettori che il Centro Commerciale non sparirà, è lì per rimanere e continuare ad attrarre con le sue comodità e prodotti in vetrina. Non è un caso infatti che, mentre i protagonisti sono impegnati nel loro viaggio di sola andata, si imbattano in un manifesto, di quelli grandi che a caratteri cubitali comunica la novità del momento: “Entro breve, apertura al pubblico della caverna di Platone, attrazione esclusiva, unica al mondo, acquista subito il biglietto”.

e se fuggissimo tutti dalla caverna-acquario nella quale ci hanno intrappolato le piattaforme tecnologiche?

Un messaggio che riporta alla realtà con un rimando alla Caverna di Platone ma anche a un altro testo sempre centrato sui centri commerciali. Il romanzo è Kindom Come (Regno a venire) di JG Ballard. Un romanzo post-apocalittico che invita a riflettere sull’oggi piuttosto che preoccuparsi di futuri ancora lontani dall’essere realizzati. Il protagonista del romanzo è un mega centro commerciale cattedrale nei dintorni di Londra. Protagonisti lo sono ancor più i suoi visitatori che, con i loro comportamenti da prigionieri, ne decretano il successo e le strategie: contenti delle loro catene, insensibili al fatto di essere diventati ostaggi del CDA che dirige il punto vendita, poco motivati alla ricerca della loro libertà, pronti a cospirare con i loro aguzzini e disponibili a praticare qualsiasi culto che venisse loro suggerito. 

Visitatori e cittadini, non del mondo ma “[…] citizens of the shopping mall and the marina, the Internet. [the social]  and cable TV. We like it here, and we’re in no hurry for you to join us.”, una realtà che porta Ballard a dire che “Il futuro è morto, noi siamo solo sonnambuli all'interno di un incubo. Vedo periferie che si diffondono per il pianeta, la suburbanizzazione dell’anima, vite senza senso, noia assoluta. Una specie di mondo della tv pomeridiana, quando sei mezzo addormentato. […]. È pericoloso”.


Note

[1] Parola deriva dal termine latino paraula, dalla fusione del dittongo au in ‘o’. Paraula a sua volta è un’evoluzione di parabola, dal greco para+ballo. Para è un prefisso che indica vicinanza, ciò che sta accanto, mentre il verbo ballein significa gettare, porre.

[2] Chandra Livia Candiani

[3] Anna Maria Palma e Lorenzo Canuti, Vuoi parlare con me? Dialogare nell’esistenza, Edizioni Tassinari

[4] Kornei Chukovsky ha coniato il concetto di genialità linguistica per raccontare il passaggio dalla lingua parlata alla lingua scritta, uno sviluppo della comprensione delle parole e dei loro molteplici impieghi da parte del bambino, prima nel discorso e poi nella scrittura.

[5] Dante, Paradiso, canto XVII, versetto 58-60

[6] Il concetto di infosfera senza aggettivi a cui si fa riferimento è quello usato da Berardi Bifo che correttamente usa il concetto sia per descrivere l’epoca alfabetica (infosfera alfabetica) sia quella digitale (infosfera digitale)

[7] Umberto Galimberti “Se le nuove tecnologie rendono inutile comunicare”, pubblicato nel libro Il primato delle tecnologia -Guida per una nuova iperumanità

[8] Berardi Bifo: La sollevazione – Collasso europeo e prospettive del movimento, Edizioni Manni, 2011 Pag. 104

[9] Il motion capture (conosciuto con l'abbreviazione mocap, in italiano, "cattura del movimento"), è la registrazione del movimento del corpo umano (o di altri movimenti) per l'analisi immediata o differita grazie alla riproduzione. È principalmente utilizzato nel campo dell'intrattenimento, militare, sportivo o medico. (Wikipedia)

[10] La performance capture è una tecnologia cinematografica utilizzata per catturare movimenti ed espressioni facciali di un soggetto/attore reale per poi applicarli a un personaggio virtuale. La tecnica è stata usata in numerosi film ma per la prima volta da Robert Zemeckis nel film 'Polar Express'. Il film più famoso costruito sul perfezionamento della performance capture è stato sicuramente Avatar di James Cameron.

[11]Dietro l’immagine non c’è nulla se non l’immagine stessa […]: essa si moltiplica sempre in modo identico” – Marc Augé

[12] Wilhelm Reich, il padre della psicoterapia corporea moderna.

[13] Miguel Benasayag Funzionare o esistere, Vita e Pensiero, 2019

[14] Intesa come lo spazio nel quale esercitiamo la nostra esperienza esistenziale della vita nel mondo, dalla semplice osservazione e contemplazione, all’attività tarsformativa, sempre in bilico tra esistenza ed essenza.

[15] Totalità e Infinito, Saggio sull'esteriorità, Edizioni Jaca Book, dodicesima ristampa 2021

[16]  Edgar Morin, Lezioni da un secolo di vita, Mimesis, 2021. Pag 55

[17] Emmanuel Lévinas (1906-1995), Epifania del volto

[18] Definizione dello scrittore tedesco Thomas Macho

[19] Uno spunto tratto da un articolo di Umberto Galimberti

[20] Un giorno credi di Edoardo Bennato: “metti tutta la forza che hai nei tuoi fragili nervi/Quando ti alzi e ti senti distrutto fatti forza e vai incontro al tuo giorno”

[21] Termine usato da Pier Aldo Rovatti per un suo libro pubblicato nel 2019 da Elèuthera

[22] Ernst Bloch, Il principio speranza

[23] C'è una breccia in ogni cosa ed è da lì che entra la luce

[24] La setta degli uomini senza volto conservano i volti di coloro muoiono nel loro santuario. Li appendono alle pareti come maschere macabre da usare durante le loro attività criminali. Le maschere tuttavia sono molto più di semplici maschere, chi le indossa, assume l'aspetto della persona a cui il volto apparteneva.

[25] Emmanuel Lévinas: Totalità e infinito, Edizioni Jaka Book

[26] Il termine è stato coniato da Wilhem Reich per descrivere l’energia vitale, o energia pre-atomica, di cui sarebbe pervaso l'universo e che nell'uomo si manifesterebbe come energia sessuale e libido.

[27] Termine coniato da Carlo Mazzucchelli nel suo libro I pesci siamo noi - Prede, pescatori e predatori nell'acquario digitale della tecnologia, pubblicato da Delos Digital

[28] Marc Augé, Cuori alle schermo – Vincere la solitudine dell’uomo digitale. Pag. 114

[29] Francesca Rigotti, L’era del singolo, Einaudi Editore, 2021, Pag. 4

[30]Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa.

[31] Andrea Colamedici e Maura Gancitano, L’alba dei nuovi dei. Da Platone ai Big Data - 2021, Pag 42

[32] Da un articolo di Walter Siti sul quotidiano Domani: Nella società dello spettacolo diventiamo attori di noi stessi

[33] Umberto Galimberti: Il libro delle emozioni, Feltrinelli Editore, 2021

[34] Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon Comunità di Bose, Pag 44

[35] Il termine persona è scelto intenzionalmente per marcare la differenza con la parola individuo. A considerare individui i propri membri è la società moderna. Una società nella quale, come ha ben raccontato nei suoi libri sulla liquidità moderna Zygmunt Bauman, è sempre l’individuo che decide cosa sia buono o cattivo, lecito o illecito. Una società individualista nella quale è l’individuo ad attribuire valore alle cose.

[36] Jean Baudrillard: Il delitto perfetto – La televisione ha ucciso la realtà?

[37] Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito - Saggio sulla esteriorità, Jaka Book, prima edizione 1971, ristampa 2021, Pag 211

[38] Franco <<Bifo>> Berardi, La Congiunzione, NERO Edizioni, 2021

[39] Vanni Codeluppi, La vetrinizzazione della vita sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, 2007

[40] Anagramma di One, eletto

[41] Ugo Foscolo, Sonetti

[42] Federico Campana, Magia e tecnica - La ristrutturazione della realtà - Edizioni Tlon, 2021,Pag. 161

[43] Autore del libro Oralità e scrittura - Le tecnologie della parola

[44] Silvia Ferrara, Il Salto. Segni, figure, parole: viaggio all’origine dell’immaginazione - Feltrinelli Editore, 2021, Pag. 192

[45] Da un articolo su NOVA di Piero Dominici

[46] Cosimo Accoto, Il mondo dato, cinque brevi lezioni di filosofia digitale, EGEA, 2017, Pag. 113

[47] L’uomo è antiquato (Die Antiquiertheit des Menschen), Primo volume pubblicato nel 1956, il secondo nel 1980

[48] “Il linguaggio è la dimora dell’Essere”. Gadamer, Verità e metodo, Pag. 524

[49] Donatella Di Cesare, Utopia del comprendere, da Babele ad Auschwitz, Edizioni Bollati Boringhieri, 2021, Pag. 40

[50] Montaigne: Saggi, Edizioni Giunti/Bompiani, 2019, Pag. 863

[51] Ibid Pag 863

[52] “Le manifestazioni No Vax sono organizzate da persone che parlano di libertà, ma si rendono schiave delle proprie idee non mettendole in discussione. Gli antivaccinisti non scendono in piazza per manifestare un’opinione diversa, ma corrono il rischio di diffondere il virus diventando un pericolo per gli altri: i dati dei contagi del Friuli Venezia Giulia lo dimostrano. È un fenomeno che deriva ancora una volta dal collasso della nostra cultura e della nostra scuola, non più in grado di formare menti critiche. È il prodotto della mancanza di buona educazione e di dialogo: elementi in assenza dei quali si resta bulli che si nutrono di informazioni infondate”. Umberto Galimberti

[53] Il riferimento è al capolavoro di Elias Canetti Massa e potere

[54] Edgar Morin, La testa ben fatta

[55] “[…] la parola significato si può definire così: il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio” Ludwig Wittgenstein

[56] Il riferimento è al team di social media manager che affiancano il leader della Lega, Salvini, nelle sue attività di comunicazione social

[57] Leonardo Sciascia, Processo per violenza in Il mare color del vino

[58] Douglas Hofstadter e Emmanuel Sander: Superfici ed essenza. L’analogia come cuore pulsante del pensiero

[59] “L’autocoscienza è in sé e per sé in quanto e perchè è in sé e per sé per un’altra: ossia essa è soltanto come qualcosa di riconosciuto” - Hegel, Fenomenologia dello spirito, traduzione di E,de Negri, 1963, Pag. 153 vol.1

[60] E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza

[61] Ornella Castellani Pollidori: La lingua di plastica

[62] Ivano Dionigi: Parole che allungano la vita. Pensieri per il nostro tempo. Edizioni Cortina, 2020

[63] Vittorio Coletti, accademico della Crusca. La frase è contenuta in un suo articolo sull’Italiano della politica pubblicato sul sito dell’Accademia della Crusca

[64] Marc Augé: Cuori allo schermo, vincere la solitudine dell’uomo digitale

[65] Ludwig Wittgenstein

[66] Quando si parla di anglicismi tutti dovrebbero riflettere sulla quantità di parole che rientrano in questa categoria e delle quali non si ha più alcuna percezione della loro provenienza straniera. Ne è un esempio la parola sport (da cui sportivo, sportivamente). Ma l’elenco è lungo: marketing, hobby, party, bar, film, baby, e-mail, manager, partner, convention, wi-fi, backstage, auditing, endorsement, fake news, leggings, sexting, cyborg, ecc. 

[67] L’esempio è stato fatto dallo psicologo Luciano De Gregorio

[68] Cory Doctorow

[69] Edgar Morin, Per un'educazione al pensiero complesso 

[70] Edoardo Bennato, L’isola che non c’è

[71] Lo slogan di Vittorio (Vik) Arrigoni, attivista rapito e ucciso in Palestina

[72] Edgar Morin: “La benevolenza permette di considerare gli altri non solo per i loro difetti e le loro mancanze, ma anche per le loro qualità, nello stesso tempo nelle loro intenzioni e nelle loro azioni”.

[73] Il riferimento è alla concezione dell’etica di Paul Ricoeur

[74] Duccio Demetrio, All’antica- Una maniera di esistere, Raffaello Cortina Editore, 2021, Pag. 23

[75] Edgar Morin, Il Metodo 6 Etica, edizioni Cortina, 2005, Pag. 111

[76] Definizione usata da Francesco Varanini nel suo libro: Le cinque leggi bronzee dell’era digitale. E perché bisogna trasgredirle.

[77] Metaverso (Metaverse) è un termine coniato da Neal Stephenson in Snow Crash (1992), libro di fantascienza cyberpunk, descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar.  Quella di Stephenson è una visione futuristica dell'internet moderna, frequentata dalle fasce della popolazione medio alte ove la differenza tra le classi sociali è rappresentata dalla risoluzione del proprio avatar, e dalla possibilità di accesso a luoghi esclusivi. Esempi di metaverso sono considerati i MMORPG e le chat in tre dimensioni come Second life o Active Worlds.

[78] Francesco Varanini

[79] Jón Kalman Stefánsson: "Paradiso e Inferno", Pag 11

[80] Ode su un'urna greca di John Keats, pubblicata nel 1819

[81] Eugenio Borgna: Le parole che ci salvano

[82] Riferimento all’opera di Søren Kierkegaard Timore e Tremore pubblicata nel 1843 con lo pseudonimo di Johannes de Silentio

[83] La gentilezza che cambia le relazioni digitali - La gentilezza per le relazioni nell’era digitale, per recuperare lentezza, attenzione verso sé stessi e gli altri, la buona educazione e le buone maniere., Delos Digital, 2018 

[84] Daniel Gamper: Le parole migliori, Treccani Editore, 2021, Pag. 134

[85] LEdgar Morin L’homme e la mort - Seuil, Paris 1970, trad. ital., Newton Compton, Roma 1980

[86] Un concetto espresso dal filosofo del linguaggio Lev S. Vygotskij

[87] Diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno (per es., dei propri avversari politici, dei propri nemici in un conflitto bellico, e sim.).

[88] Gianrico Carofiglio La nuova manomissione delle parole, Feltrinelli, 2021, Pag. 57

[89] Il libro di Carlo Mazzucchelli “Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta. Alla ricerca di senso nell’era tecnologica e digitale” è pubblicato in formato digitale e cartaceo da Delos Digital

[90] Il fenomeno della «retrotopia» deriva dalla negazione della negazione dell’utopia, che con il lascito di Tommaso Moro ha in comune il riferimento a un topos di sovranità territoriale: l’idea saldamente radicata di offrire, e possibilmente garantire, un minimo accettabile di stabilità, e quindi un grado soddisfacente di fiducia in sé stessi. (Zygmunt Bauman, trad. di Marco Cupellaro, Repubblica, 3 settembre 2017, Robinson, p. 16) 

[91] Eterotopia è un termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano». 

[92] Binge watching è un termine della lingua inglese con cui si indica l'atto del binge-watch, ossia il guardare programmi televisivi per un periodo di tempo superiore al consueto, particolarmente la pratica di usufruire della visione di diversi episodi consecutivamente, senza soste. Traducibile in italiano con "maratona televisiva", in inglese per tale azione sono anche usati i termini binge viewing e marathon viewing.  Evoluzione di tale pratica è il binge racing (tradotto in italiano come gara di abbuffata), ovvero il guardare l'intera serie tv in sole 24 ore; tale pratica, che coinvolge circa 8,4 milioni di fruitori, è praticata specialmente sulle piattaforme televisive, in cui gli episodi delle serie tv vengono rilasciati insieme simultaneamente. (Wikipedia)

[93] Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta. (Wikipedia)

[94] Il concetto è stato spesso usato nei suoi libri dal Cardinal Ravasi, riprendendo una terminologia usata da Teilhard de Chardin per il quale il linguaggio diventa epifania e trasparenza della rivelazione divina. In esso si manifesta la potenza del Logos del prologo giovanneo, già evocato, secondo la semantica semitica sottesa. In ebraico, infatti, dabar, “parola”, significa contemporaneamente anche “atto, evento”. Dire e fare s’intrecciano.

[95] I concetti qui espressi fanno riferimento al pensiero di Paul Ricoeur

[96] Spunti tratti dal pensiero di Iris Murdoch

[97] Edgar Morin, Etica, Cortina Editore, Pag. 51

[98] Daniel Gamper; Le parole migliori, Treccani editore, 2021, Pag. 68

[99] Ece Temelkuran, La fiducia e la dignità, Bollati Boringhieri Editore, 2021,

[100] Spunti tratti dal libro di Ermanno Bencivenga: Parole che contano

[101] È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire io sono pensato. – Scusi il gioco di parole. IO è un altro. Questa formula ricorre in due lettere della Corrispondenza di Arthur Rimbaud: nella lettera del maggio 1871 a Georges Izambard – professore di Rimbaud al collegio, ma anche amico e confidente che lo iniziò alla letteratura; ed in quella immediatamente successiva a Paul Demeny amico di Izambard, a sua volta poeta, risalente al 15 maggio 1871.

[102] Come ha per tempo ben spiegato il filosofo Maurizio Ferraris nei suoi libri lo smartphone è usato più per scrivere che per parlare. Più che un telefono è una lavagna trasparente e condivisa.

[103] Lamberto Maffei, Elogio della parola, Edizioni Laterza, 2018, Pag. 7

[104] La poesia nella sua versione in inglese: Be Careful of Words - Be careful of words, even the miraculous ones. For the miraculous we do our best, sometimes they swarm like insects and leave not a sting but a kiss. They can be as good as fingers. They can be as trusty as the rock you stick your bottom on. But they can be both daisies and bruises. Yet I am in love with words. They are doves falling out of the ceiling. They are six holy oranges sitting in my lap. They are the trees, the legs of summer, and the sun, its passionate face. Yet often they fail me. I have so much I want to say, so many stories, images, proverbs, etc. But the words aren’t good enough, the wrong ones kiss me. Sometimes I fly like an eagle but with the wings of a wren. But I try to take care and be gentle to them. Words and eggs must be handled with care. Once broken they are impossible things to repair.

[105] Anne Sexton (Weston, 4 ottobre 1974) è stata una scrittrice e poetessa statunitense. Dopo diversi tentativi di suicidio, il 4 ottobre del 1974, anno del suo divorzio, Anne Sexton scese in garage e dopo aver acceso il motore della sua macchina si lasciò morire inalando il monossido di carbonio. È sepolta al Forest Hills Cemetery & Crematory a Jamaica Plain, Boston, Massachusetts.

[106]La frase è una riflessione di Donatella Di Cesare fatta nel suo libro Utopia del comprendere, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2021, Pag.22

[107] Byung-Chul Han (2014). Razionalità digitale. La fine dell’agire comunicativo

[108] Spunti tratti dal libro di Zygmunt Bauman Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.

[109] Termine utilizzato da Emmanuel Lévinas per rappresentare la dimensione dell’alterità e dunque il senso della comunità e della responsabilità.

[110] Zygmunt Bauman: Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.

StultiferaBiblio

Pubblicato il 10 aprile 2025

Carlo Mazzucchelli

Carlo Mazzucchelli / ⛵⛵ Leggo, scrivo, viaggio, dialogo e mi ritengo fortunato nel poterlo fare – Co-fondatore di STULTIFERANAVIS

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