Non c'è alternativa?

Siamo immersi nella frenesia (e disperazione) più totale, siamo alienati da un mondo in costante accelerazione. Siamo in competizione sotto ogni aspetto, non solo sotto quello economico-professionale, ma anche personale ed affettivo. Alla gara ora si è aggiunta anche “l’intelligenza artificiale”, è molto difficile, se non impossibile, stare al suo livello di “produttività”. Più cerchiamo di rimanere al passo, più ci trasformiamo in macchine. E come sento rabbrividendo in convegni paradossalmente di RISORSE UMANE, la soluziose sarebbe adeguarci alla bellezza futurista di team aumentati, di efficienza forse, non certo di umanità.

Chrestotes o Agathosyne?

Una delle cose che più di tutte mi ha affascinato (se non del tutto folgorato) in questo mio percorso di studi intrapreso negli ultimi anni è il significato della parola agathosyne (ἀγαθωσύνη), trovata per la prima volta tra le righe dell'enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco.

TECNOCAPITALISMO: dialogando e approfondendo con Loretta Napoleoni

Una incontro dialogico per Stultiferanavis che è servita a confrontarmi con Loretta Napoleoni, economista dal profilo internazionale, analista politica e saggista, autrice del libro 𝐓𝐞𝐜𝐧𝐨𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐬𝐦𝐨. 𝐋’𝐚𝐬𝐜𝐞𝐬𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐢 𝐨𝐥𝐢𝐠𝐚𝐫𝐜𝐡𝐢 𝐞 𝐥𝐚 𝐥𝐨𝐭𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐞, cercando di esplorare le radici e le prospettive dei questo nuovo paradigma. L’autrice è una delle voci più lucide nello studio dei rapporti di potere che caratterizzano l’economia globale attuale. Dopo aver indagato le radici economiche del terrorismo, i flussi della globalizzazione e le contraddizioni del neoliberismo nel suo ultimo saggio, Napoleoni affronta un tema cruciale del nostro tempo: il dominio delle tecnologie digitali e spaziali nelle dinamiche del potere economico e politico contemporaneo. Un dominio che vede come protagonisti un ristretto numero di 𝐓𝐞𝐜𝐧𝐨𝐭𝐢𝐭𝐚𝐧𝐢 alla guida di aziende come Meta, Amazon, Meta, Space X, ecc. che hanno preso il controllo delle leve del potere ridefinendo i rapporti economici, lavorativi, sociali e anche democratici.

ChatGPT vuole fare sesso con te. E non è la notizia peggiore

Mi è capitato di leggere, in questi ultimi giorni, due documenti apparentemente distanti. Da un lato il paper "Assessing Risk Relative to Competitors: An Analysis of Current AI Company Policies" del Centre for the Governance of AI (ottobre 2025), dall'altro le analisi critiche di Sandra Bats pubblicate su Medium in merito all'annuncio di OpenAI di introdurre contenuti erotici in ChatGPT a partire da dicembre 2025. Non sono fenomeni separati. Sono manifestazioni dello stesso meccanismo: la privatizzazione della governance etica dell'AI attraverso dispositivi competitivi che si autolegittimano. E questo meccanismo non è un bug. È il sistema operativo del capitalismo algoritmico. Ho testato, sia pure sommariamente, la risposta dei diversi LLM ad una richiesta sessualmente esplicita e piuttosto stereotipata. Il fenomeno dell'escalation è già in atto.

Il lavoro, la distanza e la dignità

Ho scritto queste righe pensando al silenzio di chi lavora davvero: chi interviene quando tutto si ferma, e chi tiene in moto ciò che non si vede. Viviamo in un tempo che confonde la fatica con la visibilità, la presenza con il controllo, il valore con il denaro. Eppure, il senso del lavoro resta lo stesso: prendersi cura del mondo. A chi lo fa ogni giorno — su un’autostrada, in un ospedale, in una centrale operativa o dietro un monitor acceso in un piccolo paese italiano — va la mia gratitudine.

Dall’occhio umano alla visione artificiale (POV #09)

Trevor Paglen e Lev Manovich: L’immagine può ancora dirsi un’esperienza umana o, con l’AI, la cultura visiva sta assumendo forme che prescindono dal nostro sguardo? La storia dell’immagine non si conclude con la fotografia. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, miliardi di immagini vengono generate, analizzate e archiviate senza alcun intervento o sguardo umano, non servono occhi per produrle, né spettatori per legittimarle. È su questo che si confrontano due voci autorevoli del dibattito contemporaneo: Trevor Paglen, artista e geografo che indaga le infrastrutture politico-militari della visione automatica, e Lev Manovich, teorico dei media digitali che interpreta l’immagine come dato, processo e linguaggio computazionale. Entrambi interrogano ciò che accade all’immagine quando il ruolo dell’osservatore umano non è più centrale, e a “guardare” sono soprattutto le macchine.

La tecnica è da sempre una forma di mediazione col mondo, con tutte le sue contraddizioni e biforcazioni

Lo smartphone è il dispositivo più biopolitico dell’era contemporanea ed è la principale componente di un universo di oggetti connessi in vertiginoso aumento. Siamo sempre infatti sempre più immersi nel mondo dell’internet degli oggetti una Bioipermedia, un insieme di bios/biopolitica e ipermedia, uan delle attuali dimensioni della mediazione tecnologica.

Una segnalazione: Examining Popular Arguments Against AI Existential Risk: A Philosophical Analysis

Negli ultimi anni, personalità di spicco hanno affermato che l'intelligenza artificiale (IA) può avere conseguenze indesiderate con un impatto elevato, sia a breve che a lungo termine. Questi sono spesso definiti i cosiddetti "rischi esistenziali", "rischi catastrofici" o "rischi x". La preoccupazione sui rischi è anche oggetto di intenso lavoro all'interno della comunità accademica, anche per le implicazioni etiche legate allo sviluppo dell'intelligenza artificiale che sollevano interrogativi sul controllo, la governance e l'allineamento dei valori dei sistemi di intelligenza artificiale iperavanzati. Qui segnaliamo un paper pubblicato su ARXIV e aperto a tutti per la consultazione e la lettura.

Un messaggio in bottiglia

Sono uno dei miliardi di naufraghi della società moderna. A differenza del classico naufragio in mare, dove ci si ritrova da soli in chissà quale isola sperduta, i naufraghi sociali si ritrovano soli in mezzo alle moltitudini di altri individui, isolati, tutti con gli stessi pochi mezzi e le stesse limitate competenze logico/cognitive con cui dover affrontare la realtà della cattività Urbana.

Milano, non bella ma un tipo.

Milano sembra bella. Ma è un inganno gentile, come certi volti che affascinano non per armonia ma per carattere. È una città piena di difetti: rumorosa, impaziente, spesso arrogante. E non è nemmeno particolarmente simpatica. Eppure ha una qualità rara: non ti permette di addormentarti. Le altre città italiane, con la loro calma e i loro monumenti immobili, finiscono per sembrare musei di sé stesse. Milano no: anche quando ti sfianca, anche quando ti fa rimpiangere un posto dove si respira davvero, ti costringe a restare vivo.

Il modello interstiziale

Le organizzazioni ci appaiono lisce, rifinite. Ma sono invece rugose, segnate da crepe e fenditure. A questi luoghi di solito ignorati dalla ricerca bisogna guardare. Le possibilità di cambiamento e di reale presenza umana stanno negli interstizi. (Questo testo è stato scritto, per quanto ricordo, attorno al 1995. E' stato pubblicato l'1 gennaio 1998 sul sito www.bloom.it, e cioè nel momento in cui il sito ha preso vita).

La realtà è sopravvalutata: lo dice Alfredo Gatto dialogando filosoficamente con Carlo Mazzucchelli

Che cos’è reale? Da Platone a Foucault, dalla fisica quantistica al Marvel Cinematic Universe, Alfredo Gatto sfida l’idea che la realtà sia un dato oggettivo e immodificabile. La realtà – o almeno, questa realtà – non ci basta più. Per questo la scienza e la letteratura, l’arte e la filosofia non si limitano a descriverla, ma ne dilatano i confini. È un viaggio attraverso le frontiere della conoscenza, per ripensare i limiti della nostra esperienza e aprire le porte di una nuova filosofia del multiverso. Un saggio radicale e sorprendente, che ci invita a mettere in discussione il confine tra reale e immaginario. Una intervista dialogante di Carlo Mazzucchelli con il filosofo Alfredo Gatto.

Architetture della paura tra case, corpi e profili digitali.

Ogni città parla con la propria paura. Lo fa in silenzio, nei dettagli che riempiono lo spazio urbano: sbarre alle finestre, cancelli chiusi, telecamere che scrutano, cartelli che ammoniscono. Questi segni, spesso invisibili per abitudine, non proteggono soltanto beni materiali. Difendono identità fragili, confini morali, la sensazione di appartenere a un ordine ancora comprensibile. Sono sintomi di un’epoca in cui la sicurezza è diventata linguaggio, e il linguaggio stesso una forma di sicurezza.