Mondi reali e mondi falsamente felicitari

I dati Istat degli ultimi anni raccontano la disperazione e l’infelicità crescente di moltitudini di persone diventate più povere, precarie e depresse. Invece di parlarne alla ricerca di soluzioni concrete per combattere la situazione corrente, elaborare teorie e pratiche volte a cambiarla, nelle forme e nelle condizioni materiali, ci si cimenta nella celebrazione di teorie, approcci e pratiche felicitarie.

Un mondo di marzapane?

La realtà è la realtà così come una ciabatta è una ciabatta, direbbe Massimo Recalcati, ma la realtà non è il reale. Anche nelle nostre narrazioni odierne tendiamo infatti a adagiarci nella realtà, fatta di routinarie interpretazioni, rassicuranti evidenze, ripetizioni dell’uguale, che raccontano un ordine delle cose ritenute, da moltitudini, come evidente. Ma la vita non è mai routinaria, evidente, rassicurante. È fatta di spigoli, di incertezze e disordine, di negatività, di incubi, che non si possono espellere dal proprio orizzonte. Mentre continuiamo a vivere dentro le nostre illusioni e a raccontare la realtà come una continuità, il reale emerge, è irriducibile, rompe ogni schema non facendosi mai plasmare, addomesticare, ridurre da qualsivoglia narrazione.

Smaterializzazione: le storie che ci raccontiamo

Amiamo da sempre raccontarci storie, oggi siamo diventati tutti storyteller. Le storie servono a costruire mondi, a sfuggire da quelli presenti e ad allontanare orizzonti carichi di minacce. Lo storytelling è spesso usato per manipolare la realtà o per raccontarne una che non esiste. Gli esempi da citare sono numerosi, quello che vorrei proporre alla riflessione riguarda parole quali smaterializzazione, leggerezza, trasparenza, virtuale, nuvola (cloud), Big Data, sostenibilità, energia pulita, tecnologie a basso impatto ecologico.

I pappagalli sono (salvo eccezioni) maschi

La diffusione delle intelligenze artificiali generative suggerisce una riflessione critica sulla tendenza emergente a usare dati e informazioni raccolti in Internet e usati per la generazione di visioni globali che alimentano i modelli delle IA, senza prestare attenzione ai pregiudizi che questi dati e informazioni si portano appresso. Uno degli effetti, a cui molti ricercatori e tecno-scienziati non sembrano prestare attenzione è che questi pregiudizi siano automatizzati, deliberatamente manipolati per amplificare e comunicare punti di vista e visioni della realtà egemoniche.

Alluvioni di parole, deserti di concetti

In pochi anni tutto si è uniformato e contemporaneamente è diventato confuso. Le parole, ormai svuotate di significati, impoverite e brutalizzate, sono manipolate semanticamente, il verosimile ha sostituito il reale, la realtà ha finito per essere sostituita dalle sue narrazioni, che sono diventate infinite e per nascondere la verità dei fatti. Atrofizzato risulta essere anche il linguaggio e l’uso che ne viene fatto per la narrazione della realtà con parole il cui peso e significato sembra evaporato.

Memoria umana e documanità

Il filosofo Ferraris sostiene da tempo una visione del futuro come radicale cambiamento rispetto al passato per la capacità che ci è data di registrare (documentare) ogni cosa. Grazie alla tecnologia digitale, una registrazione è oggi alla base di ogni comunicazione e interazione, tutto ciò che è registrato diventa sociale. Anche perché più che parlare, oggi scriviamo, più che telefonare, chattiamo e messaggiamo. Tutto questo sta determinando l’emergere di una nuova umanità, una documanità, il risultato di una evoluzione di uomini documentali che attraverso la tecnica hanno sempre lasciato tracce di sé, come Homo faber prima ancora che come Homo sapiens.

Distanti e online, per rimanere vivi?

Lo sguardo è ricettacolo di verità e illusione, parole e pensieri, responsabilità e sregolatezza, rughe di pensiero ed espressioni di inconsapevolezza. È dentro lo sguardo che si scontrano da un lato il bisogno di un altro volto, fatto di carne e di sguardi, che possa incrociarlo, comprenderlo o “salvarlo”. Pensiamo allo sgurado di un bambino di Gaza o di una bambina ucraina che vive con terrore i bombardamenti dei luoghi in cui abita.

Viaggiare e pensare

Il viaggio in generale (ma anche il camminare) è metafora potente del pensare. Almeno per me.

Umani senza guida autonoma?

Altro che auto a guida autonoma (ma non doveva essere già qui?) dentro realtà digitalizzate, il futuro potrebbe vedere il mondo intero trasformato in videogioco. Un matrix computazionale e globalizzato, per chi ama la fantascienza distopica di Terminator o la trilogia Matrix dei fratelli Lana e Lilly Wachowski. Dentro il video-gioco, in forma di caverna e labirinto, gli esseri umani rischiano di vedere ciò che i sensori aptici e gli algoritmi faranno loro vedere, sentire e toccare, diventando sempre più parte di un meccanismo di automazione e sempre più automatizzati essi stessi.

Uman(istic)amente Tecnoconsapevoli

L’era è tecnologica, il contesto da cui partire è molto umano, oggi fatto di crisi ricorrenti e di interrogativi su un futuro contingente, imprevedibile, nonostante i grandi avanzamenti della tecnica. Mentre crescono la potenza computazionale e le certezze dell’algoritmo, si diffondono automazione e intelligenze artificiali, il futuro si è fatto sempre più complesso, caotico, incerto e fragile, ricordando a tutti che, pur nelle nostre nuove vesti di simbionti e cyborg, siamo esseri umani e come tali collegati gli uni agli altri. La sfida che abbiamo tutti di fronte non è semplice, le nostre scelte possono determinare l’implosione di una evoluzione che ritenevamo senza interruzione oppure farci diventare più responsabili e (tecno)consapevoli.

Sostenibilità in prima persona come ermeneutica per il passo d'azione

Nonostante il grave ritardo che tutte le democrazie occidentali hanno accumulato nel perseguire i diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), le istituzioni europee e le organizzazioni del terzo settore hanno recentemente messo in campo un notevole sforzo teorico per proporre dei quadri di riferimento sulla sostenibilità. Un contributo di Maria Emanuela Galanti

Metaversi per viaggiare? No grazie!

DAD, Smartworking, social, metaversi vari, zoom, videogiochi, WhatsApp e Instagram, tutti mondi virtuali che nel periodo della pandemia sono diventati più reali di quanto non lo siano sempre stati. Grazie al Coronavirus, virtuale è diventato anche il viaggio, con grande sofferenza per tutti coloro, come me, che viaggiare lo hanno sempre fatto. Moltissimo per lavoro ma soprattutto per il piacere del viaggiare in sé. Perché per il viaggiatore più della destinazione o la meta conta il viaggiare, a partire dalle letture (In Patagonia, Le vie dei Canti, Terra del fuoco, Capo Horn, ecc.) che lo anticipano, dalla pianificazione che lo prepara, dalla compagnia di viaggio che si sceglie, dalle emozioni che sempre emergono dagli incontri (persone, paesaggi, animali, montagne, città, ecc.) che viaggiando si fanno. Poi si arriva anche a destinazione!

In viaggio alla ricerca di autenticità

Alcuni giorni di trekking nel deserto del Sahara mi hanno messo a confronto con realtà umane lontane anni luce dalle nostre. Ne è nata una breve riflessione sull’autenticità. Su quanto essa sia vissuta e raccontata nella nostra era tecnologica nella quale prevale l’individualismo a scapito dei vincoli collettivi. Vincoli, legami, esperienze ben presenti in realtà dove non manca lo smartphone ma prevalgono ruoli sociali riconosciuti, sincerità, norme condivise e sentimenti di comunità.

A proposito di caverne e centri commerciali...da Platone alla Cina

Chi crede che la realtà non sia prevedibile è destinato a doversi ricredere. A volte si tratta di profezie che si auto-avverano e quando questo succede non si è quasi mai completamente felici. Un esempio che merita di essere raccontato è quello del nuovo centro commerciale e luogo di vita (città-Mondo) realizzato in Cina. il New Century Global Center di Schengdu. Anticipato da Josè Saramago, nei suoi potenziali effetti sulle persone e sulle cose, nel suo libro 'A Caverna', scritto nel lontano anno 2000 e da Ballard nel suo libro 'Kingdom Come'.