Il linguaggio dell’AI (POV #05)

Noam Chomsky e Andrea Daniele Signorelli: Come l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui parliamo e pensiamo. Da sempre il linguaggio è la frontiera che separa l’uomo dalla macchina. Ma cosa accade quando le macchine iniziano a parlare, scrivere, tradurre, persuadere? L’intelligenza artificiale non ha solo imparato le nostre parole: le ha fatte proprie, rielaborandole in modo statistico e imprevedibile. Due interpreti di questa svolta offrono visioni opposte: Noam Chomsky, linguista e filosofo del linguaggio, teorico della grammatica universale; e Andrea Daniele Signorelli, giornalista e saggista, autore di Technosapiens e Simulacri Digitali, voce critica del rapporto tra AI, cultura e società. Il primo difende la natura innata e semantica del linguaggio umano; il secondo analizza come l’algoritmo ne stia riscrivendo la funzione sociale. Il linguaggio è ancora ciò che distingue l’umano dalla macchina?

Pensare in un'epoca di previsione algoritmica

C'è un tipo specifico di tempo – chiamatelo ritardo mentale o chiamatelo riflessione o chiamatelo come volete – che sembra sempre più difficile da abitare ora, e intendo ora nel senso che significa sia "questo momento storico" che "questo effettivo secondo di coscienza in cui vi trovate mentre leggete questo", e se questa confusione sembra già fuori luogo potrebbe essere perché l'adesso stesso è stato deformato, che è un po' il punto.

Ansia da Prompt

La disruption che Walter Benjamin identificò nelle sale da gioco all'inizio del XX secolo trova una risonanza inaspettata nelle interfacce computazionali odierne. L'ascesa del "prompt engineering" come nuova pratica tecnica per modellare i risultati degli LLM rivela un coinvolgimento con la probabilità e il caso che, a mio avviso, rispecchia le strutture temporali e psicologiche che Benjamin identificò nel suo Progetto Passaggi (Das Passagen-Werk). Nel breve frammento di Benjamin, 𝗡𝗼𝘁𝗲 𝘀𝘂 𝘂𝗻𝗮 𝘁𝗲𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗴𝗶𝗼𝗰𝗼 𝗱'𝗮𝘇𝘇𝗮𝗿𝗱𝗼, ad esempio, emerge una figura che desidero esplorare in quanto di particolare rilevanza per il nostro momento computazionale: il giocatore d'azzardo. Il giocatore d'azzardo di Benjamin non è semplicemente una persona che scommette, ma una persona temporale perseguitata dal caso, perennemente sospesa tra possibilità e la rovina.

Chi governa l’AI (POV #02)

L’ascesa dell’intelligenza artificiale e il dominio delle piattaforme digitali riportano al centro una questione che non possiamo più permetterci di rinviare: chi comanda davvero nel XXI secolo? Gli Stati-nazione, con i loro confini, le loro istituzioni e le logiche di potere geopolitico? Oppure le corporation tecnologiche, che si muovono oltre ogni frontiera, accumulano dati e capitali, e definiscono di fatto le regole del gioco globale? È in questo spazio di frattura che si colloca il pensiero di due osservatori radicali: Yanis Varoufakis, l’economista che immagina un futuro post-capitalista, ed Evgeny Morozov, il critico implacabile della retorica tecno-utopista. Le loro analisi, pur diverse, convergono in un punto essenziale: la democrazia, così come l’abbiamo conosciuta, rischia di essere svuotata dall’interno. Non più erosa da ideologie antagoniste o da conflitti militari, ma da un nuovo polo di potere: il capitale digitale, che cresce indisturbato, invisibile e pervasivo.

Chi ha paura dell'Intelligenza Artificiale?

L'acceso dibattito e confronto tra coloro che vedono nell'Intelligenza Artificiale (di seguito denominata Ai) una risorsa e quanti, all'opposto, la considerano una tecnologia pericolosa si ripropone ormai costantemente. Arricchendosi ogni volta di ulteriori elementi che guardano spesso alla casistica nota degli sviluppatori.

Come svalutare tutto con un click

Ogni volta che pubblichi "Fatto in 5 minuti con l'AI, da qualche parte un creativo muore. Quella insopportabile e dilettantesca narrazione del "tutto veloce, tutto facile" che va tanto di moda sui social? È un autogol clamoroso e sta addestrando il mercato a non riconoscere il valore del lavoro. Ho scritto tutto quello che penso su questa storia nel mio ultimo articolo qui sotto.

On The Epistemological Barrier to a Science of (Artificial) Intelligence

Artificial intelligence is nonsense, so let us begin with a word on nonsense. In what follows, nonsense per se is not meant as equivalent to stupid, or silly. Rather, nonsense is a string of words that make no sense. What is said contains no meaning. An example of nonsense (by philosopher Peter Hacker): the number 3 married number 2 on planet number 2. What would lead to stupidity or silliness, however, was if someone were now to insist that it is intelligible that numbers can actually marry, and that they were engaged in scientific research that might prove this.

Le competenze di lettura ravvicinata si trasferiscono all'intelligenza artificiale?

C'è stata, di recente, una raffica di proclami ben intenzionati sulle virtù inaspettate dell'educazione letteraria nell'era degli interlocutori algoritmici. Un eccellente pezzo di Nick Potkalitsky, PhD offre quello che potrebbe essere definito un riavvicinamento pedagogico tra le testualità disordinate della narrativa e la peculiare fluidità dell'IA generativa.

Benedetta la benevola AGI: La favola del Re programmatore

𝐈𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐭𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨. Ti svegli e il mondo è finalmente cresciuto. Niente politici, niente corruzione, niente guerre. Un'intelligenza artificiale serena e onnisciente governa il nostro pianeta con incorruttibile chiarezza. L'assistenza sanitaria è impeccabile, l'allocazione delle risorse istantanea, il crimine previsto fuori dall'esistenza. Ogni obiettivo climatico è stato raggiunto prima del previsto. Le città ronzano in perfetto equilibrio; Il traffico scorre come la poesia, i bisogni dei cittadini vengono soddisfatti prima ancora che espressi.

Francesco Varanini vs Copilot

Francesco Varanini ci invita a leggere Debenedetti per ritrovare l’autore. Ma forse oggi dobbiamo leggere Barthes e Derrida per andare oltre. L’autore non è morto: si è trasformato. È diventato rete, algoritmo, collettivo. E il lettore non perde nulla: anzi, guadagna libertà, pluralità, nuove forme di dialogo. Un testo senza autore umano può essere valido, profondo, trasformativo. Perché il significato non nasce dalla penna, ma dall’incontro.”

Furti di VIP e salvezza artificiale: chi ci crede davvero?

Un parallelo tra i furti improbabili ai danni di VIP in cerca di visibilità — come bagagli di lusso con gioielli e diamanti spariti sul treno oppure orologi da 200.000 euro persi dopo le vacanze — e le narrazioni utopistiche sull’intelligenza artificiale “benevola” che distribuirà ricchezza in modo equo. Entrambi i casi condividono lo stesso difetto: la sospensione del senso critico e l’accettazione di storie troppo perfette per essere vere. Con riferimenti ai lavori di Cathy O’Neil, Kate Crawford e Shoshana Zuboff, il testo invita a verificare, chiedere prove e diffidare delle narrazioni che promettono equità senza fornire basi concrete.

Writing, Not This Way, But That Way: Writing against AI's Syntactic Simulations of Dialectical Movement

I don’t write to express what I already know. If I did, I’d have nothing to say by the end of the first clause, and the sentence would be left dragging its tail behind it like a dog with nowhere to go. Writing, for me, begins in a state of productive error—less revelation than fumbling, a kind of intellectual squinting in the direction of something not yet visible, let alone nameable. ---- Non scrivo per esprimere ciò che già so. Se lo facessi, non avrei più nulla da dire alla fine della prima frase, e la frase si trascinerebbe dietro come un cane senza un posto dove andare. La scrittura, per me, inizia in uno stato di errore produttivo – più che rivelazione che tentennamento, una sorta di sguardo intellettuale socchiuso verso qualcosa di non ancora visibile, figuriamoci nominabile.