TESTI
L'ignoranza come sapienza: riflessioni sull'arte di non sapere nel governo dei progetti
Esiste un paradosso al cuore dell'esperienza manageriale contemporanea che merita una riflessione più profonda di quella che solitamente gli riserviamo. Osservo da anni, nelle sale riunioni e nei corridoi delle aziende dove si decidono le sorti dei progetti, un fenomeno curioso: più informazioni accumuliamo, più sembriamo perdere la capacità di comprendere. Più strumenti di misurazione raffiniamo, più ci allontaniamo dalla sostanza di ciò che dovremmo misurare. Non si tratta della banale osservazione che "troppa informazione confonde" — questa sarebbe una critica superficiale che non coglie la natura più sottile del fenomeno. Si tratta piuttosto di riconoscere che l'ignoranza, in molti contesti organizzativi, non è un accidente ma una costruzione deliberata, una forma di sapienza mascherata che permette al sistema di funzionare secondo logiche che altrimenti entrerebbero in crisi.
L'archeoastronomia della comunicazione: dalla sapienza celeste alla resistenza organizzativa
In un mondo che ha delegato alle macchine la capacità di riconoscere i pattern, recuperare l'antica saggezza astronomica nella comunicazione e nell'organizzazione del lavoro diventa un atto di resistenza antropologica. La follia di chi rallenta in un'epoca di accelerazione.
Quello che resta quando il progetto finisce
Nei progetti complessi, la conoscenza spesso si disperde prima ancora di consolidarsi. Questo articolo nasce da un'esperienza sul campo: osservare come si lavora, come si dimentica, come si scrive (o non si scrive) ciò che dovrebbe restare. Non è una teoria sulla documentazione, né una guida tecnica. È una riflessione su ciò che rimane — e su ciò che andrebbe custodito con più attenzione.
Pensare il tempo
C'è un momento, nella giornata di ogni sviluppatore, project manager o consulente, in cui si ferma davanti al monitor e si chiede: "Quanto tempo ci vorrà davvero per completare questo task?" È un istante di vulnerabilità professionale, dove l'esperienza incontra l'incertezza, dove la metodologia si scontra con la realtà imprevedibile del lavoro umano. Quei numeri che abbiamo imparato a chiamare "story points" promettono di risolvere questo dilemma, di trasformare il caos della creatività in sequenze ordinate e prevedibili. Ma cosa accade quando la promessa non mantiene la realtà?
Oltre il controllo
Un saggio critico che ripensa il project management alla luce delle trasformazioni della conoscenza, integrando approcci filosofici, epistemologie non occidentali e nuove pratiche organizzative.
La forma del fare. Sul progetto come pratica etica e dialogo con la complessità
In questo saggio, esploro la figura del project manager come agente etico e osservatore sistemico. Partendo da un’esperienza maturata in ambiti ad alta intensità operativa, l’autore sviluppa una riflessione che intreccia pensiero orientale, scienze cognitive e filosofia pratica. Il progetto emerge così non come sequenza tecnica, ma come forma del fare che esige presenza, discernimento e responsabilità relazionale. Una lettura necessaria per chi intende la leadership non come imposizione, ma come tensione trasformativa.
Tempo, conflitto e presenza: per una teoria integrata della regia temporale nei processi cognitivi e organizzativi
La presente riflessione si colloca all’intersezione tra la filosofia del tempo, le neuroscienze cognitive applicate e la teoria sistemica della complessità. Intende proporre una lettura integrata del concetto di “tempo” come risorsa cognitiva, affettiva e organizzativa, capace di informare tanto la gestione strategica dei progetti quanto le pratiche individuali di autoregolazione. Il quadro teorico di riferimento attinge da tre tradizioni: la fenomenologia del tempo vissuto (Husserl, Merleau-Ponty), il costruttivismo sistemico (Luhmann, von Foerster), e le neuroscienze affettive orientate alla regolazione emotiva e alla tolleranza della frustrazione (Damasio, Mischel, Panksepp).
La conoscenza che cura: architettura informativa come etica relazionale
Nel pensiero di Niklas Luhmann, il concetto di autopoiesi — mutuato dalla biologia di Maturana e Varela — descrive la capacità di un sistema di produrre e riprodurre autonomamente i propri elementi, mantenendo la propria identità operativa. Applicato ai sistemi cognitivi, questo implica che ogni atto di conoscenza non è ricezione passiva di dati, ma generazione interna di senso. Un’organizzazione, dunque, non “immagazzina informazioni”: le seleziona, le codifica, le interpreta secondo le proprie strutture. Questo spiega perché due contesti possano reagire in modo radicalmente diverso allo stesso stimolo informativo. L’autopoiesi, così intesa, restituisce dignità e complessità alla gestione della conoscenza: non un flusso neutro, ma un processo selettivo, situato e riflessivo. Costruire ambienti informativi significa allora rendere visibile e coltivabile questa capacità generativa.
Dalla relazione alla qualità: comunicare il cambiamento come progetto
Eraclito scrive: «Nel medesimo fiume entriamo e non entriamo, siamo e non siamo»¹. La frase, apparentemente paradossale, offre una delle descrizioni più asciutte e radicali del reale: ogni cosa è attraversata dal mutamento, eppure questo mutamento non è disordine. È forma in divenire, una dinamica interna che segue un principio, un logos. Non siamo di fronte all’entropia, ma a un ordine che si esprime nel fluire.
Neuroscienze del dissenso: verso una gestione cognitiva dei conflitti nei progetti complessi
Il conflitto, nei progetti, non è un’eccezione. È la norma. Non tanto nella forma esplosiva della lite, quanto nell’attrito silenzioso delle incomprensioni, nella frizione tra priorità divergenti, nei fraintendimenti tra ruoli e aspettative. Ogni progetto è un terreno attraversato da tensioni – culturali, emotive, cognitive – che si manifestano a più livelli: tra stakeholder, all’interno del team, nel rapporto con i clienti. Non è un male, ma un dato strutturale. La vera questione, allora, è come affrontare il dissenso in modo intelligente.
Rappresentazione cognitiva e inferenza contestuale nel project management del software
Il presente saggio propone un’integrazione tra neuroscienze cognitive e project management, con particolare riferimento ai progetti di sviluppo software. Superando i modelli lineari e ottimizzatori della decisione, si introduce la nozione di mappa cognitiva come strumento operativo per interpretare contesti complessi e ambigui. Attraverso l’analisi del ruolo delle cortecce prefrontali e dei sistemi dopaminergici, si ridefiniscono le categorie di valore, attenzione e apprendimento in chiave rappresentazionale e dialettica. L’obiettivo è fornire ai project manager un paradigma teorico alternativo, fondato su inferenza situata, plasticità cognitiva e costruzione condivisa del senso.
Creatività sistemica: tecniche di brainstorming per l’innovazione collaborativa
La creatività, troppo spesso considerata prerogativa dell’individuo geniale, è invece un processo sociale, situato e ricorsivo, che emerge da configurazioni ambientali, culturali e relazionali ben definite. In ambito organizzativo, la produzione di idee originali non può essere ridotta a un atto isolato, ma deve essere intesa come risultato di interazioni strutturate. Le tecniche di brainstorming costituiscono, in tal senso, uno dei dispositivi più rilevanti per la promozione dell’innovazione condivisa.
Progetti come metamorfosi: epistemologia del cambiamento tra Kaizen, complessità e pratica organizzativa
Il presente contributo esplora una prospettiva epistemologicamente fondata e operativamente critica sul project management, superando l’approccio deterministico e prescrittivo dominante. Attraverso un confronto fra la filosofia Kaizen, la teoria della metamorfosi sociale (Beck), il pensiero sistemico (Senge) e la nozione di apprendimento situato, si propone una ridefinizione del progetto come spazio cognitivo aperto, non lineare e trasformativo. La progettualità viene qui intesa come processo evolutivo radicato nella pratica, nella riflessione e nella tensione etica, piuttosto che come dispositivo prestazionale. L’articolo si propone di restituire dignità teorica all’agire progettuale in condizioni di complessità e incertezza, risignificandolo come forma di apprendimento continuo e autocritico.
Contro la meccanizzazione del Project Management
Il project management non è una tecnica da applicare, né una macchina da programmare. È un modo di stare nel mondo: tra incertezza, decisione e fallibilità. Chi pensa di ridurlo a metodo, a schema, a procedura, non ne ha compreso né la natura né il rischio. Questo breve saggio prova a ricordarlo, senza illusioni e senza compiacenze.
“Il project manager è una carpa Koi”: rileggendo Mazzucchelli nell’era delle dashboard
Per uscire dall’acquario non basta saltare. Bisogna smettere di crederci. Smettere di credere che la governance sia progettualità. Che la pianificazione sia conoscenza. Che l’efficienza sia saggezza.
Monachesimo aziendale
Tra le promesse più celebrate dei paradigmi Agile e Scrum vi è quella di ridurre l’inerzia burocratica e favorire la snellezza dei processi organizzativi, abilitando le squadre di lavoro a concentrarsi sull’attuazione concreta e sulla consegna continua di valore. Tuttavia, l’applicazione quotidiana di tali metodologie, lungi dal rappresentare un’alternativa realmente efficace alla rigidità organizzativa, rivela spesso una deriva diametralmente opposta.
Dall’agile alla vanità: pensiero, linguaggio e controllo nella società ipertecnologica
In un’epoca dominata dalla simulazione e dalla velocità, il linguaggio del lavoro si è trasformato in liturgia vuota, e le metodologie nate per liberare sono divenute nuove gabbie simboliche. Questo saggio esplora la crisi epistemologica che colpisce Agile, design thinking e cultura organizzativa, denunciando la deriva performativa del pensiero e invocando una disobbedienza intellettuale fatta di ascolto, dubbio e consapevolezza.
L’Intelligenza Artificiale nel Project Management: pensiamo ancora, o solo eseguiamo?
Viviamo un tempo in cui la velocità è diventata virtù e l’ottimizzazione una fede. Il project management, che un tempo era arte di mediazione tra visione e realtà, oggi rischia di ridursi a un’esecuzione cieca di flussi automatizzati. Ma dietro dashboard perfette e algoritmi intelligenti, resta una domanda cruciale: che cosa stiamo perdendo, mentre crediamo di guadagnare efficienza? Questo non è un rifiuto della tecnologia, né un elogio nostalgico dell’imperfezione umana. È una chiamata al pensiero critico, alla responsabilità, alla capacità di interrogare il contesto prima di aderirvi. Perché non basta prevedere un rischio: bisogna anche comprenderlo. Non basta riallocare una risorsa: bisogna sapere perché lo si fa, e con quali conseguenze. Per dare profondità a questa riflessione, ho selezionato dieci libri che accompagnano e rafforzano il mio punto di vista. Non sono semplici “fonti”: sono compagni di strada. Ogni testo, a suo modo, interroga il rapporto tra sapere, azione, potere e tecnologia. Alcuni parlano di project management, altri di filosofia, altri ancora di etica o di organizzazione. Tutti, però, ci aiutano a mantenere viva una domanda essenziale: vogliamo diventare più rapidi o più consapevoli? La risposta non si trova nei manuali. Ma nella pratica quotidiana del pensiero.
L’organizzazione non esiste (eppure lavora con noi ogni giorno)
Questo testo nasce da una riflessione personale sul concetto stesso di “organizzazione”. Non come struttura da disegnare, ma come forma vivente, emergente, mutevole. Lontano dalle astrazioni del management e dalle mitologie della performance, l’articolo esplora cosa accade quando chi lavora diventa anche autore del proprio contesto operativo. In dialogo implicito con pensatori come Edgar Morin e Amy Edmondson, e con un unico riferimento esplicito al libro “Organizzazioni aperte” di Alberto Gangemi, il testo mette in discussione la centralità delle regole, il culto del controllo, e la retorica della motivazione individuale. Ciò che emerge è una proposta radicale e concreta: ripensare il lavoro come spazio di progettazione distribuita. L’organizzazione, se esiste, è un verbo: accade, si modifica, si cura. O si diserta.
Ubuntu e il Project Management Africano
Fulcenzio Odussomai Da un libro mai scritto, un capitolo senza numero e senza tempo. Il presente testo si offre al lettore come una scheggia fuori asse, un frammento sfuggito alla linearità del pensiero occidentale e alla tirannia della numerazione capitolare. Non è il sesto capitolo, né il primo, né l’ultimo. È un affioramento: un capitolo senza tempo, di un libro mai scritto. Un promemoria esistenziale, più che una teoria. A parlare, qui, non è il manager che progetta, ma il pensiero che abita la soglia tra le culture. E la voce che si leva è quella di Ubuntu.