Non cerco la verità: mi basta smascherare le finzioni. Mi occupo di conoscenza, linguaggio e delle forme che la tecnica assume per sembrare neutra. Scrivo per fare domande, non per dare risposte. Mi chiamo Fulcenzio Odussomai quando il metodo diventa maschera, e il dubbio, una forma di onestà.

L'Illusione della giovinezza eterna

In questo nostro peregrinare attraverso le tortuosità del tempo digitale e le ambiguità del valore umano nel mercato del lavoro, forse non sarà inutile volgere lo sguardo a quelle voci che, attraverso i secoli, hanno saputo offrire un faro di lucidità e di serena fermezza. Tra queste, risplende con particolare intensità l'eco dei pensieri di Marco Aurelio Antonino, imperatore romano e filosofo stoico, raccolti nella sua opera immortale, "Le Meditazioni". Questo testo, lungi dall'essere un trattato sistematico, si presenta come un intimo dialogo che tocca le corde profonde dell'esistenza: la natura effimera delle cose terrene, l'importanza ineludibile della virtù come unico vero bene, la necessità di accettare con distacco ciò che non dipende dal nostro volere, e la preminenza della ragione come guida nel labirinto delle passioni e delle avversità.

Lavorare oggi: tra tecnica, distanza e comunità. Come il lavoro cambia nell’epoca dell’ibrido.

Una soglia da attraversare Oggi la linea tra vita e lavoro, tra tempo libero e tempo produttivo, è più sfumata che mai. Ma forse proprio questa incertezza può diventare un’opportunità. Ripensare il lavoro non come obbligo, ma come possibilità di fare qualcosa insieme che abbia senso. Un lavoro umano, non solo utile. Che cos’è oggi il lavoro? Dove avviene, con chi, attraverso quali strumenti? Sono domande che non possiamo più dare per scontate. Fino a pochi anni fa, il lavoro era associato a un luogo fisico – l’ufficio, la fabbrica, il negozio – e a un tempo preciso, scandito da orari e presenze. Oggi, tutto questo si è fatto più incerto. Il lavoro “ibrido”, cioè a metà tra presenza e distanza, è diventato la norma per molti. Ma cosa comporta davvero?

Virtute siderum tenus

Guardare le stelle non è solo un atto contemplativo. È un gesto di ricerca, una domanda silenziosa rivolta al cosmo e, al tempo stesso, a noi stessi.

Guerre di Dio. Una critica radicale al sacro che uccide (e al potere che esclude)

Nel cuore delle tre grandi religioni monoteiste — Ebraismo, Cristianesimo e Islam — la guerra non è soltanto un fenomeno storico o sociopolitico: è, non di rado, un fatto sacro. Un’azione che può essere comandata, giustificata, talvolta persino santificata da Dio. I testi fondativi — dalla Bibbia all’Ebraismo rabbinico, dal Nuovo Testamento alla teologia cristiana, dal Corano alla Sunna — narrano guerre combattute “in nome di Dio”, per la difesa della fede, l’obbedienza alla Legge, o la conquista di una terra promessa. Non guerre umane, dunque, ma guerre autorizzate, se non addirittura volute dal divino. E qui si apre una questione etica e politica di portata immane: che immagine di Dio ci consegnano queste guerre sacralizzate? Che Dio è un Dio che fa la guerra?