- Parole in forma di carezze [leggi qui]
- Il volto e le facce [leggi qui]
- Sempre connessi mai congiunti [leggi qui]
- Persi dentro schermi magnetici e luccicanti [leggi qui]
- Ambienti digitali e forza delle parole [leggi qui]
- La ricchezza delle parole [leggi qui]
- Parole inflazionate, parole ricche di significati [leggi qui]
- Le parole dell’etica [leggi qui]
- Una riflessione necessaria [leggi qui]
- Oltrepassare come azione etica [leggi qui]
- Serve uno sguardo diverso [leggi qui]
- Alla fine del viaggio dentro le parole [leggi qui]
- Siate cauti con le parole [leggi qui]
“Ci sono parole importanti, di uso quotidiano, il cui significato nel tempo si è dilatato fino a diventare incerto, fino a renderle vaghe e prive di contorno, così che oggi, come i liquidi prendono la forma dei recipienti che li contengono, possono essere adatte a contesti diversi senza però significare più nulla di sicuro.” – Massimo Angelini, Ecologia della parola
“Sì, pensare non basta. Le parole non pronunciate diventano briciole, ci saziano per un istante ma si dimenticano altrettanto in fretta. Solo quando escono dalla bocca rivelano il loro valore… Però possiamo scriverle. Sì, ma allora occorre qualcuno che sappia leggerle […]”– Cucinare un orso, Mikael Niemi
“Lasciaci oltrepassare la gioia e il dolore - Lasciaci oltrepassare l’astio e l’affetto - Lasciaci oltrepassare le parole dure e quelle vane, le parole vuote dell’amoreLasciaci oltrepassare.” -- Abbas Kiarostami
“Non voglio parole che mi spieghino e nemmeno che sgroviglino né chiariscano. Non voglio parole che mi riempiano e nemmeno che mi facciano sentire sciocca e con poca scuola alle spalle. Non voglio parole che complichino senza un cuore al centro. Non voglio parole che si diano arie. Ho bisogno di parole leggere eppure capaci di sfamare e dissetare, parole che mi domandino tanto, tutta la testa da mozzare e un cuore ingenuo da allenare al passo delle bestie nella foresta, vigile e sempre a casa, eppure sempre in pericolo. Voglio parole disobbedienti ma anche candide. Parole capriole e parole solletico, parole lampi, fulmini e tuoni, parole aghi che cuciono e parole che strappano la stoffa del discorso.” Chandra Livia Candiani - Salutare le parole - articolo della rivista Doppiozero
Una riflessione è necessaria
“La filosofia, fin dai tempi più antichi, non è stata soltanto un affare di scuola o di discussione tra un pugno di uomini istruiti. Ha fatto parte integrante della vita della comunità [...]” - Bertrand Russell, Storia della filosofia Vol.1, Pag.4
“Pensare, pensare dobbiamo. In ufficio, in automobile, mentre tra la folla osserviamo l’incoronazione, mentre passiamo davanti al monumento dei caduti, mentre percorriamo Whitehall, mentre sediamo nella tribuna riservata al pubblico della Camera dei comuni, dei tribunali, ai battesimi, ai matrimoni, ai funerali. Non dobbiamo mai smettere di pensare: che civiltà è questa in cui ci troviamo a vivere?” - Virginia Woolf
Per essere consapevoli e responsabili, gentili e generosi, solidali e ospitali nei tempi del disincanto tecnologico emergente, bisogna smettere di essere indulgenti verso sé stessi e severi con gli altri. Bisogna abbandonare la compagnia degli integrati di Umberto Eco che si possono descrivere oggi come coloro che abitano gli spazi tecnologici, in forma di piattaforme social, senza porsi alcuna domanda e accettando tutto ciò che viene loro presentato come una novità, una innovazione, un meme o una tendenza da seguire, senza mai porsi troppe domande o interrogarsi sulle proprie azioni e gli effetti da esse generate.
Dentro la pandemia di egocentrismo corrente è necessario dubitare del proprio essere furbi, delle conoscenze possedute.
Dentro la pandemia di egocentrismo corrente, la cui viralità è stata facilitata dalla tecnologia, è necessario dubitare del proprio essere furbi, delle conoscenze possedute. Per porsi delle domande, esercitare una riflessione continua sul nostro essere nel mondo, mettere in discussione abitudini e comportamenti, modificare il modo di interagire con i media tecnologici, riflettere decostruendo criticamente i mondi digitali frequentati, fare i conti con le innumerevoli false notizie, contenuti spazzatura e verità alternative, per poi operare delle scelte esercitando il proprio diritto alla verità, seppur consapevoli della sua illusorietà.
Ridare senso alle parole è un primo passo necessario, un dovere etico
Ridare senso alle parole è un primo passo necessario, ma anche un dovere etico, per disvelare l’inganno di tante forme superficiali di comunicazione e narrazioni online, spesso esempio di trascuratezza e approssimazione, veicolo di parole vuote, parole poco precise, parole mistificate o semplicemente irresponsabili. Ricercare il senso delle parole diventa esercizio utile per comprendere meglio il ruolo di coloro che questo inganno rendono possibile, con le loro applicazioni e piattaforme guidate da modelli di business piegati alla volontà di potenza e di dominio, anche psichico, del mondo, e non certo all’approccio etico e responsabile.
Riempire di nuovi significati le parole è anche un modo attivo e generativo, per costruire scenari futuri rimettendoli nelle nostre mani, esercitando forme di dissidenza nei confronti delle convenzioni tecnologicamente massificate prevalenti, che sul linguaggio (le conversazioni e le narrazioni online) hanno costruito la loro diffusione e successo, colonizzando le menti e la psiche di moltitudini di persone. Riflettere sul conformismo comportamentale corrente è utile per cercare di comprendere come ad originarlo non sia soltanto un difetto del carattere individuale o una insicurezza nel proprio giudizio, ma l’appiattimento, l’adeguamento passivo, acritico e succube all’opinione pubblica corrente prevalente. Ne è testimonianza l’adesione acritica a un buon senso privo di senso, spesso dettato da motivazioni psicologiche legate all’insicurezza e alla paura della modernità, foriero di potenziali conflitti futuri di ogni tipo. Le modalità con cui il conformismo si manifesta sono quelle della mimetizzazione e dell’adesione a ritualità ed entità sociali, in forma di tribù, clan, chat, gruppi, comunità e reti di contatti, sia nella loro forma digitale sia fattuale. Si finisce per diventare succubi di gesti, comportamenti, stili di vita ma anche modi di comunicare e raccontare, dei quali in molti casi non siamo neppure consapevoli, che determinano azioni, reazioni, operazioni, gesti ripetitivi (un MiPiace non si nega a nessuno!), dai quali non riusciamo più a separarci. In termini linguistici il conformismo corrente, oggi molto impegnato nel celebrare le magnifiche sorti e progressive dell’era digitale, è diventato tecnologico, informatico e massmediatico, ha trasformato la narrazione tradizionale attraverso una specie di neolingua, una lingua franca che non tutti conoscono ma che viene praticata da moltitudini di persone, in particolare attraverso la pratica della scrittura.
iIl diffuso conformismo che ha omologato, superficializzato, appiattito e brutalizzato il linguaggio è diventato tecnologico
Frequentando le piattaforme social si ha l’impressione di assistere a un monologo collettivo, risultato di tanti monologhi dai contenuti tutti uguali, ripetitivi, recitati a partire da ciò che si è ascoltato, quasi sincronizzati e sintonizzati, nella scelta, nel ritmo così come nelle forme espressive utilizzate. Contenuti e narrazioni sembrano uscire da specchi (schermi) nei quali tutti (anche le loro anime?) si riflettono e che fanno da sfondo a tutto ciò che si sente di voler dire, raccontare e condividere. Gli sfondi, fatti di parole, testi, immagini e video sono però tutti uguali, anche se ognuno li percepisce a modo proprio, convinto e contento che l’algoritmo della personalizzazione lo abbia reso possibile. L’omologazione che ne deriva riduce la libertà di espressione, limita la parola libera dentro confini predefiniti da algoritmi e definiti, raccontati come trasparenti ma in realtà mai stati così solidi, presidiati e invalicabili: “I parlanti che si limitano a ripetere ciò che si dice e a vivere in accordo con i valori correnti abitano nel linguaggio come in una gabbia[84]”.
L’omologazione emerge anche nel modo di sentire e vivere il silenzio o la sua assenza. Online non si può non partecipare, non condividere o non commentare. Bisogna (re)agire in tempo reale, senza pausa e senza tante riflessioni (Don’t think, Just do it! è il refrain motivazionale di molte filosofie pop online). Tutti sentono il bisogno di fermarsi, di silenziare il brusio di fondo per meglio ascoltare la propria anima e quella dell’altro, nessuno sa più come farlo. Incatenati dagli algoritmi e vincolati dalle funzionalità delle piattaforme ci limitiamo passivamente a subire.
In contesti nei quali la maggioranza delle persone si comporta in modi simili, quasi automatizzati, non c’è spazio per minoranze resistenti. Proprio nel momento in cui pensiamo di disporre della massima libertà di influenzare le opinioni degli altri con le nostre, espresse stando seduti davanti allo schermo di un computer, scopriamo quanto esse siano effimere, quanto poco contino, se non per alimentare l’illusione che la propria opinione sia davvero importante e possa fare la differenza. Ciò non impedisce di proporre opinioni diverse, dissenzienti, politicamente scorrette, di suggerire riflessioni e promuovere conversazioni portatrici di pensieri, memi, parole utili al dibattito pubblico.
Contro l'omologazione cresce il bisogno di proporre opinioni diverse, dissenzienti, politicamente scorrette
Un modo di agire che il filosofo Bertrand Russel aveva riassunto in modo magistrale nella forma di un invito rivolto a tutti: “Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Siate il peso che inclina il piano. Siate sempre in disaccordo perché il dissenso è un’arma. Siate sempre informati e non chiudetevi alla conoscenza perché anche il sapere è un’arma. Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.”
Il testo del filosofo britannico è per alcuni un inno al relativismo e un invito generico, non politicizzato, alla ribellione rinunciando alla passività. In realtà queste parole sono un invito, ancora attuale, a resistere al pensiero unico e in particolare a informarsi per navigare nel mare inquinato delle false notizie e delle false o pretese conoscenze in modo anche da impedire che alla Verità si sostituiscano tante piccole verità, frammentate, forse neppure tanto vere, anzi false perché artatamente falsificate. Insistere nel dissentire e nel contrastare il conformismo è un modo per proteggere il diritto alla parola e ad ascoltare. Facendolo si proteggono le parole e le loro conseguenze, favorendo anche interpretazioni e riflessioni diverse sulle parole usate.
Le parole su cui riflettere sono molte, forse tutte quelle che fanno parte delle nostre pratiche linguistiche quotidiane, in presenza e online, così come delle nostre attività mentali (le parole come flussi e fonemi mentali) finalizzate alla classificazione e concettualizzazione, utili a chi è coinvolto in un dialogo o conversazione per comunicare e comprendersi. Da queste attività mentali emergono i valori semantici che, a partire da concetti e loro categorizzazioni, si cristallizzano in parole e testi. Le une e gli altri non sempre capaci di rispecchiare le nostre esperienze semio-percettive e la realtà esperita, oggi anche virtualmente, dentro universi fatti di bit, abitati da simulacri, avatar (profili digitali) e rappresentazioni digitali.
Le parole da riscoprire, anche per la loro valenza polisemica e semantica: democrazia, assurdità, bellezza, e vecchiaia
Sono parole su cui riflettere anche quelle analizzate dallo psichiatra Vittorino Andreoli nel suo libro Il rumore delle parole, un libro nato dal suo bisogno di continuare a parlare, da persona saggia anziana, studioso, psicanalista e cittadino. Bisogno soddisfatto in forma di lezioni audio, poi trascritte per diventare un libro. Le parole su cui si è focalizzato sono parole dal grande fascino. Polisemiche nel loro nucleo significante centrale e nei loro confini semantici: democrazia, assurdità, bellezza, e vecchiaia, parola quest’ultima che rimanda alle numerose riflessioni filosofiche che ne hanno trattato. Per esempio alle riflessioni sulla morte e all’oltrepassare la vita come un destino dentro un “sapere non smentibile, [...] che afferma l'eternità di ogni cosa, situazione e stato del mondo” (Emanuele Severino), ma anche all’immortalità che Kundera aveva definito come: " […] il rimanere vivo nei ricordi delle persone per lungo tempo. Anche per l'eternità". Una forma di consolazione per altri tipi di oltrepassamenti rispetto a quello trattato in questo testo. Un Oltrepassare che va oltre il non-esserci e ci invita a compiere una rivoluzione copernicana della morte, come suggerisce Edgar Morin[85] invitando a usare la morte per dare un significato più forte all’agire e al vissuto, sempre contestualizzato nella vita individuale e collettiva di ogni singola persona.
La riflessione sulle parole di Andreoli richiama l’attenzione alle molteplici realtà che emergono nella nostra mente, fino a quando essa continua a essere attiva. Realtà virtuali, tanto quanto lo sono quelle delle piattaforme digitali, realtà che non necessariamente si concretizzano, in forma di pensieri, concetti e parole, ma che pure rappresentano il nostro immaginario, la nostra immaginazione, la nostra fantasia abitando i nostri sogni e desideri. Le realtà virtuali a cui facciamo riferimento sono anche quelle dei Metaverse di Facebook, realtà immersive nelle quali sarà possibile superare la distinzione tra un dentro e un fuori e che, nelle intenzioni di Zuckerberg, dovrebbero suggerire la calda scelta del dentro in alternativa al freddo là fuori.
La ricchezza da scoprire sta dentro ciò che rimane sommerso, invisibile allo sguardo e oggetto di esplorazione
Ciò che passa nella nostra mente, le parole che scegliamo di usare, non danno alcuna garanzia di una trasposizione verbale o scritta esatta, con parole giuste, precise. La ricca esperienza, che deriva dalla frequentazione di mondi diversi, fattuali e virtuali, i metaversi di domani, analogici e digitali, incarnati e in assenza di corpo, non viene sempre e completamente verbalizzata. Le parole non rappresentano che la punta dell’iceberg di ciò che passa per la mente e poi, qualora venisse verbalizzato (in forma orale, scritta, ecc.), è soggetto all’ascolto, alla lettura, alla traduzione e alla interazione. Secondo il linguista e filosofo De Mauro tra parlare e capire (scrivere e leggere) sussiste sempre una asimmetria che, durante lo scambio linguistico, si manifesta in forma di interpretazione. E l’interpretazione è sempre una “esplorazione che ha un inizio certo nel testo ma non ha un limite certo […], ammette e richiede ripensamenti e ritorni”. La ricchezza da scoprire sta dentro ciò che rimane sommerso, invisibile allo sguardo e oggetto di esplorazione, per chi lo volesse fare nell’intento di scoprire la cosiddetta altra “faccia della luna”, la faccia nascosta del significato.[86] Come direbbe Noam Chomsky la caratteristica di ogni discorso umano sta nella sua “illimitatezza […] come espressione di pensiero illimitato”.
La difficoltà nel cogliere la ricchezza semantica delle parole (della lingua) consiste nel saper cogliere il loro significato. Spesso reso comprensibile dalle frasi che le parole compongono o dal significato complessivo che emerge da un racconto o un testo scritto, da una conversazione o un dialogo interiore, sempre calati dentro contesti, situazioni o eventi concreti (pragmatici).
il problema della comunicazione che è in definitiva un problema semantico, gli interlocutori devono saper riconoscere lo stesso senso per ogni significante, segnale o parola usati
C’è poi il problema della comunicazione che è in definitiva un problema semantico. Legato al fatto che gli interlocutori di un discorso, di uno scambio linguistico verbale, anche in assenza di corpo e non prossemico, concordino tra di loro nel riconoscere lo stesso senso per ogni significante, segnale o parola usati. Complicato è anche orientarsi dentro la vaghezza semantica dei significati e delle parole (i significanti), la loro metaforicità. Infine c’è la “oscillazione individuale e collettiva del vocabolario” che racconta il vocabolario di base di ogni singolo individuo adulto e il variare di conoscenze lessicali tra persone diverse. Un’oscillazione che continua a variare nel tempo ed è determinata dalla obsolescenza di molte parole, dall’emergere di sempre nuove parole e di nuovi neologismi, molti dei quali oggi imposti dalle nuove tecnologie, per non dire di termini diversi da quelli della lingua in uso (anglicismi, francesismi, abbreviazioni, troncamenti, emoticon e emoji, ecc.).
Per De Mauro “L’indeterminatezza del significato dei segni e delle parole è la condizione per cui gli utenti possono saggiare l’estensibilità di un segno o di una parola fino a cogliere un senso nuovo e diverso”. È da questa indeterminatezza che nasce la possibilità continua di Oltrepassare, andare oltre le parole, i loro significati correnti, con nuove interpretazioni di senso, capaci di dare forma anche a nuovi concetti esprimentesi in neologismi e parole nuove e/o diverse, in grado di dare forma a utilizzi nuovi e differenti della lingua oltre che a nuovi pensieri. Il tutto dentro una prospettiva non solo individuale ma collettiva, partecipata e condivisa, in grado di determinare nuove accezioni di senso delle parole usate, fino a farle diventare di utilizzo comune. Oltrepassare le parole, per come sono oggi usate, è una reazione agli irrigidimenti dell’oggi proponendo nuove interpretazioni. Un modo per fare cultura rimettendo le cose in movimento, accoglierle nel loro saper “mutare, cambiare, incontrarsi e accogliere” collegare le loro radici di significato antico e la loro storia con il presente, per dare forma ai loro scenari di senso, costruire il loro futuro e il nostro avvenire.
Oltrepassare le parole, per come sono oggi usate, è una reazione agli irrigidimenti dell’oggi proponendo nuove interpretazioni.
Lavorare sulle parole, Oltrepassarle, esplorarle è un modo per dare loro dignità, recuperandone la valenza etica, la ricchezza semiologica e sapienziale, trasformandole in nuove conoscenze, in conoscenza trasformativa, immaginativa. E la conoscenza è tanto più trasformativa quanto più nasce dallo sguardo, movimento del desiderio, dall’incontro fisico con gli Altri, con i loro volti incarnati, la loro voce, in presenza. Non è una conoscenza basata su semplici informazioni, scambi di parole, messaggi e significati ma costruita su emozioni, su innamoramenti, sulla comprensione, sulla compassione e solidarietà, sull’amore verso l’Altro. In vicinanza e distanza (online non c’è differenza) così come nella sua negatività, estraneità e diversità, nella sua capacità di determinare quello che noi siamo.
Ciò che si conosce ha meno rilevanza di ciò che si sente in presenza quando si incontra dal vivo una persona. Una conoscenza di questo tipo ha effetti salutari, salvifici e benefici, attiva lo sguardo, può distoglierci dal ronzio rumoroso delle comunicazioni al tempo dei social network, svelando le mitologie fasulle correnti fondate sullo storytelling auto-centrato, sulla prestazione, sulla visibilità, sulla comunicazione e sulla narcisistica auto-promozione continua del sé, sulla vendita di sè stessi in forma di prodotto da consumare in fretta.
la conoscenza è tanto più trasformativa quanto più nasce dallo sguardo, movimento del desiderio, dall’incontro fisico con gli Altri, con i loro volti incarnati, la loro voce, in presenza.
Applicando la categoria dell’Oltrepassare alle parole che abbiamo indicato come dotate di un carattere etico, da contestualizzare dentro l’era tecnologica attuale, si può andare alla scoperta delle loro sorprendenti interrelazioni e verità universali, forse anche di un linguaggio universale (lo reclamava Leopardi nello Zibaldone), in cerca del proprio destino.
Ai tempi delle migrazioni che interessano milioni di persone in fuga da crisi ambientali, economiche e politiche, la parola ospitalità per esempio diventa rivoluzionaria, anticonformistica ma soprattutto espressione di gentilezza, generosità e solidarietà, oltre che di compassione e libertà.
Dare il benvenuto a un migrante (etimologicamente parlando, una persona disposta a mutare, cambiare, a scambiare, dall’indoeuropeo mei/moi), esprimergli la nostra ospitalità e amicizia, con gentilezza e cordialità, è un modo per valorizzare le parole associate ai gesti che le parole descrivono ma anche per riconoscere l’Altro da noi, che ci si presenta non come straniero ma nella sua semplice e disperante alterità e diversità. Nell’accogliere questo Altro da noi, dandogli il benvenuto in terra nostra, non facciamo altro che riconoscerne la singolarità, l’autenticità e, al tempo stesso, il ruolo che ha nel dare forma al nostro essere oggi su questa terra. Si potrebbe dire che il migrante, l’estraneo, l’Altro possa essere compreso come tale solo all’interno di un orizzonte nel quale l’incontro diventa possibile proprio perché ha qualcosa di familiare con noi.
Per essere ospitali, accoglienti, bisogna sapersi guardare dentro, dare ascolto alla propria coscienza e interiorità. Solo così ci si predispone all’ascolto e al dialogo dopo essersi immedesimati con la sofferenza degli altri, che poi è anche la propria, spesso legata a fragilità, vulnerabilità ed esperienze dolorose personali. Ascoltare non è da tutti così come non tutti vanno incontro all’ospitalità e all’accoglienza con spirito caritatevole e umanitario. L’ascolto è complicato da miopie e strabismi vari che hanno colpito oggi molte persone, portandole a rivolgere lo sguardo al proprio narcisistico ego. Il guardarsi addosso impedisce di saper guardare, di cogliere le sofferenze, le richieste d’aiuto e di accoglienza che giungono da altre persone e innanzitutto di liberarsi dai numerosi pregiudizi che sempre offuscano uno sguardo autocentrato. Sollevato lo sguardo, puntato al di fuori di sé, senza più abbassarlo, si potrà allora accompagnarlo con parole e gesti che nascono dal cuore, regalando segni concreti di una presenza amica, non superficiale ma ricca di risonanze emotive, a persone più fragili e deboli, altre da noi.
Per essere ospitali e accoglienti bisogna avere il coraggio di esserlo con sé stessi, andando incontro e accettando di confrontarsi con la propria sofferenza e angoscia, oggi con la propria solitudine. Solo da questo esercizio è possibile far emergere il sentimento della compassione, alla radice di un’altra parola da noi definita etica, la solidarietà.
Verso persone, non soltanto straniere ma anche quelle con cui si sta condividendo la febbre da contagio, non più trattate come semplici numeri, statistiche e finalità utilitaristiche ma con la consapevolezza che nessun volto umano ospitato è un dato numerico o statistico, semplicemente misurabile o programmabile. Persone alle quali l’ospitalità offerta è declinata in generosità e discrezione, in parole adeguate e accoglienti ma anche in silenzio e senza aspettarsi alcun riscontro.
Sentirsi solidali emotivamente e concretamente è un modo per prepararsi a essere accoglienti e ospitali, per superare l’indifferenza che impedisce di entrare in risonanza con l’Altro, per saper scegliere responsabilmente le azioni che servono ad alleviare le situazioni di disagio e di sofferenza di quelli più bisognosi di noi. La solidarietà dell’accoglienza è esperienza affettiva e morale, legata al conoscere e al comprendere, finalizzata a fare presa sulla realtà. Nella consapevolezza che nessuno da vicino è straniero, che tutti siamo stranieri gli uni agli altri e forse anche a noi stessi, tutti abitiamo una sola Terra, sulla quale siamo ospiti e stranieri al tempo stesso.
le persone non possono essere semplici numeri, statistiche e finalità utilitaristiche, nessun volto umano ospitato è un dato numerico o statistico, semplicemente misurabile o programmabile
L’accoglienza è il luogo dell’incontro mai programmabile tra entità diverse, uniche e sempre imprevedibili, capaci di risultare inquietanti e sconvolgenti, di sconcertarci producendo in noi smottamenti e cambiamenti che incidono sulla nostra identità. Come potrebbe non essere d’altronde così, trovandosi di fronte alle numerose immagini di bambini morti sulle spiagge o a ridosso dei fili spinati che la Polonia ha steso sul confine con la Bielorussia. Come reagiremmo se l’incontro con quei bambini fosse pelle su pelle, determinato dal contatto praticato per prendersi cura di loro, anche dopo morti? Forse avremmo l’opportunità di riflettere sui mille crocevia dell’esistenza, sulla pluralità dei mondi che abitiamo, sulle loro complesse realtà, diversità e pluralità. Mondi che forse sono arrivati a noi come un segnale di un destino, quello che ci accomuna tutti dentro una Terra in grande sofferenza e la prima a voler essere (ri)accolta, ascoltata, accudita e ricompensata per essere stata con noi pazientemente ospitale e accogliente così a lungo.
Cogliere la comunanza destinale ci permetterebbe di capire l’assurdità di voler stabilire gerarchie (“prima gli Italiani”, “Alternative für Deutschland“) tra chi ospita e chi viene ospitato, tra chi chiede asilo e chi si arroga il diritto di rifiutarlo, di riflettere che siamo chiamati a lasciar posto agli altri in arrivo e che continueranno ad arrivare. Non solo perché si muovono aspirando a una vita migliore (ζωή - zoè) ma anche a vivere bene (eu zen, βίος - bíos), a vivere una esistenza piena, dotata di senso e moralmente determinata.
Le parole, anch’esse da sempre (e)migranti, mutanti, contaminanti e come tali viventi, fanno sempre da tramite per determinare in modo pragmatico la realtà ma lo fanno dentro gruppi di significati che vanno riscoperti, ridefiniti, riconquistati continuamente. Per contrastare la disinformazione, così come la misinformazione[87] e la manipolazione, mediale e politica, che su questi termini viene oggi costantemente praticata, alla costante ricerca (imposizione) della conformità.
Le parole sono da sempre (e)migranti, mutanti, contaminanti e come tali viventi,
Un esempio su tutti è il concetto della solidarietà declinato nello slogan “aiutiamoli a casa loro”, testimonianza odiosa dell’incapacità di comprendere quanto sia dolorosa per chi (e)migra la perdita di ciò che ha lasciato partendo, ma anche di quello che Ernesto Balducci chiamava fascismo etnologico. L’incapacità a comprendere è individuale e sociale, tanto più gravida di conseguenze quanto diffusa è la sparizione della vergogna, sentimento senza il quale si finisce per crogiolarsi dentro la propria visione del mondo fino a abolire ogni principio di realtà. Provare l’emozione adulta della vergogna implica un giudizio su sé stessi, evidenzia la perdita di autostima, e “la violazione di un codice etico ed estetico interiore prima ancora che sociale[88]”. Riflettendo sulle parole vale la pena sottolineare come chi oggi dimostra di non avere alcuna vergogna, in tema di migrazione ma anche con prese di posizione NoVax, sovraniste ecc., predichi costantemente il richiamo al rispetto, della libertà, dei confini, dell’identità ecc., senza rendersi conto che “solo la capacità di provare vergogna implica la capacità di praticare il suo contrario più interessante: l’onore, la dignità, il rispetto”. Dignità, onore e rispetto che ai migranti, ai senza tetto, ai poveri regalano gli avvocati di strada, un’associazione di volontari nata a Bologna alla fine degli anni 90 e impegnata da tempo nella tutela dei diritti delle persone senza dimora attraverso l’erogazione di servizi legali e giuridici.
Altro esempio di misinformazione è la celebrazione del sentirsi diversi, della personalizzazione, proprio nel momento in cui tutti, pur essendo diversi ma personalizzabili e personalizzati dagli algoritmi, non fanno altro che essere tra loro simili, semplicemente e banalmente uguali. La Rete e le sue piattaforme contengono innumerevoli testimonianze di tutto ciò. Tutto questo nella indifferenza, forse dettata dalla inconsapevolezza di essere tutti cittadini del mondo, uomini planetari, non necessariamente globalizzati tecnologicamente.
più che affidarsi al pensiero veloce che non richiede grandi sforzi, meglio invetsire sul pensiero lento che indirizza le attività mentali che richiedono focalizzazione
L’etica che regola il nostro comportamento orientandolo al bene sembra oggi scomparsa, insieme a tutte le parole che al bene sono in qualche modo collegate. La scomparsa forse è dovuta alla sparizione della “capacità di scegliere” (riferita alla tecnologia, Carlo Mazzucchelli ne ha parlato suggerendo il neologismo della tecnoconsapevolezza[89]) e dall’essere le nostre scelte sempre più binarie, canalizzate dentro binari (pre)determinati che impediscono la lentezza, la riflessione e l’elaborazione critica e creativa di pensiero, il dialogo interiore, financo la scelta delle parole che servono per esprimere sé stessi e dare senso alle cose pensate e dette. È come se ci affidassimo al nostro cervello rettiliano, alla sua parte più antica, che porta a reazioni simili a quelle di un cane al quale sia stata pestata la coda. Reazioni veloci, digitali, binarie appunto, che si esprimono in forma di tic (il tap tap tap del dito sullo schermo) e sono incapaci di trasformarsi in linguaggio. È anche come se, per riprendere il pensiero di Daniel Kahneman, la modalità di pensiero veloce che opera in fretta e automaticamente, non richiede sforzo e nessun senso di controllo volontario, avesse prevalso sul pensiero lento che al contrario “indirizza l’attenzione verso le attività mentali che richiedono focalizzazione” nelle esperienze soggettive dell’azione, della concentrazione, della scelta e della decisione.
Se noi siamo linguaggio che si realizza nel nostro parlare, parole e dialogo assumono una rilevanza particolare. Il dialogo diventa allora lo spazio dentro il quale respiriamo e viviamo, nel quale entriamo in contatto, interagiamo e sperimentiamo l’incontro tra noi e gli altri, l’estraneità superabile attraverso l’uso di una lingua comune e di parole i cui significati possono essere interpretati e compresi.
Il dialogo diventa allora lo spazio dentro il quale respiriamo e viviamo, nel quale entriamo in contatto, interagiamo e sperimentiamo l’incontro tra noi e gli altri
A partire dalle parole che usiamo, dal nostro linguaggio e capacità e disponibilità al dialogo siamo tutti chiamati all’attenzione, alla cura e al rispetto dell’Altro, alla diversità. Tutte pratiche dal risvolto etico che rendono possibile, attraverso il linguaggio, la solidarietà etica, ma che obbligano a cambiare passo, a decelerare, a liberarsi dalla prigionia della velocità rinunciando a qualsiasi accelerazione, degli eventi/avvenimenti e dell’urgenza. Siamo chiamati a cambiare il ritmo di un tempo presente in forma di vortice che si restringe sempre più facendoci ruotare su noi stessi senza sosta, sempre più velocemente, fuori strada e fuori controllo, proprio mentre dovremmo ruotare meditando come “Dervisci Tourners che girano sulle spine dorsali” o come pigmei dell’Africa che “Si siedono per terra. - Con un rito di socialità, Tranquilli fumano l'erba”, protagonisti delle canzoni di Franco Battiato.
Un tempo presente che oggi suscita inquietudini esistenziali e ricorrenti ansie da prestazione e di urgenza, a resistere alla forza anestetizzante delle immagini per riscoprire il ruolo della corporeità empatica. Noi abbiamo bisogno di un corpo, il nostro corpo non è un fardello digitalizzabile o una necessità inevitabile, è una risorsa di cui non possiamo fare a meno. D’altra parte, a pensarci bene, anche il mondo tecnologico non può fare a meno di un corpo. Senza di esso, un corpo fatto di silicio, di cavi ottici, di server e dispositivi, di hard disk e data center, il software (lo spirito) e il digitale non avrebbe alcuna vita, non sopravviverebbe.
siamo tutti chiamati all’attenzione, alla cura e al rispetto dell’Altro, alla diversità.
Note
[1] Parola deriva dal termine latino paraula, dalla fusione del dittongo au in ‘o’. Paraula a sua volta è un’evoluzione di parabola, dal greco para+ballo. Para è un prefisso che indica vicinanza, ciò che sta accanto, mentre il verbo ballein significa gettare, porre.
[2] Chandra Livia Candiani
[3] Anna Maria Palma e Lorenzo Canuti, Vuoi parlare con me? Dialogare nell’esistenza, Edizioni Tassinari
[4] Kornei Chukovsky ha coniato il concetto di genialità linguistica per raccontare il passaggio dalla lingua parlata alla lingua scritta, uno sviluppo della comprensione delle parole e dei loro molteplici impieghi da parte del bambino, prima nel discorso e poi nella scrittura.
[5] Dante, Paradiso, canto XVII, versetto 58-60
[6] Il concetto di infosfera senza aggettivi a cui si fa riferimento è quello usato da Berardi Bifo che correttamente usa il concetto sia per descrivere l’epoca alfabetica (infosfera alfabetica) sia quella digitale (infosfera digitale)
[7] Umberto Galimberti “Se le nuove tecnologie rendono inutile comunicare”, pubblicato nel libro Il primato delle tecnologia -Guida per una nuova iperumanità
[8] Berardi Bifo: La sollevazione – Collasso europeo e prospettive del movimento, Edizioni Manni, 2011 Pag. 104
[9] Il motion capture (conosciuto con l'abbreviazione mocap, in italiano, "cattura del movimento"), è la registrazione del movimento del corpo umano (o di altri movimenti) per l'analisi immediata o differita grazie alla riproduzione. È principalmente utilizzato nel campo dell'intrattenimento, militare, sportivo o medico. (Wikipedia)
[10] La performance capture è una tecnologia cinematografica utilizzata per catturare movimenti ed espressioni facciali di un soggetto/attore reale per poi applicarli a un personaggio virtuale. La tecnica è stata usata in numerosi film ma per la prima volta da Robert Zemeckis nel film 'Polar Express'. Il film più famoso costruito sul perfezionamento della performance capture è stato sicuramente Avatar di James Cameron.
[11] “Dietro l’immagine non c’è nulla se non l’immagine stessa […]: essa si moltiplica sempre in modo identico” – Marc Augé
[12] Wilhelm Reich, il padre della psicoterapia corporea moderna.
[13] Miguel Benasayag Funzionare o esistere, Vita e Pensiero, 2019
[14] Intesa come lo spazio nel quale esercitiamo la nostra esperienza esistenziale della vita nel mondo, dalla semplice osservazione e contemplazione, all’attività tarsformativa, sempre in bilico tra esistenza ed essenza.
[15] Totalità e Infinito, Saggio sull'esteriorità, Edizioni Jaca Book, dodicesima ristampa 2021
[16] Edgar Morin, Lezioni da un secolo di vita, Mimesis, 2021. Pag 55
[17] Emmanuel Lévinas (1906-1995), Epifania del volto
[18] Definizione dello scrittore tedesco Thomas Macho
[19] Uno spunto tratto da un articolo di Umberto Galimberti
[20] Un giorno credi di Edoardo Bennato: “metti tutta la forza che hai nei tuoi fragili nervi/Quando ti alzi e ti senti distrutto fatti forza e vai incontro al tuo giorno”
[21] Termine usato da Pier Aldo Rovatti per un suo libro pubblicato nel 2019 da Elèuthera
[22] Ernst Bloch, Il principio speranza
[23] C'è una breccia in ogni cosa ed è da lì che entra la luce
[24] La setta degli uomini senza volto conservano i volti di coloro muoiono nel loro santuario. Li appendono alle pareti come maschere macabre da usare durante le loro attività criminali. Le maschere tuttavia sono molto più di semplici maschere, chi le indossa, assume l'aspetto della persona a cui il volto apparteneva.
[25] Emmanuel Lévinas: Totalità e infinito, Edizioni Jaka Book
[26] Il termine è stato coniato da Wilhem Reich per descrivere l’energia vitale, o energia pre-atomica, di cui sarebbe pervaso l'universo e che nell'uomo si manifesterebbe come energia sessuale e libido.
[27] Termine coniato da Carlo Mazzucchelli nel suo libro I pesci siamo noi - Prede, pescatori e predatori nell'acquario digitale della tecnologia, pubblicato da Delos Digital
[28] Marc Augé, Cuori alle schermo – Vincere la solitudine dell’uomo digitale. Pag. 114
[29] Francesca Rigotti, L’era del singolo, Einaudi Editore, 2021, Pag. 4
[30] “Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa.”
[31] Andrea Colamedici e Maura Gancitano, L’alba dei nuovi dei. Da Platone ai Big Data - 2021, Pag 42
[32] Da un articolo di Walter Siti sul quotidiano Domani: Nella società dello spettacolo diventiamo attori di noi stessi
[33] Umberto Galimberti: Il libro delle emozioni, Feltrinelli Editore, 2021
[34] Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon Comunità di Bose, Pag 44
[35] Il termine persona è scelto intenzionalmente per marcare la differenza con la parola individuo. A considerare individui i propri membri è la società moderna. Una società nella quale, come ha ben raccontato nei suoi libri sulla liquidità moderna Zygmunt Bauman, è sempre l’individuo che decide cosa sia buono o cattivo, lecito o illecito. Una società individualista nella quale è l’individuo ad attribuire valore alle cose.
[36] Jean Baudrillard: Il delitto perfetto – La televisione ha ucciso la realtà?
[37] Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito - Saggio sulla esteriorità, Jaka Book, prima edizione 1971, ristampa 2021, Pag 211
[38] Franco <<Bifo>> Berardi, La Congiunzione, NERO Edizioni, 2021
[39] Vanni Codeluppi, La vetrinizzazione della vita sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, 2007
[40] Anagramma di One, eletto
[41] Ugo Foscolo, Sonetti
[42] Federico Campana, Magia e tecnica - La ristrutturazione della realtà - Edizioni Tlon, 2021,Pag. 161
[43] Autore del libro Oralità e scrittura - Le tecnologie della parola
[44] Silvia Ferrara, Il Salto. Segni, figure, parole: viaggio all’origine dell’immaginazione - Feltrinelli Editore, 2021, Pag. 192
[45] Da un articolo su NOVA di Piero Dominici
[46] Cosimo Accoto, Il mondo dato, cinque brevi lezioni di filosofia digitale, EGEA, 2017, Pag. 113
[47] L’uomo è antiquato (Die Antiquiertheit des Menschen), Primo volume pubblicato nel 1956, il secondo nel 1980
[48] “Il linguaggio è la dimora dell’Essere”. Gadamer, Verità e metodo, Pag. 524
[49] Donatella Di Cesare, Utopia del comprendere, da Babele ad Auschwitz, Edizioni Bollati Boringhieri, 2021, Pag. 40
[50] Montaigne: Saggi, Edizioni Giunti/Bompiani, 2019, Pag. 863
[51] Ibid Pag 863
[52] “Le manifestazioni No Vax sono organizzate da persone che parlano di libertà, ma si rendono schiave delle proprie idee non mettendole in discussione. Gli antivaccinisti non scendono in piazza per manifestare un’opinione diversa, ma corrono il rischio di diffondere il virus diventando un pericolo per gli altri: i dati dei contagi del Friuli Venezia Giulia lo dimostrano. È un fenomeno che deriva ancora una volta dal collasso della nostra cultura e della nostra scuola, non più in grado di formare menti critiche. È il prodotto della mancanza di buona educazione e di dialogo: elementi in assenza dei quali si resta bulli che si nutrono di informazioni infondate”. Umberto Galimberti
[53] Il riferimento è al capolavoro di Elias Canetti Massa e potere
[54] Edgar Morin, La testa ben fatta
[55] “[…] la parola significato si può definire così: il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio” Ludwig Wittgenstein
[56] Il riferimento è al team di social media manager che affiancano il leader della Lega, Salvini, nelle sue attività di comunicazione social
[57] Leonardo Sciascia, Processo per violenza in Il mare color del vino
[58] Douglas Hofstadter e Emmanuel Sander: Superfici ed essenza. L’analogia come cuore pulsante del pensiero
[59] “L’autocoscienza è in sé e per sé in quanto e perchè è in sé e per sé per un’altra: ossia essa è soltanto come qualcosa di riconosciuto” - Hegel, Fenomenologia dello spirito, traduzione di E,de Negri, 1963, Pag. 153 vol.1
[60] E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza
[61] Ornella Castellani Pollidori: La lingua di plastica
[62] Ivano Dionigi: Parole che allungano la vita. Pensieri per il nostro tempo. Edizioni Cortina, 2020
[63] Vittorio Coletti, accademico della Crusca. La frase è contenuta in un suo articolo sull’Italiano della politica pubblicato sul sito dell’Accademia della Crusca
[64] Marc Augé: Cuori allo schermo, vincere la solitudine dell’uomo digitale
[65] Ludwig Wittgenstein
[66] Quando si parla di anglicismi tutti dovrebbero riflettere sulla quantità di parole che rientrano in questa categoria e delle quali non si ha più alcuna percezione della loro provenienza straniera. Ne è un esempio la parola sport (da cui sportivo, sportivamente). Ma l’elenco è lungo: marketing, hobby, party, bar, film, baby, e-mail, manager, partner, convention, wi-fi, backstage, auditing, endorsement, fake news, leggings, sexting, cyborg, ecc.
[67] L’esempio è stato fatto dallo psicologo Luciano De Gregorio
[68] Cory Doctorow
[69] Edgar Morin, Per un'educazione al pensiero complesso
[70] Edoardo Bennato, L’isola che non c’è
[71] Lo slogan di Vittorio (Vik) Arrigoni, attivista rapito e ucciso in Palestina
[72] Edgar Morin: “La benevolenza permette di considerare gli altri non solo per i loro difetti e le loro mancanze, ma anche per le loro qualità, nello stesso tempo nelle loro intenzioni e nelle loro azioni”.
[73] Il riferimento è alla concezione dell’etica di Paul Ricoeur
[74] Duccio Demetrio, All’antica- Una maniera di esistere, Raffaello Cortina Editore, 2021, Pag. 23
[75] Edgar Morin, Il Metodo 6 Etica, edizioni Cortina, 2005, Pag. 111
[76] Definizione usata da Francesco Varanini nel suo libro: Le cinque leggi bronzee dell’era digitale. E perché bisogna trasgredirle.
[77] Metaverso (Metaverse) è un termine coniato da Neal Stephenson in Snow Crash (1992), libro di fantascienza cyberpunk, descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Quella di Stephenson è una visione futuristica dell'internet moderna, frequentata dalle fasce della popolazione medio alte ove la differenza tra le classi sociali è rappresentata dalla risoluzione del proprio avatar, e dalla possibilità di accesso a luoghi esclusivi. Esempi di metaverso sono considerati i MMORPG e le chat in tre dimensioni come Second life o Active Worlds.
[78] Francesco Varanini
[79] Jón Kalman Stefánsson: "Paradiso e Inferno", Pag 11
[80] Ode su un'urna greca di John Keats, pubblicata nel 1819
[81] Eugenio Borgna: Le parole che ci salvano
[82] Riferimento all’opera di Søren Kierkegaard Timore e Tremore pubblicata nel 1843 con lo pseudonimo di Johannes de Silentio
[83] La gentilezza che cambia le relazioni digitali - La gentilezza per le relazioni nell’era digitale, per recuperare lentezza, attenzione verso sé stessi e gli altri, la buona educazione e le buone maniere., Delos Digital, 2018
[84] Daniel Gamper: Le parole migliori, Treccani Editore, 2021, Pag. 134
[85] LEdgar Morin L’homme e la mort - Seuil, Paris 1970, trad. ital., Newton Compton, Roma 1980
[86] Un concetto espresso dal filosofo del linguaggio Lev S. Vygotskij
[87] Diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno (per es., dei propri avversari politici, dei propri nemici in un conflitto bellico, e sim.).
[88] Gianrico Carofiglio La nuova manomissione delle parole, Feltrinelli, 2021, Pag. 57
[89] Il libro di Carlo Mazzucchelli “Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta. Alla ricerca di senso nell’era tecnologica e digitale” è pubblicato in formato digitale e cartaceo da Delos Digital
[90] Il fenomeno della «retrotopia» deriva dalla negazione della negazione dell’utopia, che con il lascito di Tommaso Moro ha in comune il riferimento a un topos di sovranità territoriale: l’idea saldamente radicata di offrire, e possibilmente garantire, un minimo accettabile di stabilità, e quindi un grado soddisfacente di fiducia in sé stessi. (Zygmunt Bauman, trad. di Marco Cupellaro, Repubblica, 3 settembre 2017, Robinson, p. 16)
[91] Eterotopia è un termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano».
[92] Binge watching è un termine della lingua inglese con cui si indica l'atto del binge-watch, ossia il guardare programmi televisivi per un periodo di tempo superiore al consueto, particolarmente la pratica di usufruire della visione di diversi episodi consecutivamente, senza soste. Traducibile in italiano con "maratona televisiva", in inglese per tale azione sono anche usati i termini binge viewing e marathon viewing. Evoluzione di tale pratica è il binge racing (tradotto in italiano come gara di abbuffata), ovvero il guardare l'intera serie tv in sole 24 ore; tale pratica, che coinvolge circa 8,4 milioni di fruitori, è praticata specialmente sulle piattaforme televisive, in cui gli episodi delle serie tv vengono rilasciati insieme simultaneamente. (Wikipedia)
[93] Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta. (Wikipedia)
[94] Il concetto è stato spesso usato nei suoi libri dal Cardinal Ravasi, riprendendo una terminologia usata da Teilhard de Chardin per il quale il linguaggio diventa epifania e trasparenza della rivelazione divina. In esso si manifesta la potenza del Logos del prologo giovanneo, già evocato, secondo la semantica semitica sottesa. In ebraico, infatti, dabar, “parola”, significa contemporaneamente anche “atto, evento”. Dire e fare s’intrecciano.
[95] I concetti qui espressi fanno riferimento al pensiero di Paul Ricoeur
[96] Spunti tratti dal pensiero di Iris Murdoch
[97] Edgar Morin, Etica, Cortina Editore, Pag. 51
[98] Daniel Gamper; Le parole migliori, Treccani editore, 2021, Pag. 68
[99] Ece Temelkuran, La fiducia e la dignità, Bollati Boringhieri Editore, 2021,
[100] Spunti tratti dal libro di Ermanno Bencivenga: Parole che contano
[101] È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire io sono pensato. – Scusi il gioco di parole. IO è un altro. Questa formula ricorre in due lettere della Corrispondenza di Arthur Rimbaud: nella lettera del maggio 1871 a Georges Izambard – professore di Rimbaud al collegio, ma anche amico e confidente che lo iniziò alla letteratura; ed in quella immediatamente successiva a Paul Demeny amico di Izambard, a sua volta poeta, risalente al 15 maggio 1871.
[102] Come ha per tempo ben spiegato il filosofo Maurizio Ferraris nei suoi libri lo smartphone è usato più per scrivere che per parlare. Più che un telefono è una lavagna trasparente e condivisa.
[103] Lamberto Maffei, Elogio della parola, Edizioni Laterza, 2018, Pag. 7
[104] La poesia nella sua versione in inglese: Be Careful of Words - Be careful of words, even the miraculous ones. For the miraculous we do our best, sometimes they swarm like insects and leave not a sting but a kiss. They can be as good as fingers. They can be as trusty as the rock you stick your bottom on. But they can be both daisies and bruises. Yet I am in love with words. They are doves falling out of the ceiling. They are six holy oranges sitting in my lap. They are the trees, the legs of summer, and the sun, its passionate face. Yet often they fail me. I have so much I want to say, so many stories, images, proverbs, etc. But the words aren’t good enough, the wrong ones kiss me. Sometimes I fly like an eagle but with the wings of a wren. But I try to take care and be gentle to them. Words and eggs must be handled with care. Once broken they are impossible things to repair.
[105] Anne Sexton (Weston, 4 ottobre 1974) è stata una scrittrice e poetessa statunitense. Dopo diversi tentativi di suicidio, il 4 ottobre del 1974, anno del suo divorzio, Anne Sexton scese in garage e dopo aver acceso il motore della sua macchina si lasciò morire inalando il monossido di carbonio. È sepolta al Forest Hills Cemetery & Crematory a Jamaica Plain, Boston, Massachusetts.
[106]La frase è una riflessione di Donatella Di Cesare fatta nel suo libro Utopia del comprendere, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2021, Pag.22
[107] Byung-Chul Han (2014). Razionalità digitale. La fine dell’agire comunicativo
[108] Spunti tratti dal libro di Zygmunt Bauman Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.
[109] Termine utilizzato da Emmanuel Lévinas per rappresentare la dimensione dell’alterità e dunque il senso della comunità e della responsabilità.
[110] Zygmunt Bauman: Di nuovo soli. Un’etica in cerca di certezze.