Non cerco la verità: mi basta smascherare le finzioni. Mi occupo di conoscenza, linguaggio e delle forme che la tecnica assume per sembrare neutra. Scrivo per fare domande, non per dare risposte. Mi chiamo Fulcenzio Odussomai quando il metodo diventa maschera, e il dubbio, una forma di onestà.

L’era dell’industria e la standardizzazione della progettazione

Questo saggio è un "frammento" di un libro mai ultimato. Denso, strutturato e colto, che ripercorre la storia della progettualità dal mondo artigianale alla rivoluzione digitale, con uno sguardo critico sul project management come disciplina tecnico-metodologica. Per accompagnarlo, ecco cinque libri con bibliografia commentata, scelti per approfondire i temi centrali: trasformazione del lavoro, tecniche di gestione, filosofia della tecnica, pensiero giapponese e visione critica del management.

Ripensare l’architettura nei sistemi distribuiti

Cosa significa davvero progettare un sistema in un mondo che cambia di continuo? Nell’epoca dei microservizi e delle architetture distribuite, il ruolo dell’architetto software non può più essere quello del disegnatore di diagrammi perfetti. Serve una nuova postura: meno prescrittiva, più sistemica, capace di guidare attraverso principi condivisi e non con regole imposte. Propongo una riflessione tecnica e critica sull’architetto come “pianificatore urbano” dei sistemi digitali, tra habitat del codice, autonomia dei team e coerenza evolutiva.

Il mistero dell’unde malum. Come le brave persone diventano cattive

E così, il mistero dell’unde malum, di dove nasce davvero il male, non si scioglie mai del tutto. Non si nasconde solo nella psicologia degli individui o nei sistemi che abitano, ma in quella sottile zona di confine dove la ragione smette di interrogare e comincia a giustificare. In quella zona d’ombra dove nessuno è colpevole, eppure tutti lo sono un po’.

Vedere i margini

Il successo, così come viene descritto nelle nostre comunità professionali, ha sempre avuto qualcosa di equivoco. Lo abbiamo rincorso come misura dell’efficienza, del talento, della capacità di portare risultati. Eppure, più ne parliamo, più mi sembra evidente che il suo stesso concetto abbia generato un cortocircuito. Quando lavoro con team di sviluppo, con project manager, con chi si occupa di trasformazione digitale o di coaching Agile, sento spesso parlare di “valore”, di “output”, di “riconoscimento”. Ma raramente si mette in discussione la cornice che definisce tutto questo. È come se ci muovessimo tutti all’interno di un acquario, certi di avere il pieno controllo del nostro nuoto, mentre ignoriamo le pareti di vetro che ci contengono.

Il sapere è sparso ovunque e, spesso, ci passa accanto senza fermarsi

C’è una malinconia sottile che accompagna chi cerca di pensare nell’epoca del rumore. Non una tristezza patetica, ma quella forma strana di lucidità che si prova quando si guarda troppo a lungo una stanza vuota e ci si accorge che qualcosa manca, anche se non si sa bene cosa. È da lì che nasce questa riflessione, scritta in un’ora incerta, quando la luce non è più giorno ma non è ancora sera. Non ha pretese, se non quella di offrire un piccolo varco nel muro compatto delle risposte automatiche. È una passeggiata interiore tra ciò che resta dell’arte, della conoscenza e del silenzio, in un tempo che sembra aver perso il senso del limite. Fulcenzio Odussomai, che scrive queste righe non per insegnare ma per continuare a cercare, sa bene che ogni parola è una provvisoria tregua nel caos, un gesto di resistenza contro la vertigine del troppo.

try { meaning } catch(error) { virtue }

In questo dialogo immaginario fuori dal tempo, Fulcenzio Odussomai – filosofo apocrifo e artigiano del pensiero – incontra due figure emblematiche della storia del digitale: Alan Turing, matematico visionario, e Steve Wozniak, ingegnere creativo e giullare del silicio. Ne nasce una conversazione inattesa, intensa e ironica, dove l’errore non è più un nemico ma un maestro, un varco, una soglia di comprensione. Tra aforismi, confessioni e intuizioni, il bug si trasforma in figura simbolica della condizione umana e della progettazione consapevole. Un dialogo sul fallimento come forma di conoscenza, e sul codice come metafora dell’esistenza.

Per chi lavora nel silenzio delle domande, più che nel rumore delle soluzioni.

Questo testo nasce come riflessione a margine, ma finisce per diventare confine. Tra il tempo vissuto e quello misurato. Tra la parola che abita e quella che transita. Tra l’uomo che lavora e quello che si ripete. Un "saggio aperto", una traccia densa in un mondo di logiche diluite. Per chi lavora nel silenzio delle domande, più che nel rumore delle soluzioni.

L’intelligenza sprecata

In un’epoca che proclama la centralità del pensiero ma premia l’automatismo, questo saggio affronta una delle contraddizioni più radicate nel mondo del lavoro contemporaneo: l’intelligenza viene richiesta, ma raramente ascoltata. Tra riunioni inconcludenti, micromanagement paralizzante e tecnologie che promettono efficienza mentre semplificano la complessità dell’umano, si consuma il paradosso dell’organizzazione moderna. Un viaggio critico dentro l’ossessione per il controllo e la paura della decisione, dove la leadership si riduce a gestione dell’immagine e la collaborazione a strategia di sopravvivenza. Un testo che disobbedisce con rigore, scritto per chi non si accontenta più della forma senza sostanza.

La memoria spezzata, il gesto falso, e l’arte perduta di fallire

𝑪𝒊ò 𝒄𝒉𝒆 𝒏𝒐𝒏 𝒔𝒊 𝒆𝒍𝒂𝒃𝒐𝒓𝒂, 𝒓𝒊𝒕𝒐𝒓𝒏𝒂. 𝑴𝒂 𝒏𝒐𝒏 𝒓𝒊𝒕𝒐𝒓𝒏𝒂 𝒎𝒂𝒊 𝒄𝒐𝒎𝒆 𝒆𝒓𝒂.Ritorna come caricatura, come spettro che si traveste da radice, come mito vuoto che pretende di diventare identità. Il 25 aprile dovrebbe essere un rito di rigenerazione civile, e invece oggi è minacciato da una classe dirigente che celebra la Resistenza solo quando è costretta, mentre flirta con le ombre che da essa furono sconfitte. Eppure, si ostinano a chiamarlo “governo”. Ma si tratta, più propriamente, di una sindrome: regressiva, afasica, in ostaggio dell’algoritmo e della nostalgia.

L’illusione del progresso: ciò che sappiamo, ciò che perdiamo

Nel Rinascimento, gli umanisti condannarono il Medioevo come secoli bui, oscurati dall’ignoranza e dalla superstizione. L’Illuminismo sollevò la ragione come baluardo contro le tenebre della credulità. Oggi, immersi in una rete planetaria che promette accesso istantaneo all’informazione, celebriamo l’intelligenza artificiale come se fosse il coronamento di una lunga marcia verso la verità.

Contro la meccanizzazione del Project Management

Il project management non è una tecnica da applicare, né una macchina da programmare. È un modo di stare nel mondo: tra incertezza, decisione e fallibilità. Chi pensa di ridurlo a metodo, a schema, a procedura, non ne ha compreso né la natura né il rischio. Questo breve saggio prova a ricordarlo, senza illusioni e senza compiacenze.

Progetti come metamorfosi: epistemologia del cambiamento tra Kaizen, complessità e pratica organizzativa

Il presente contributo esplora una prospettiva epistemologicamente fondata e operativamente critica sul project management, superando l’approccio deterministico e prescrittivo dominante. Attraverso un confronto fra la filosofia Kaizen, la teoria della metamorfosi sociale (Beck), il pensiero sistemico (Senge) e la nozione di apprendimento situato, si propone una ridefinizione del progetto come spazio cognitivo aperto, non lineare e trasformativo. La progettualità viene qui intesa come processo evolutivo radicato nella pratica, nella riflessione e nella tensione etica, piuttosto che come dispositivo prestazionale. L’articolo si propone di restituire dignità teorica all’agire progettuale in condizioni di complessità e incertezza, risignificandolo come forma di apprendimento continuo e autocritico.

Il basilico del supermercato e il bollino delle competenze: critica radicale alla certificazione (di Project Manager) prefabbricata

Nell’industria della formazione professionale, il project management è ormai ridotto a una pratica di bollinatura. Ogni certificato rappresenta un pedaggio, ogni badge una tappa obbligata in un percorso che premia la conformità anziché la comprensione. Si apprende per superare un esame, non per risolvere un problema; si studia per accumulare crediti, non per costruire senso. La gestione dei progetti, in questa cornice, si trasforma in una liturgia burocratica che scambia la complessità del reale con la rassicurante semplicità di un framework prefabbricato. E così, come il basilico del supermercato, anche la competenza cresce in fretta ma muore altrettanto rapidamente.

Creatività sistemica: tecniche di brainstorming per l’innovazione collaborativa

La creatività, troppo spesso considerata prerogativa dell’individuo geniale, è invece un processo sociale, situato e ricorsivo, che emerge da configurazioni ambientali, culturali e relazionali ben definite. In ambito organizzativo, la produzione di idee originali non può essere ridotta a un atto isolato, ma deve essere intesa come risultato di interazioni strutturate. Le tecniche di brainstorming costituiscono, in tal senso, uno dei dispositivi più rilevanti per la promozione dell’innovazione condivisa.

Rappresentazione cognitiva e inferenza contestuale nel project management del software

Il presente saggio propone un’integrazione tra neuroscienze cognitive e project management, con particolare riferimento ai progetti di sviluppo software. Superando i modelli lineari e ottimizzatori della decisione, si introduce la nozione di mappa cognitiva come strumento operativo per interpretare contesti complessi e ambigui. Attraverso l’analisi del ruolo delle cortecce prefrontali e dei sistemi dopaminergici, si ridefiniscono le categorie di valore, attenzione e apprendimento in chiave rappresentazionale e dialettica. L’obiettivo è fornire ai project manager un paradigma teorico alternativo, fondato su inferenza situata, plasticità cognitiva e costruzione condivisa del senso.

Scritture invisibili. Epistemologie marginali e poteri della scrittura

Non vi è scrittura che non sia iscritta in un campo di forze. Ogni testo è al tempo stesso traccia e strategia: registra, insieme, un mondo e una posizione nel mondo. In questa prospettiva, la scrittura cessa di essere un semplice medium per diventare un dispositivo epistemologico, una tecnologia del pensiero, un luogo di lotta. Il presente saggio si propone di attraversare alcune faglie critiche che segnano la storia e la teoria della scrittura: dalla dimensione civica dell’alfabetizzazione occidentale alla calligrafia come esercizio trasformativo nella Cina classica; dalla grammatica del potere insita nelle narrazioni dominanti alla proliferazione di pratiche scrittorie marginali, silenziose, residuali. Ciò che unisce questi percorsi è l’intuizione che ogni regime discorsivo produce i propri esclusi, e che proprio questi esclusi – le scritture invisibili – possono costituire la soglia di un pensiero critico.