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La Guerra del Sentiment. Manipolazione psicologica e geopolitica nell'era digitale
L'altra sera accendo la TV e seguo un approfondimento di Sky News sulla notizia che diversi governi stanno prendendo in considerazione l'arruolamento di giovani nell'esercito, in forma volontaria per il momento, ma si comincia a parlare di leva obbligatoria. Ieri leggo un articolo de Il Post in cui si parla della Germania che si sta riarmando velocemente. E penso a come una notizia come questa sarebbe stata recepita solo qualche anno fa. E mi sono chiesto: ma che sta succedendo? La guerra del sentiment rivela una vulnerabilità fondamentale delle democrazie liberali nell'era digitale. Sistemi politici basati sulla deliberazione razionale si trovano esposti a forme di manipolazione che operano al di sotto della soglia della consapevolezza razionale, direttamente sul piano emotivo. La posta in gioco non è semplicemente resistere a questa o quella campagna di disinformazione, ma preservare quella che potremmo chiamare 'sovranità cognitiva': la capacità collettiva di processare informazioni e formare giudizi in modo relativamente autonomo da interferenze esterne.
Che ne sarà della ‘bella’ prosa argomentativa al tempo dell’AI?
Viviamo in un'epoca di preoccupazioni insistenti sull'intelligenza artificiale. Si discute di posti di lavoro a rischio, di bias algoritmici, di deepfake, di disinformazione, di scenari dove macchine superintelligenti sfuggono al controllo umano. Questi sono problemi reali e meritano l'attenzione che ricevono. Ma mentre il dibattito pubblico si concentra su queste minacce visibili e misurabili, un tipo diverso di trasformazione sta avvenendo quasi inosservato, nelle pratiche intellettuali ordinarie di milioni di persone colte. Sto parlando dell'abitudine crescente di delegare all'intelligenza artificiale la sintesi di testi e documenti - pratica che appare non solo innocua ma genuinamente utile, forse persino necessaria per gestire il sovraccarico informativo contemporaneo. Chi non ha usato almeno una volta uno strumento di sintesi per risparmiare tempo su un documento lungo? Chi non ha apprezzato la capacità dell'AI di estrarre i "punti chiave" da un saggio denso in pochi secondi? L'efficienza è considerevole, i benefici apparenti sono immediati. Eppure credo che questa pratica, proprio nella sua naturalezza e utilità evidente, nasconda un rischio culturale profondo: mettere fine a una tradizione millenaria, quella della bella prosa argomentativa.
L’era del soft-fanatismo digitale
La dissoluzione del dibattito pubblico, fra camere d’eco e frammentazione epistemica. Viviamo in un'epoca paradossale: mai nella storia dell'umanità abbiamo avuto accesso a una tale abbondanza di informazioni, eppure mai come oggi il dibattito pubblico è apparso così frammentato, polarizzato e impermeabile al confronto razionale. Questa contraddizione non è casuale, ma rivela una trasformazione profonda nelle strutture attraverso cui formiamo credenze, valutiamo evidenze e ci confrontiamo con posizioni divergenti. Al centro di questa trasformazione sta un fenomeno che merita particolare attenzione: l'emergere di quello che potremmo chiamare "soft-fanatismo cognitivo", una forma diffusa di chiusura epistemica che si manifesta non attraverso dogmi espliciti o ideologie rigide, ma attraverso l'isolamento algoritmico in camere d'eco informative.
Il declino della lettura profonda
Quando la scuola rinuncia alla complessità e l’aiuto dell’AI