Leader organizzativo senior con oltre trent’anni di esperienza all’intersezione tra governance di progetti, programmi e portafogli, trasformazione aziendale e progettazione di sistemi di conoscenza.

Creo e guido Program Management Office (PMO), supporto le organizzazioni nel percorso di crescita della maturità dei processi (CMMI e oltre) e abilito la gestione del rischio, la realizzazione dei benefici e il cambiamento organizzativo con un approccio strategico e sistemico.

Il mio lavoro unisce pratiche di project management strutturato a una comprensione critica della complessità, dell’ambiguità e delle dinamiche culturali.

Per me, governare non significa solo controllare: significa abilitare resilienzafavorire ecosistemi di apprendimento e generare valore sostenibile nel tempo.

Specialità: progettazione e gestione di PMO, gestione del rischio, governance dei programmi, maturità organizzativa del project management, change management sistemico.


I mostri della Creatività: una Fenomenologia del Silenzio Interiore

Un saggio sull’atto creativo come esperienza fragile e profondamente umana, spesso ostacolata da ferite invisibili e giudizi interiorizzati. Tra introspezione e analisi epistemologica, questo testo esplora i “mostri della creatività”, le dinamiche tossiche che inibiscono l’espressione, e il coraggio necessario per reclamare la propria voce in un’epoca di visibilità forzata e narcisismi digitali.

Di sistemi che pensano per parti: riflessione su microservizi, resilienza e decomposizione

n questo breve saggio propongo una riflessione sull’architettura a microservizi, andando oltre la tecnica per interrogarmi sul modo in cui pensiamo — e costruiamo — i sistemi complessi. Non si tratta solo di design software, ma di una forma mentale: una postura progettuale che accetta l’incertezza, valorizza la sostituibilità, e riconosce nella decomposizione una strategia di resilienza. È un testo scritto nel silenzio di chi osserva i sistemi parlare tra loro, e cerca nei loro fallimenti non un errore, ma un’indicazione.

L’organizzazione non esiste (eppure lavora con noi ogni giorno)

Questo testo nasce da una riflessione personale sul concetto stesso di “organizzazione”. Non come struttura da disegnare, ma come forma vivente, emergente, mutevole. Lontano dalle astrazioni del management e dalle mitologie della performance, l’articolo esplora cosa accade quando chi lavora diventa anche autore del proprio contesto operativo. In dialogo implicito con pensatori come Edgar Morin e Amy Edmondson, e con un unico riferimento esplicito al libro “Organizzazioni aperte” di Alberto Gangemi, il testo mette in discussione la centralità delle regole, il culto del controllo, e la retorica della motivazione individuale. Ciò che emerge è una proposta radicale e concreta: ripensare il lavoro come spazio di progettazione distribuita. L’organizzazione, se esiste, è un verbo: accade, si modifica, si cura. O si diserta.

La piuma e il vuoto

Una meditazione sull’esame di s: più invecchio, più sospetto che l’ossessione dell’autoesame sia figlia della paura, non del coraggio. Esaminiamo noi stessi per rassicurarci di esistere, per illuderci di sapere da dove veniamo e dove andiamo. Ma se l’esame di sé fosse un modo elegante per evitare il salto?

Ubuntu e il Project Management Africano

Fulcenzio Odussomai Da un libro mai scritto, un capitolo senza numero e senza tempo. Il presente testo si offre al lettore come una scheggia fuori asse, un frammento sfuggito alla linearità del pensiero occidentale e alla tirannia della numerazione capitolare. Non è il sesto capitolo, né il primo, né l’ultimo. È un affioramento: un capitolo senza tempo, di un libro mai scritto. Un promemoria esistenziale, più che una teoria. A parlare, qui, non è il manager che progetta, ma il pensiero che abita la soglia tra le culture. E la voce che si leva è quella di Ubuntu.

Incertezza e architettura dell’Informazione: verso una grammatica cognitiva del dubbio

Qualche giorno fa, su LinkedIn, un recruiter dichiarava di scartare tutti i candidati che non indicano competenze sull’intelligenza artificiale. Secondo lui, chi oggi non sa usare (o non dichiara di usare) l’AI non è più “occupabile”. Mi sono chiesto: cosa scriverei io, dopo trent’anni passati a lavorare con le informazioni, a progettare conoscenza, senso, orientamento? Sono forse meno competente solo perché non ho scritto “AI” nel curriculum? E allora ho provato a rispondere. Non con uno slogan. Ma con un saggio. Un saggio che parla di incertezza, di etica, di design cognitivo, di consapevolezza come forma di libertà. Un saggio che collega filosofia, teoria dell’informazione, architettura digitale e intelligenza artificiale. Perché non è l’AI che definisce la competenza, ma la capacità di dare forma al sapere. Anche — e soprattutto — quando è incerto.

Non è il mare che decide dove devi andare, ma la rotta che scegli di seguire.

Tempesta. Nessuna rotta. Una nave alla deriva. È l’immagine perfetta di un progetto senza baseline. E non importa quante risorse hai o quanto sia preparato l’equipaggio: senza un punto fermo da cui misurare progressi e deviazioni, il rischio di fallire è altissimo. In questo articolo spiego cos’è una baseline, perché viene spesso sottovalutata e come può trasformare la gestione di un progetto da reattiva a strategica. Per chi vuole governare la complessità, non subirla. Per chi non affida la navigazione al caso.

Il pastore delle idee: il Sapere come bestiame errante

L’articolo esplora il paradosso della conoscenza tra controllo e fluidità, confrontando tre approcci alla gestione del sapere: il capitale intellettuale di Leif Edvinsson, l’ecosistema sociale di Chris Collison e il cattle approach di Sébastien Dubois. Attraverso riferimenti filosofici, dalla Biblioteca di Alessandria a Walter Benjamin, e metafore evocative, come il bestiame errante della conoscenza, il testo riflette sulla natura mutevole del sapere e sull’impossibilità di possederlo davvero. 𝐋𝐚 𝐠𝐞𝐬𝐭𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐧𝐨𝐧 è 𝐚𝐜𝐜𝐮𝐦𝐮𝐥𝐨, 𝐦𝐚 𝐜𝐫𝐞𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐞𝐯𝐨𝐥𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐮𝐧’𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐩𝐢ù 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐢𝐨, 𝐮𝐧 𝐞𝐪𝐮𝐢𝐥𝐢𝐛𝐫𝐢𝐨 𝐭𝐫𝐚 𝐦𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐞 𝐨𝐛𝐥𝐢𝐨.

Quando l’opinione del più pagato affossa i progetti IT

Nel project management IT, il rischio non è solo tecnico, ma spesso umano. Da Icaro alla teoria del formaggio svizzero di Reason, comprendiamo che i fallimenti non derivano da un singolo errore, ma dalla convergenza di più vulnerabilità. Tuttavia, c’è un altro fattore critico: il HiPPO (Highest Paid Person’s Opinion), ovvero l’influenza delle figure di potere che impongono decisioni non supportate dai fatti. Con una riflessione tra filosofia stoica, Bauman e Agile, questo articolo esplora come evitare che l’autorità gerarchica soffochi l’innovazione, e come uno Scrum Master illuminato possa trasformarsi nel vero saggio del team.

Connessi ma frammentati: come la tecnologia trasforma il pensiero

Il digitale ha trasformato il nostro modo di lavorare e pensare, favorendo la velocità e la produttività a scapito della riflessione critica. L’iperconnessione e la collaborazione globale hanno reso la sincronicità un mito e l’asincronia una necessità, ma senza strumenti adeguati rischiamo di disperdere conoscenza e ridurre il pensiero a un flusso di reazioni istantanee. L’intelligenza artificiale e gli algoritmi personalizzati ci guidano, ma ci privano della scoperta e della diversità cognitiva, portandoci verso un modello di “uomo a un algoritmo”. In questo scenario, la sfida non è eliminare la complessità, ma imparare a gestirla. L’articolo esplora il paradosso della semplicità nell’era digitale, analizzando il lavoro distribuito, il rischio della superficialità e la necessità di un nuovo umanesimo tecnologico. Attraverso riferimenti filosofici e pratici, propone strategie per preservare il pensiero critico e la conoscenza in un mondo sempre più automatizzato, dimostrando che la vera intelligenza non sta nella semplificazione, ma nella capacità di scegliere cosa rendere semplice e cosa mantenere complesso.

Lo spettacolo come paradigma della modernità digitale: interazione, consumo e cognizione nell’era della complessità tecnologica

Oggi, a più di cinquant’anni dalla pubblicazione del testo di Debord, il suo pensiero assume un’attualità quasi inquietante. La società dello spettacolo si è trasformata, non si è dissolta; si è integrata nelle dinamiche tecnologiche più avanzate, ridefinendo non solo il modo in cui le immagini mediano l’esperienza, ma anche il modo in cui l’individuo concepisce se stesso e il proprio rapporto con il mondo. L’interconnessione digitale ha radicalizzato il processo di spettacolarizzazione, portandolo a un livello inedito di pervasività. Non si tratta più di un consumo passivo di rappresentazioni esterne, ma di un’integrazione totale tra spettacolo e identità, tra simulacro e realtà.

Il fallimento del successo: da Sapolsky a Wallace

Il consumo di informazioni online è rapido, frammentato e superficiale. Il doomscrolling – la compulsiva ricerca di notizie negative – dimostra come l’attenzione sia ostaggio di un ciclo di input continui, senza mai fermarsi per elaborare. Pierre Bourdieu, in La distinzione, descrive come la cultura sia stata storicamente un’arma di potere, un sistema di selezione sociale che premia chi ne padroneggia le regole. Oggi, paradossalmente, questo potere è stato trasferito agli algoritmi. Se un tempo erano le classi sociali a determinare chi poteva accedere al sapere, oggi è il feed personalizzato di Google o TikTok a decidere cosa ci è dato conoscere.

Tecnologia, narrazione e umanità: una riflessione sulla società digitale

La tecnologia non è più solo uno strumento, ma una forza che riorganizza i rapporti sociali ed economici, ridefinendo il confine tra pubblico e privato, verità e manipolazione, autonomia e dipendenza. L’informazione, filtrata da algoritmi opachi, è nelle mani di poche grandi aziende che modellano il discorso pubblico, privilegiando la visibilità rispetto al contenuto. I social media, anziché favorire il dialogo, amplificano la polarizzazione e trasformano la narrazione in spettacolo. Nel lavoro e nell’istruzione, la logica della misurazione ha ridotto l’esperienza umana a numeri e prestazioni, sacrificando pensiero critico e creatività. La sfida non è resistere alla tecnologia, ma riappropriarsene in modo consapevole. Serve una cultura digitale che promuova la partecipazione e il controllo collettivo, affinché la tecnologia resti un mezzo al servizio dell’umanità, e non il contrario.

L'Europa e il suo Gattopardo: aristocratici decadenti, arricchiti infidi e il suicidio di un continente

C’è un’immagine che descrive perfettamente l’Europa del nostro tempo: l’aristocrazia decadente del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Un’élite invecchiata, incapace di comprendere il cambiamento in atto, ostinata nel difendere il proprio status mentre il mondo intorno si trasforma. Così, mentre la storia avanza impetuosa, l’Europa rimane ferma, prigioniera delle sue stesse illusioni di grandezza passata.

Il cittadino labirintico: educare all’incertezza nella democrazia simulata

Siamo immersi in una Babele informativa dove ogni notizia è una verità provvisoria e ogni certezza dura lo spazio di un clic. Come può il cittadino globale distinguere il vero dal verosimile, il dubbio sano dalla manipolazione? Forse la risposta non è trovare nuove certezze, ma imparare a vivere nell’incertezza, coltivando il pensiero critico e la consapevolezza della propria fragilità cognitiva. Questo articolo propone un viaggio tra riflessioni e sguardi diversi, da Dominici a Mazzucchelli, da Varanini a Mezirow, per provare a rispondere.

Tra narrazione e razionalità: infocrazia, errore, e la sfida della transizione energetica tra ideologia e realtà

Quando pensiamo all’energia e al nostro futuro, immaginiamo spesso una corsa verso innovazioni straordinarie: pannelli solari, turbine eoliche, idrogeno verde. Ma dietro queste immagini c’è molto di più. L’energia è una storia di scelte, di paure e di errori, di tentativi e di idee abbandonate. È il riflesso di come una società racconta se stessa e il proprio rapporto con la natura e la tecnologia. In questo viaggio, ci muoveremo tra filosofia, storia e scienza per capire come la nostra visione dell’energia sia il risultato di narrazioni collettive e di razionalità spesso smarrite. Scopriremo perché il nucleare, da sempre temuto in Italia, è invece al centro di un dibattito cruciale per la nostra indipendenza e il nostro futuro. Perché l’energia non è solo una questione tecnica: è lo specchio di chi siamo e di chi vogliamo diventare.

Turn The Ship Around! – Filosofia della leadership tra controllo cognitivo e complessità

L’articolo esplora il tema della leadership adottando una prospettiva filosofica ispirata alla filosofia della mente e alla teoria della complessità. A partire dalla tradizionale distinzione tra gestione dei compiti e gestione delle relazioni all’interno di un team, il testo riflette sulla natura multidimensionale dell’ambiente organizzativo e sulla necessità di ripensare la figura del leader come regolatore di flussi informativi e relazionali, piuttosto che come semplice decisore. Il dialogo tra neuroscienze cognitive e filosofia della complessità offre l’occasione per interrogarsi su un modello di leadership che non si limiti a imporre ordine, ma sappia navigare la complessità, adottando una forma di controllo selettivo e situato, capace di riconoscere la pluralità dei conflitti e delle dinamiche in atto. Un intreccio tra filosofia, scienza cognitiva e teoria organizzativa.

Accettare il fallimento come un passo necessario per crescere

Viviamo in una società che celebra il successo ma teme il fallimento, considerandolo un segno di incompetenza. Eppure, il fallimento è una tappa inevitabile di ogni crescita. Imparare a vederlo non come un ostacolo, ma come un’opportunità, ci permette di affrontare le sfide con maggiore consapevolezza. Questo articolo esplora come superare la paura del fallimento, abbracciare l’imperfezione e trasformare gli errori in strumenti di apprendimento.